Alle “Gallerie d’Italia” di Milano è in corso una mostra destinata a mio avviso a lasciare il segno nella storia della critica d’arte, ma ancora di più nella sensibilità di chi avrà avuto la fortuna – come chi scrive – di visitarla. Si tratta di una emozionante rassegna, curata da Fernando Mazzocca, dedicata alla pittura di Francesco Hayez (Venezia 1791 – Milano 1882), del quale sono esposti circa centoventi dipinti; rassegna che è stata resa possibile della collaborazione tra le “Gallerie d’Italia” e altre prestigiose istituzioni come l’Accademia di Belle Arti di Brera, la Pinacoteca di Brera di Milano e le Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Prima di parlare di quadri è necessario focalizzare l’attenzione sui dati biografici del Nostro, la cui esistenza ha “attraversato” tutto l’Ottocento. Visitare la mostra, dunque, è come fare un viaggio di duplice tipo.
Anzitutto un viaggio nella storia dell’arte, seguendo il non sempre lineare passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo; ma anche un viaggio nella Storia con la S maiuscola, poiché i 91 anni della vita di Hayez hanno coinciso con la formazione dell’Italia unita, e tale evento politico ha non poco condizionato le scelte artistiche di questo pittore, pervaso nel profondo dallo spirito risorgimentale e patriottico tanto da suscitare gli entusiasmi di Giuseppe Mazzini.
Insomma, le diverse sezioni della mostra riflettono i mutamenti del clima culturale, storico e sociale di cui Hayez è stato interprete di grande versatilità, spaziando in generi diversi: dalla pittura mitologica a quella storica, dall’arte sacra a quella “sensuale” incarnata da alcuni splendidi nudi femminili, dalla sobrietà e apparente semplicità del ritratto alla complessità dei quadri più affollati di personaggi.
Provando a tratteggiare la mostra seguendo un ordine cronologico, impossibile non partire da due opere neoclassiche, e cioè dal magnifico Laocoonte (1812) e dall’Atleta trionfante (1814), di sapore policleteo, per passare al potentissimo Aiace Oileo (1822), dove però l’eroe classico assume posture e atteggiamenti che occhieggiano già alla pittura romantica mitteleuropea. Tale percorso evolutivo verso il Romanticismo sembra consolidarsi, a detta di chi scrive, con Venere che scherza con due colombe (1830), dove la dea è molto poco dea e molto più donna poiché raffigurata con le generose curve della ballerina Carlotta Chabert. Guardando il quadro (anche a distanza di quasi due secoli) possiamo ben capire perché esso all’epoca sia stato percepito come scandaloso: non solo per la sensuale nudità, ma anche per la sua incredibile “verità”, tant’è che a noi, oggi, sembra quasi di sentire il tubare delle colombe e lo sciabordio dell’acqua dove Venere affonda i suoi piedi…
Aumenta, col passare degli anni, la realizzazione di soggetti storici e letterari (sull’onda della “romantica” riscoperta del Medio Evo), e in tale ottica vanno visti il suggestivo e grandioso dipinto I profughi di Parga (1831) o le varie letture della storia di Giulietta e Romeo, già dipinta nel 1823 e più volte replicata negli anni a venire; come pure le tele di argomento biblico quali le varie Maddalene (splendida una del 1833), o quella Betsabea al bagno (1834) che non meno della Venere-Chabert di cui sopra denota il compiacimento del Nostro (tra l’altro d’indole piuttosto “libertina”…) nella resa del nudo femminile.
Di grande impatto psicologico sono i numerosi ritratti, tra i quali menziono solo quello dell’affascinante “madrina” del Risorgimento italiano Cristina di Belgioioso (1831) e quello che è forse uno dei ritratti più famosi della nostra storia dell’arte: alludo a quello di Alessandro Manzoni (1841), dipinto l’anno successivo rispetto all’edizione “quarantana” dei suoi Promessi Sposi, quando già – forse suo malgrado – il riservato Don Lisander era divenuto una star della nostra letteratura. La postura quasi informale di Manzoni, la sua mano immortalata nell’atto “domestico” di tenere una tabacchiera ce lo fanno percepire come personaggio modesto, quasi familiare; ma nel suo sguardo si intravvede un velo inquietudine, sentimento del quale noi conosciamo perfettamente la causa: infatti l’amatissima madre Giulia Beccaria era in quel tempo malata e prossima alla morte.
