Ulisse non fu, come tutti sappiamo, solo un eroe greco. La sua fama aveva infatti, già in epoca antica, superato i confini (invero non angusti) del mondo ellenico, tanto che ben presto divenne una sorta – scusate l’anacronismo – di “patrimonio dell’umanità”. Le sue gesta, tra l’altro, ebbero un legame fortissimo con la storia, la geografia, la cultura della penisola italica; non solo perché l’Italia del Sud fu a tutti gli effetti Magna Graecia o perché da subito alcune delle sue avventure (come l’incontro con la maga Circe, con Scilla e Cariddi, col Ciclope…) furono immaginate dalle nostre parti; ma anche perché gli Etruschi prima e i Romani poi lo vollero in qualche modo considerare “uno di loro”.
Esistevano infatti leggende e tradizioni locali secondo le quali i figli di Ulisse e Circe – in primis Telegono – avevano fondato alcune città in Italia. E si diceva che lo stesso Ulisse (forse stufo di contemplare Penelope intenta a tessere…) avesse fondato la città etrusca di Cortona, facendone una sorta di buen retiro per la vecchiaia. Inoltre i Romani sovrapposero il viaggio mediterraneo dell’eroe di Itaca a quello del proprio eroe nazionale, cioè Enea, favoleggiando anche un incontro in Italia dei due guerrieri, che si erano già fronteggiati sotto le mura di Troia. Non stupisce, allora, che la prima opera letteraria del mondo latina sia stata la traduzione dell’Odissea omerica fatta da Livio Andronico nel III sec. a.C.: fu un modo efficace per consegnare alla posterità un Ulisse “romanizzato”.
A causa dell’emergenza sanitaria in atto – dopo molti, molti anni consecutivi – quest’estate non andrò in Grecia; ho provato allora a cercare un po’ di Grecia in Italia leggendo tutto d’un fiato l’agile libretto di Maurizio Harari, Andare per i luoghi di Ulisse, Il Mulino (collana “Ritrovare l’Italia”), Bologna 2019. L’ho fatto per curiosità, per imparare qualcosa (Harari è un bravissimo archeologo che insegna a Pavia), ma anche – perché no? – per trovare qualche suggerimento di visita estiva, per me e per i miei lettori.
Ulisse in Etruria
Maurizio Harari non vuole fare un viaggio sistematico, e lo ammette esplicitamente. Preferisce svelare qualche “chicca” poco conosciuta piuttosto che insistere su qualcosa di molto noto; e, soprattutto, da buon etruscologo, ci dà una panoramica interessantissima della memoria odissaica nella terra dei Rasna.
Apprendiamo dunque che al Museo “Guarnacci” di Volterra molte urne funerarie etrusche rimandano alle avventure dell’eroe dal multiforme ingegno. Due (una delle quali citata anche da D’Annunzio) raffigurano l’episodio della trasformazione in animali dei compagni di Ulisse da parte della maga Circe; una l’accecamento del Ciclope; una decina ci illustrano il tanto dolce quanto mortale canto delle Sirene; sei, invece, raffigurano Ulisse nell’atto di sterminare i proci al suo ritorno a casa.
Non poteva poi mancare la memoria dell’eroe a Cortona, città che lo vantava come fondatore e che riteneva di conservarne le spoglie mortali. Perché – dice Harari – non immaginare il suo sepolcro-heroon simile ad alcune tombe scoperte in loco? E, in particolare, non lasciarsi suggestionare davanti a un sontuoso e monumentale altare per celebrazioni funeraria (VI sec. a.C.), di ispirazione greco-orientale, messo in luce alla fine del secolo scorso accanto a due imponenti tombe nell’area del cosiddetto Secondo Melone del Sodo? Altro che inghiottito nei gorghi marini di dantesca memoria: Ulisse forse riposa lì, e mi è venuta proprio voglia di andare in loco a curiosare…
Al Museo Etrusco “Faina” di Orvieto, l’antica Volsinii, è invece conservato un sarcofago del III sec. a.C., con due importanti rilievi: in uno Ulisse minaccia Circe con la spada, per convincerla a ritrasformare in uomini i suoi compagni-animali, mentre nell’altro è intento a scarificare un montone all’inizio del suo viaggio nell’Aldilà. A questo viaggio oltremondano alludono anche le pitture della “Tomba dell’Orco” di Tarquinia (IV sec. a.C.), che, accanto alla scena dell’accecamento del Ciclope, ci propone alcune vedute del mondo dei morti, tra le quali le immagini di Tiresia e Agamennone (cfr. Odissea, XI). Perché – sostiene l’autore – non credere che il pittore etrusco si si ispirato a un celebre affresco ateniese del grande Polignoto (V sec. a.C.), che raffigurava l’Oltretomba, dato che Tarquinia e Atene avevano strettissimi legami politici, economici e militari?
