Tra accademia e divulgazione
Su queste colonne ho scritto, qualche tempo fa, la recensione a un poderoso volume che raccoglieva gli scritti di antichistica pubblicati da numerosi autori sul «Corriere della Sera» dal 1876 al 1945. Il libro di cui parlo oggi comprende invece gli articoli di un solo, grande, studioso, e cioè Giancarlo Susini (Bologna, 1927-2000), editi sulle pagine del «Resto del Carlino», il giornale di quella città – Bologna – che lo ha visto per molti anni protagonista della propria vita accademica e culturale.
Susini insegnò infatti per molti anni all’Alma Mater, dove fu professore ordinario di Storia Romana e svolse a lungo, oltre ad altri incarichi, quello di preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Egli fu in realtà molto attivo in tutta la sua Regione come Presidente della Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna e Consigliere dell’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia Romagna.
Forse, però, la mia insistenza sulla dimensione locale sta un po’ stretta a un uomo che coordinò missioni di ricerca nel Dodecaneso e in Bulgaria, divenne Accademico dei Lincei (1993), ricoprì incarichi internazionali come la presidenza della Association Internationale d’Épigraphie Grecque et Latine e diresse fino alla morte «Epigraphica», rivista nota tra gli epigrafisti di ogni Paese.
Fu dunque un bolognese “cittadino del mondo”, uno «studioso che viaggiava e leggeva i “segni” degli eventi e del paesaggio, […] tra i primi ad avvertire l’esigenza di un diverso e innovativo approccio ai beni culturali e ai modi di divulgare la conoscenza del patrimonio» (pp. 8-9), come scrive Valeria Cicala, curatrice di questa preziosa selezione di piccoli saggi intitolata Giancarlo Susini, L’antico in terza pagina. Scritti giornalistici, Fratelli Lega Editore, Faenza 2020 (pp. 298).
Una recensione faziosa (la mia)
Prima di un rapido accenno ai contenuti, una nota doverosa. Questa potrebbe essere considerata una recensione parziale, faziosa, perché – epigrafista latino di formazione – io ho studiato (anche) sui libri di Giancarlo Susini, apprezzandone il taglio innovativo, quasi provocatorio: da scienza delle pietre iscritte, con lui l’epigrafia è diventata infatti indagine antropologica sulle forme di comunicazione nell’antichità.
Ho avuto anche il privilegio di essere stato suo allievo durante gli anni lontani del Dottorato: fu infatti lui, insieme con Angela Donati (della quale già ho scritto in occasione della sua scomparsa), il “Tutor” della mia Tesi. Insomma, la scelta di provare il concorso di Dottorato in Storia Antica a Bologna dipese dalla loro presenza in quella sede: fu proprio il mio Maestro milanese, Antonio Sartori, a incoraggiarmi in quella direzione.
Ma i motivi di parzialità e faziosità non sarebbero ancora finiti, perché – da anni – conosco anche la curatrice Valeria Cicala, allieva storica di Susini e presenza significativa nel panorama dei Beni Culturali dell’Emilia Romagna. Garantisco però i miei lettori che temono il conflitto di interessi del recensore: il volume di cui parlerò è di assoluta piacevolezza e di enorme interesse, purché – ovviamente – chi lo prenda in mano sia appassionato (o perlomeno curioso) di antichità.
Il passato dialoga col presente
Valeria Cicala ha fatto bene, per comodità di consultazione, a suddividere gli articoli del Maestro in varie sezioni: Archeologia (pp. 15-90), Eventi e ricorrenze (pp. 91-44), Luoghi (pp. 145-196), Mostre (pp.197-240), Segni e scritture (pp. 241-297). È però vero che questi temi spesso nei suoi “pezzi” si mescolano, con quella grazia e quel nitore espressivo che sono tipici di Susini: in essi ritrovo infatti molti dei tratti del suo eloquio forbito ma mai oscuro e di quell’eclettismo culturale che non è però mai confusione di ambiti.
Se dovessi comunque individuare il vero “filo conduttore” degli articoli, direi che è quello della ricerca di un legame sostanziale, non banale né forzato, tra passato e presente. Un passato che è fatto di storia e cultura e che si cala davvero nelle nostre vite di oggi, nonostante i periodici tentativi di rimozione della memoria storica più lontana, contro i quali Susini ha sempre lottato, come attesta suo un acutissimo scritto del 26.11.1986 nel quale afferma: «Credo che l’errore di questo progetto di amputazione della conoscenza storica risieda in un concetto ammuffito dell’antico come classico e quindi come paradigma che potremmo rifiutare» (p. 246). Ma di «ammuffito» nei testi di Giancarlo Susini non c’è proprio nulla, come vedrete: io farò qui solo qualche cenno al loro contenuto, saltabeccando senza troppa sistematicità da una sezione all’altra.
