L’iniziativa è il secondo dei cinque appuntamenti di Percorsi nel Novecento, programma ideato dalla Direzione del Sistema Museale Urbano Lecchese e affidato per la sua progettazione e realizzazione a ViDi Cultural che, fino a novembre 2024, analizzeranno la fenomenologia dell’arte italiana nei primi sessant’anni del XX secolo. Della prima di queste mostre ideate, cioè Poetiche. Quotidiano e immaginario nell’arte italiana tra Ottocento e Novecento, abbiamo già dato conto su queste colonne.
L’esposizione in corso è – come la precedente – curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi cultural, in collaborazione con il Comune di Lecco e il Sistema Museale Urbano Lecchese, travel partner Trenord. Essa si concentra – come si è anticipato – sull’esperienza futurista, nelle sue molteplici espressioni, attraverso le opere dei suoi più celebri rappresentanti, da Giacomo Balla a Luigi Russolo, da Gino Severini a Enrico Prampolini, da Filippo Tommaso Marinetti ad Antonio Sant’Elia, da Fortunato Depero a Tullio Crali, a molti altri ancora. Lo fa però, come vedremo con una prospettiva di ampio respiro.
L’avanguardia futurista e i sui esiti successivi
Il materiale esposto – proveniente da collezioni pubbliche ma soprattutto private – ci offre una rassegna interessante del movimento teorizzato da Marinetti su Le Figaro nel 1909 con quel primo Manifesto che intendeva provocatoriamente “rompere” con la tradizione, con tutte le tradizioni; che professava una ricerca del nuovo a tutti i costi, della velocità e del dinamismo, in opposizione all’immobile passatismo imperante, perché «un automobile ruggente [n.d.a rigorosamente maschile, prima di D’Annunzio], che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia».
Seguirono poi i vari manifesti tecnici, le «parole in libertà», il vivace bellicismo e l’interventismo, il sostegno (in realtà non sempre acritico) al Fascismo e molto altro ancora. Ma soprattutto seguirono alla grande esperienza artistica iniziale – quella dei Balla e dei Boccioni per intenderci – innumerevoli “rivoli” avanguardistici che andarono ben oltre quel 1919 (anno della morte di Boccioni) con il quale di solito si ritiene chiusa la prima fase del movimento.
Ed è proprio su queste continuità che la mostra lecchese consapevolmente e meritoriamente insiste; infatti la curatrice afferma che «pur senza negare l’importanza dei primi dieci anni di gestazione, in una corretta lettura del Futurismo non si può prescindere dall’analisi anche dei due decenni seguenti. È, anzi, proprio in queste successive generazioni che il Futurismo trova la propria unicità; rispetto alle altre avanguardie europee». Ed è soprattutto – continua Simona Bartolena – negli anni Trenta che esso ha saputo costruire «una complessa rete culturale, come alternativa straordinaria e unica nel panorama europeo alle tendenze più in voga».
Balla, Russolo, Depero e molti altri
Venendo a qualche segnalazione, chi scrive è da sempre affascinato dall’arte di Giacomo Balla (che talora si firma Futurballa) e dalla contaminazione tra arte e pubblicità nell’esperienza di Fortunato Depero, da tutti associato alla réclame del Campari (ne ho già scritto qui): di entrambi gli artisti, che rappresentano due fasi lontane del movimento, ci sono opere davvero interessanti.
Così come sono interessanti le opere in mostra di Plinio Nomellini e Gino Severini, che sono spunto per indagare i legami del movimento rispettivamente con il Divisionismo e il Cubismo.
L’aspetto più propriamente dinamico dell’arte futurista – con il culto della velocità e l’esaltazione della macchina sopra ogni cosa – è il filo conduttore dei lavori di Luigi Russolo, Roberto Iras Baldessari (bellissimi i suoi treni e le sue motociclette), Giulio D’Anna; ma anche di un piatto in ceramica di Romeo Bevilacqua realizzato presso quelle fornaci Mazzotti di Albissola che sono già state oggetto di un mio articolo su La ricerca.
Non dimentichiamo neppure le vedute aeree di Gerardo Dottori o Tullio Crali, ma neppure – per tornare al discorso iniziale, quello dei “rivoli”… – le opere di chi, come gli astrattisti comaschi Manlio Rho, Mario Radice e Carla Badiali, se non furono futuristi senza il Futurismo non avrebbero intrapreso i loro percorsi creativi.
Per concludere. Ovviamente il visitatore che voglia “toccare con mano” (metaforicamente) i capolavori assoluti del Futurismo li troverà a Milano, nella Galleria del Futurismo del Museo del Novecento. Per capire, riflettere, imparare, non sottovaluti però la bella mostra lecchese, il cui impianto – per così dire – critico e in qualche modo “didattico” è davvero lodevole.
Addendum semiserio
Due note finali.
La prima è che è esposta a Lecco una copia originale del Manifesto della cucina futurista, del 1931, di Marinetti e Fillia. Io ne possiedo una copia anastatica che ogni tanto rileggo con grande gusto, constatando – con somma gioia – come l’auspicata abolizione della pastasciutta, presunto simbolo di passatismo gastronomico, non abbia avuto corso.
La seconda è ancora più personale e – ovviamente – rientra in una dimensione puramente onirica. Se l’anonimo proprietario della tempera di Giacomo Balla Belfiore, Viola, degli anni Venti (la foto non era tra quelle fornite dall’ufficio stampa, dunque non la pubblico) decidesse di regalarmela, in qualunque parte d’Italia vivesse andrei di corsa a prenderla. Sembra un ossimoro, ma è un dipinto futurista tenue e delicato. Forse Balla mi sgriderebbe per la definizione, ma per me è davvero così: da sola, questa carta dipinta – che ho sentito come una sorta di anticipazione dei notissimi Flowers di Andy Warhol – vale la visita.