Be’, se cerchiamo tracce di Grecia in Italia – al di là di Magna Grecia e Sicilia – il mondo etrusco ne è pieno zeppo, e l’autore di questo volume ce ne ha data l’ennesima testimonianza.
Nel paese di Circe
Non c’è forse donna del mito greco che valga Circe, in termini di charme, sensualità e… ambivalenza. La sua bellezza (in particolare quella dei suoi riccioli) è esaltata da Omero (Odissea, X), così come la leggiadria del suo canto. La maga è bella ma perfida: la sua isola, il cui nome è Eea, è infatti popolata da animali che altro non sono che uomini da lei sedotti e trasformati, mediante pozioni (phármaka) e bacchetta magica (rábdos). Uomini che sembrano ormai essere divenuti una sorta di “corteggio” di questa divina dominatrice, che però Ulisse riesce – anche con l’aiuto di Hermes che gli fornisce un antidoto (móly) contro i malefici – a tenere a bada e “rabbonire”; e a farne un’amante devota per un po’ di tempo, con conseguente nascita di quei figli che le città italiche si contenderanno nei secoli successivi come mitici fondatori.
Ab immemorabili la terra di Circe è ormai per tutti il promontorio del Circeo, che – in effetti – visto da lontano ha un che di insulare. In quei pressi, ad Anxur (oggi Terracina), sarebbe anche stato sepolto Elpenore, compagno di Ulisse; inoltre, poco più a sud, tra il Lazio e la Campania, vi è la celeberrima “Villa di Tiberio” di Sperlonga, costante fucina di ritrovamenti archeologici anche in tempi recenti e – come vedremo – fortemente legata alla memoria del nostro eroe.
Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.), come tutti sappiamo, non amava Roma, e le sue assenze dalla capitale furono spesso considerate dagli storici (Tacito in primis) manifestazioni di scarso senso di responsabilità istituzionale. Ma, viste le sue ville – come quelle di Sperlonga o di Capri – chi potrebbe dargli torto del tutto? Forse solo lì placava un po’ la sua proverbiale inquietudine.
Oltre al mare, l’imperatore adorava la mitologia, e vantava la discendenza dalla sua gens di nascita – la Claudia – proprio da quel Telegono che già abbiamo nominato. Insomma: a Sperlonga egli organizzò un’operazione artistico-cultural-mondana senza precedenti, probabilmente utilizzando maestranze greche di origine rodia. Fece infatti realizzare all’interno di una grotta quella che Harari definisce come una vera e propria moderna serie di «installazioni»: in mezzo ad una fontana acquatica la pericolosa Scilla, sullo sfondo l’accecamento del Ciclope, e ai lati e in alto altre scene mitologiche di ispirazione omerica. Le fonti ci raccontano anche di un crollo avvenuto in quella grotta, che quasi quasi mandò nell’Ade lo stesso princeps.
Il materiale che resta è dunque anche per questo (ma non solo) frammentario e si lavora soprattutto su ricostruzioni (visibili nel locale Museo Archeologico). Quel che è certo, però, è che il tutto era un barocco e scenografico omaggio di Tiberio ai suoi ospiti, che si trovavano già a poca distanza della mitica sede di Circe; essi, pervasi da quella emozione, potevano guardare stupiti – magari durante una sontuosa cena all’aperto – in una spelonca dove «s’affollano luoghi e personaggi in rifrazione prodigiosa di immagini, che replicano i viaggi e gli incontri dell’eroe mutevole, polytropos» (p. 109).
Tirando le somme. Da questo prezioso libretto comprendiamo non solo la persistenza e la varietà delle saghe odissaiche in Italia, ma pure la
possibilità concreta di vederne le tracce iconiche e monumentali rimaste proprio dove meno te l’aspetti. Così come non ti aspetti che una delle più note statue di Penelope (citate da Harari) sia conservata a Teheran in quanto ritrovata a Persepoli: si tratta della replica dello stesso modello di cui si trovano altri esempi nei musei di Roma (Capitolini, Palazzo Massimo, Vaticani), Berlino e Copenaghen, poiché – come ci ha ben spiegato una mostra di qualche anno fa alla “Fondazione Prada” – la serialità è stata una delle caratteristiche dell’arte antica. Vuoi vedere che la paziente (ma fino a un certo punto…) regina di Itaca ha provato a creare degli avatar per andare a scovare il vagabondo marito in ogni angolo del mondo, pensandolo magari intento a sedurre – dopo Circe e Calipso – anche qualche misteriosa donna persiana?
P.S. A proposito di Ulisse: è stata prorogata fino a ottobre una mostra a Forlì dal titolo Ulisse. L’arte e il mito che mi piacerebbe poter visitare nelle prossime settimane. Ne ho sentito parlare bene, ma ne scriverò eventualmente solo a visita avvenuta. Così come solo a lettura avvenuta – ovviamente – vorrei scrivere di un libro appena uscito, e cioè Matteo Nucci, Achille, Odisseo. La ferocia e l’inganno, Einaudi, Torino 2020.