Qualche assaggio, qualche ricordo personale
In un gustoso intervento intitolato Un etrusco in giardino (18.08.1982) Susini suggerisce, provocatoriamente, di cedere a privati o depositare con grande larghezza a enti pubblici, scuole, a gruppi sociali ecc. materiale archeologico cosiddetto “minore” in esubero, dopo averlo catalogato e studiato, per «sgravare i musei… rendere famigliare il manufatto antico… donde verrà più spontaneo e sarà più gradito agli uomini rispettare quel che trovano» (p. 31). Ricorda altrove ai Bolognesi che il più antico monumento romano della loro città è stato un teatro, fatto importante nella località dove è nato il DAMS (28.07.86). Più volte pone con forza tematiche di carattere ecologico, ed è particolarmente efficace una sua riflessione sull’inquinamento nel mondo greco-romano (24.04.1992), così come quella sul plurisecolare traffico lungo la Via Emilia (29.01.1996).
Non si contano poi – nelle varie sezioni – cenni a musei, mostre, iniziative culturali: tra queste menziono in particolare l’inaugurazione della nuova sezione lapidaria del Museo di Rimini (12.07.90), che ebbi l’onore di visitare insieme con lui, così come quello di Sarsina, del quale parla altrove, in occasione di un locale convegno (30.03.1990).
A proposito di convegni: due delle segnalazioni susiniane, una relativa a un colloquio tenutosi a Rimini dal titolo Una res publica tra terra e mare (30.10.1993), e un’altra a un incontro nella meravigliosa Sintra, in Portogallo, sul rapporto tra le divinità indigene e quelle romane (5.04.1995), sono per me assai emozionanti. Infatti c’ero anch’io, e ricordo con particolare nostalgia l’entusiasmo del professor Susini e le parole scambiate con lui a cena, o in pullman durante le escursioni.
Ho ancora in mente – ci sono cose che non si dimenticano… – la sua voce rotta quando, proprio a Rimini, il 31 ottobre 1993 annunciò dal palco dei relatori la morte di Federico Fellini, allora (e ancora oggi) insuperabile genius loci della località romagnola. E, allo stesso modo, mi ricordo una sua riflessione su alcune manifestazioni del culto del Sole e della Luna fatta davanti a una scogliera portoghese – a Cascais, se non mi sbaglio – dialogando con l’amico José d’Encarnação, docente all’Università di Coimbra. È stato bello rileggerne qualche “lampo” a p. 288 di questo volume. Così come, nei numerosi testi di carattere più strettamente epigrafico (quelli della sezione Segni e scritture), è stato bello risentire l’eco delle sue immaginose lezioni.
In giro per il mondo, a prendere appunti
Per quanto concerne il lato internazionale della sua personalità, questo è mostrato da un paio di articoli sull’idea di Europa: uno di sapore più mitologico (12.02.1985), un altro più storico, che fa riferimento al tempo di Augusto (19.09.85).
Ma sono soprattutto i suoi resoconti (o ricordi) di viaggio in ogni parte del mondo a significare quel cosmopolitismo cui già accennavo: lo troviamo infatti in mezza Europa (specialmente nelle amate regioni danubiane) ma anche in Libano, Canada, Brasile, Stati Uniti, Giappone e perfino in molti Paesi africani.
E, in verità, l’idea dell’uomo che gira per il mondo – scrive Valeria Cicala – «compiendo ogni volta una sorta di pellegrinaggio, durante il quale riempiva di appunti fittissimi i suoi inseparabili notes» (p. 10) è presente in ogni suo articolo; perché la sua curiosità lo portava a scovare l’insolito nesso tra passato e presente sia a due passi da casa (a Bologna, Rimini, Sarsina, Forlì, o nella piacentina Veleia, da lui definita la «Pompei del nord» in data 3.08.1991) sia in luoghi remoti. Sì, luoghi remoti come quel Bengala (è lui stesso a dircelo) da dove provengono le sue figlie adottive, cui fa cenno in un delicato quanto dottissimo pezzo (13.08.1994), nel quale associa la dolcezza di padre alla lucidità dello studioso, con un’indagine sugli aspetti sociologici, antropologici e finanche giuridici della pratica dell’adozione.
Insomma, io ho ritrovato il grande storico e la persona di intensa umanità che conoscevo bene e che ci ha purtroppo lasciato già da vent’anni. Non solo. Ne ho potuto apprezzare un aspetto di cui sapevo poco, perché – da milanese – non sono (e non ero) solito leggere il «Carlino», e dunque questi articoli sono stati per me una vera novità: di ciò debbo proprio ringraziare Valeria Cicala.
Chi invece non ha avuto la mia fortuna (e la mia età…) e dunque non ha potuto conoscere il professore, troverà nel libro un modo (complementare agli studi accademici) per avvicinarsi a lui, e scoprire con piacevole sorpresa la sua multiforme personalità: vivace e cosmopolita, ma nel contempo pensosa e riflessiva come quella tartaruga con la quale amava talora siglare a schizzo i messaggi o gli appunti per i suoi amici e che ora illustra la copertina di questo volume.