Giulia, figlia ribelle di Augusto

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Note a margine di un recente libro di Lorenzo Braccesi

Sarà perché andiamo verso il 2014, anno del bimillenario della morte di Augusto (avvenuta pertanto nel 14 a.C.), ma di recente annotiamo una serie di interessanti iniziative editoriali e congressuali, variamente legate alla memoria del fondatore dell’impero romano. Tra queste, particolare originalità ha il libro di Lorenzo Braccesi, Giulia, la figlia di Augusto, Laterza, Roma-Bari, 2012, proprio perché ha al suo centro una figura storica complessivamente poco conosciuta.

GGiuliaGiulia fu infatti l’unica figlia di Augusto, avuta da Scribonia prima di sposare la mitica Livia (poi anch’essa Augusta), al tempo delle nozze già madre di Tiberio e incinta di Druso. E senza dubbio Giulia è nota ai più per essere stata sposa del cugino Marcello, morto in giovane età, poi dell’anziano generale Agrippa – compagno d’arme del padre – e da ultimo del fratellastro Tiberio, futuro princeps; ma soprattutto per la sua relegatio sull’isola di Ventotene (nel 2 a.C.), che la tradizione vuole dovuta all’ira paterna per i suoi costumi sessuali dissoluti. Quasi nessuno però – compreso chi scrive – aveva prima d’ora dato una lettura così politica della sua persona, che secondo Braccesi incarnò in qualche modo una sorta di opposizione al regime paterno, e di vero contraltare allo strapotere che Livia aveva assunto nella Domus imperiale. Certamente colta, partecipe dei circoli culturale dell’Urbe, ella fu forse la Corinna cantata dallo scandaloso Ovidio, poeta d’amore; e nondimeno fu amante più o meno “storica” di Iullo Antonio, anch’egli poeta, ma soprattutto figlio di quell’Antonio che il padre Augusto aveva sconfitto ad Azio nel 31 a.C. Il princeps non poteva dunque gradire questa sua frequentazione, dalla quale – forse – nacque la folle idea di una congiura antiagustea, quasi una vendetta di Antonio e Cleopatra. E d’altro canto Livia, che aspirava a persuadere il marito a designare suo successore il “suo” Tiberio, non vedeva di buon occhio i cinque figli rivali che Giulia aveva avuto da Agrippa, due dei quali – Gaio e Lucio – Augusto aveva adottato e perfino nominato “Cesari” prima di una loro morte tanto prematura quanto sospetta.
Alcuni passaggi del libro di Braccesi sono davvero strettissimi, eppure si tengono nel loro complesso; e poi la serietà e l’autorità dello storico sono tali da privilegiare la voglia di lasciarsi persuadere in tutto e per tutto. Ad ogni modo, non si può che convenire che un esilio così prolungato (prima a Ventotene e poi a Reggio Calabria), che durò tutta la vita, non fosse esclusivamente giustificato dalle ripetute “corna” fatte a Tiberio (e prima alla buonanima di Agrippa): la libertà di costumi era infatti piuttosto diffusa nell’aristocrazia romana del tempo. Plausibile dunque che l’anticonvenzionale figura di Giulia abbia raccolto su di sé le aspettative politiche antiagustee sia di alcuni nostalgici della repubblica, sia di simpatizzanti di un sistema di governo autocratico orientalizzante come quello vagheggiato da Antonio e Cleopatra, cui forse Iullo Antonio e lei si ispiravano. Bella, elegante, raffinata, amata dal popolo e disinibita quanto basta, Giulia impersonò dunque il ruolo della principessa ribelle, che il princeps tollerò fino a quando gli atti di lei non assunsero rilevanza politica eccessiva: la “macchina del fango” di regime, però, dovette tacere queste pericolose implicazioni istituzionali, insistendo solo sulla sua condotta adultera e perversa, lesiva del mos maiorum e oltraggiosa delle leggi augustee contro gli adulterii.

gemmaMorì anch’ella nel 14 d.C., poco dopo il padre, forse uccisa dal vendicativo Tiberio, che la privò di cibo e bevanda, facendola perire di stenti: vendetta davvero eccessiva per infedeltà di molti anni prima, nell’ambito di un matrimonio di natura politica che né lui né Giulia avevano mai gradito. Ma, anche qui, non si può ridurre tutto a questioni adulterine, e – al di là del libro di Braccesi – quest’ultimo episodio è indicativo della precarietà del sistema politico creato da Augusto, soprattutto se ormai nelle mani di una figura sospettosa e timorosa come Tiberio. Augusto aveva infatti accumulato su di sé tutti i poteri repubblicani, ma aveva sempre negato che questa fosse una “svolta monarchica”; anzi, parlava sempre di res publica restituta. D’altronde, pur con mille incertezze e con gli imprevisti di molte, troppe, morti premature, voleva (come avviene nelle monarchie) che il suo successore fosse espresso dalla sua famiglia. Marcello, forse Agrippa, Gaio e Lucio Cesare e – alla fine e senza troppa convinzione – Tiberio, furono gli eredi designati, veri monarchi in un regime formalmente repubblicano… Tiberio, dunque, una volta acquisito l’impero, comprese la precarietà della sua posizione: non aveva certo l’autorità morale di Augusto per fare il “monarca repubblicano”, e dunque governò con brutale e sospettosa ferocia. Non stupisce che le sue prima vittime siano state Giulia, figlia del “vero” princeps, e Agrippa Postumo, l’ultimo figlio maschio di Giulia ancora vivente: solo liberandosi del sangue del sangue di Augusto, infatti, sarebbe stato (forse…) al sicuro. La pax augustea, dunque, aveva raggiunto le sconfinate terre dell’impero e liberato Roma dalle guerre civili; aveva però aperto una guerra dinastica che Ottaviano non aveva saputo o voluto prevedere, guerra della quale Giulia era stata importante parte in causa, come figlia, figliastra, moglie, madre e amante di coloro che la combattevano. E che – secondo le tesi del libro di cui ho parlato – combatté lei stessa, con le armi che le donne del suo rango possedevano, cioè cultura, ricchezza e prestigio, ma soprattutto con quella intelligenza e quello charme che non si comprano o ereditano, ma si possiedono e si coltivano. Per questo faceva paura, e per questo fu relegata lontano; e per questo la memoria di lei fu prima infangata e poi offuscata, tanto è che – al di fuori di qualche ipotetico ritratto – non possediamo sue immagini certe. Forse anche solo vederne una statua faceva tremare il pavido Tiberio, e non per la gelosia “postuma”, ma per il carico di destabilizzazione politica che questa poteva avere; tant’è che qualcuno (ad esempio lo storico Augusto Fraschetti, in un convegno di qualche anno fa) ne ha ipotizzato una vera e propria damnatio memoriae ufficiale. Se così fosse, e Braccesi non lo crede, Giulia avrebbe avuto una “punizione” degna di un maschio di rango imperiale, come ad esempio avverrà a Nerone. Su questo punto, da storico, sospendo il giudizio. Immagino però che nessuna damnatio potesse cancellare a breve il ricordo di Giulia dai membri dei salotti romani e dai circoli letterari che aveva frequentato; e da quella plebe urbana che l’aveva sempre amata, in quanto donna di fascino, ma soprattutto – come si diceva – unica vera figlia di quel grande leader che, già Pater Patriae, dopo la morte era stato deificato come Divus Augustus.

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