- Francesco Hayez, Laocoonte
- Francesco Hayez, Venere che scherza con due colombe
- Francesco Hayez, I profughi di Parga
- Francesco Hayez, Ritratto di Cristina Belgioioso
- Francesco Hayez, Meditazione
- Francesco Hayez, Ritratto di Manzoni
- Francesco Hayez, Malinconia
- Francesco Hayez, Il Bacio del 1859
Il vertice della pittura di Hayez sono però – a detta della critica – le dolenti figure femminili degli anni Quaranta e Cinquanta (Malinconia, Un pensiero malinconico, La ciociara, Meditazione), alcune delle quali alludono allegoricamente al doloroso travaglio del nostro Risorgimento. Né è estraneo a una lettura politica, stavolta un po’ meno pessimistica, il famoso Bacio ora a Brera (1859), che qui è proposto accanto ad altre due varianti (1861, 1867) conservate in collezioni private. La prima versione allude infatti al legame tra Italia e Francia, che stava per consentire la nascita dell’Italia unita, e quelle successive si configurano invece come un potente invito all’amore dopo la fine delle Guerre d’Indipendenza: una specie di “fate l’amore, che la guerra l’abbiamo già fatta”, insomma.
Hayez dipinse ancora per molti anni, anche se nulla poté superare, per fama, giudizio critico, notorietà pubblica questi suoi Baci, modello – secoli dopo – di celeberrime emulazioni, come l’arcinota foto parigina di Robert Doisneau, la scena del film Senso di Luchino Visconti e perfino il “logo” dei Baci Perugina. E poster, gadget, repliche di vario tipo, ancora oggi fanno del Bacio di Brera un soggetto tra i più riprodotti a livello merceologico, tant’è che digitando in data odierna su ebay.it le parole “Bacio + Hayez” compaiono ben 137 inserzioni…
Personalmente, credo che tanta fama abbia un po’ nuociuto al giudizio postumo sul pittore, e ha forse contribuito a farlo considerare un artista “facile”, tecnicamente perfetto ma non troppo geniale. La mostra in corso sembra fatta apposta per correggere questa erronea opinione, che – per quello che conta – non è mai stata la mia, poiché faticherei davvero a pensare all’Ottocento pittorico italiano senza Hayez e senza il suo magistero, così come faticherei a pensare all’Ottocento letterario senza Manzoni.
E non è un caso che entrambi, veneziano il primo e lombardo il secondo, caratterialmente diversissimi, siano però espressione dello stesso humus culturale: quella Milano che – da preda contesa tra Francesi e Austriaci – era divenuta col tempo una delle più avanzate culle delle istanze di libertà politica della nascente Italia. E a questi due aggiungerei un altro milanese d’adozione, icona del nostro Risorgimento: quel Giuseppe Verdi da Roncole di Busseto le cui opere stimolarono anch’esse alcune tele di Hayez (I Lombardi alla prima Crociata, I due Foscari, I Vespri Siciliani).
Hayez, Manzoni, Verdi, dunque: tre giganti della nostra cultura, tutti impegnati – citando Massimo d’Azeglio – nel difficile compito di “fare gli Italiani”, e cioè a costruire accanto all’unità politica dell’Italia anche una comune (o almeno non troppo diversa) identità culturale dei suoi abitanti.
Ma ora basta davvero, perché mi sono dilungato anche troppo. Mi ero infatti riproposto di citare solo qualcuno dei quadri in mostra e invece ne ho elencati tantissimi: per un fan dell’Ottocento italiano quale sono io è stato davvero un irrefrenabile “uno tira l’altro”, come avviene con le ciliegie e i cioccolatini… (o avrei forse dovuto dire i Baci Perugina?).