Grafica d’autore alla Reggia di Monza

Tempo di lettura stimato: 5 minuti
Dal 28 settembre 2024 al 23 febbraio 2025, l’Orangerie, Reggia di Monza offre una mostra raffinata e – voglio anticiparlo – davvero assai godibile. Ciò sia per la qualità e varietà del materiale proposto, sia per la cura dell’esposizione e la precisione delle didascalie.
Zoran Music, Filet bleus, 1957, puntasecca a colori

La rassegna, dal titolo Da Renoir a Picasso, da Miró a Fontana. 120 capolavori della grafica del ’900, è curata da Simona Bartolena (una garanzia!) con Enrico Sesana e Luigi Tavola, prodotta e realizzata da ViDi cultural, in collaborazione con il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, con il Patrocinio del Comune di Monza, col contributo di Bper Banca e come travel partner Trenord. Si tratta – come si evince dal titolo – di 120 opere su carta (acqueforti, litografie, xilografie, pochoir) eseguite da alcuni dei maggiori Maestri dell’arte contemporanea, a partire dall’ultimo scorcio dell’Ottocento fino ai giorni nostri; nel novero figurano Pierre-Auguste Renoir, Henri Toulouse-Lautrec, Paul Cézanne, Pablo Picasso, Vasilij Kandinskij, Marc Chagall, Joan Miró, Alberto Giacometti, Jean Dubuffet, Giorgio de Chirico, Alberto Burri, Lucio Fontana e molti altri ancora. Tra l’altro – ammettendo che a qualcuno la cosa possa interessare – questo elenco contiene almeno tre degli artisti preferiti da chi scrive, e cioè Renoir, Picasso e de Chirico.

Un secolo e mezzo di incisioni

Juan Gris, Nature morte, 1922, pochoir a colori

L’idea dei curatori è quella di costruire un percorso tematico-cronologico che valorizzi l’azione di quelli che il grande gallerista Ambroise Vollard (chi non conosce la Suite Vollard di Picasso?) definiva i «peintres-graveurs», e cioè gli incisori autori di opere d’invenzione e non di riproduzione. E di certo nessuno potrebbe negare che tutte – ma tutte davvero – le “carte” esposte a Monza siano vere opere d’arte, nonostante la serialità (in certi casi assai limitata) che le contraddistingue.

Emil Nolde, Prophet, 1912, xilografia

Dopo le incisioni di alcuni mostri sacri di fine Ottocento come Claude Manet, Pierre-Auguste Renoir, Henri Toulouse-Lautrec e Paul Cézanne, si indaga infatti la stagione simbolista (Paul Signac, Max Klinger…) per attraversare poi i vari movimenti di avanguardia, dal cubismo (Picasso, Braque, Leger, Gris…), alla scuola del Bauhaus (Vasilij Kandinskij, Paul Klee…), all’eterogenea esperienza tedesca di Die Brüke (Karl Schmidt-Rottluff, Emil Nolde…) – cui si avvicinò anche il fauvista Raoul Dufy – alla Metafisica di Giorgio de Chirico.

È però vero che molti dei Maestri dei quali sono esposte le opere partecipano di esperienze diverse o addirittura rifuggono classificazioni troppo rigide: infatti Boccioni non nacque futurista, Picasso non fu soltanto cubista,

Ensor si incardinò tra Impressionismo ed Espressionismo, Giacometti fu unico e inimitabile, mentre – per fare un altro esempio – le opere di Jean Mirò galleggiano splendidamente tra informalità e figurativismo.

Henri Toulouse-Lautrec, Jeanne Grenier, 1898, litografia

Tra l’altro, la grafica ha consentito a tutti loro sperimentazioni ardite che tecniche considerate più impegnative non permettevano, a dimostrazione che non si tratta di un genere “minore” come qualcuno, in un passato anche recente, erroneamente riteneva.

Qualche nota particolare

Qualche nota, come al solito, su incisioni che sono particolarmente piaciute al vostro recensore, con però una piccola premessa; la “cartella stampa” – quella cioè che contiene le immagini liberamente pubblicabili – non contiene nulla né di Picasso né di de Chirico, anche se di entrambi non mancano a Monza opere interessanti, a principiare dalla picassiana Nature morte à la bouteille de Marc (1911). Segnalo dunque dopo la Barricade di Monet (1871), che illustra la brutale repressione della Comune di Parigi, il ritratto del piccolo Jean Renoir ne L’enfant au biscuit del padre (1899) e i quasi coetanei – splendidi – lavori di Toulouse-Lautrec, Jeanne Grenier (1898), Cézanne, Les baigneurs (1896), Signac, Les démolisseurs (1896), Ensor, La cathédrale (1896).

Pierre-Auguste Renoir, L’enfant au biscuit, 1899, litografia a colori.

Avanzando cronologicamente, bellissima è l’incisione cubista di Juan Gris (Nature morte, 1922), che poco ha da invidiare a quelle dei più noti esponenti del suo movimento, mentre inquietante è il Prophet di Nolde (1912), la cui cupezza è però rischiarata dai colori di Kleine Welten di Kandinskij (1922) – troppo definirla un capolavoro? – o dalle vivaci linee geometriche di Seiltänzer di Paul Klee (1923).

Impossibile (e inutile) completare l’elenco, anche se non si può dimenticare la menzione delle cinque rare prove a colori dell’acquatinta di Georges Rouault, Christe en croix (1936), così come quella delle bellissime opere realizzate da Mirò, Chagall e Dalì, indiscussi protagonisti del Novecento artistico europeo.

La grafica italiana: una grande tradizione

Paul Signac, Les démolisseurs, 1896, litografia.

L’esposizione propone poi – come sottile fil rouge – una ricognizione sulla grande tradizione della grafica italiana, con lavori cubo-futuristi di Gino Severini (La modiste, 1916) e quelli metafisici di Giorgio de Chirico, cui già ho accennato.

Nel panorama italiano del XIX secolo spiccano inoltre maestri dell’incisione quali Giuseppe Viviani (Cani e cabine, 1965) e Luigi Bartolini (La fragile conchiglia, 1936) e figure di artisti che trovarono nella stampa d’arte uno spazio di espressione autonoma, complementare ad altre tecniche pittoriche; è il caso del grande Giorgio Morandi (Natura morta con il cestino del pane, 1921), di Marino Marini (La

Vasilij Kandinskij, Kleine Welten, 1922, litografia a colori

prova, 1942; Le cavalier noir, 1960), di Massimo Campigli (Il gioco del diabolo, 1952; Donne alla Tour Eiffel, 1951), di Zoran Music (Filet bleus, 1957) e di due esponenti dell’Informale quali Emilio Vedova (Scontro di situazioni opera 13, 1959) e Alberto Burri (Combustione, 1963-1964).

Si tratta di una tradizione – quella dell’incisione italiana – che viene da lontano, e che anche in tempi più lontani aveva avuto protagonisti assoluti. E qui menzionerò artisti a me molto cari (estranei però, ovviamente, alla mostra monzese) e cioè Giovan Battista Piranesi, per il Settecento, e Giovanni Fattori Giuseppe De Nittis per l’Ottocento… Non nego pertanto che mi piacerebbe che i bellissimi spazi della Reggia di Monza possano ospitare in un futuro non troppo lontano qualche mostra che li riguardi; magari cominciando proprio da quel Piranesi architetto-archeologo-incisore che non era sicuramente un «peintre-graveur» come intendeva Vollard, ma che quanto a bravura e fantasia non fu certo, nel suo genere rovinistico e antiquario, secondo a nessuno.

 

 

 

 

Condividi:

Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it