In occasione del lockdown e della conseguente chiusura delle sale cinematografiche, la Rai ha deciso di fare un regalo agli appassionati della settima arte. Sul sito RaiPlay è disponibile una selezione di alcuni tra i film più famosi di François Truffaut. Undici opere che ripercorrono le tappe salienti della carriera del regista francese. Un’ottima occasione per scoprire o rivedere i film di uno dei grandi protagonisti della Nouvelle Vague, che ha contribuito a rivoluzionare il mondo del cinema del secondo dopoguerra.
È in quel periodo che un gruppo di giovani cinéphiles, assidui frequentatori della Cinémathèque française, cominciarono a radunarsi attorno alla rivista Cahiers de Cinéma, fondata nel 1951 dal critico André Bazin. Nasceva una nuova generazione di critici cinematografici, che dopo pochi anni sarebbe passata dietro la macchina da presa per dar vita al movimento delle Nouvelle Vague. I loro nomi sono famosi e fanno parte della storia del cinema: Jean-Luc Godard, Jaques Rivette, Eric Rohmer, François Truffaut, Alain Resnais, Claude Chabrol, Louis Malle, Agnès Varda, solo per citare i più celebri.
Sulle pagine della rivista «Cahiers de Cinéma», i giovani ribelli si schieravano contro il cinema francese dell’epoca, sentimentale e paludato, considerandolo lontano dalla realtà e dalle nuove istanze sociali. Non si riconoscevano in quello che chiamavano il cinéma de papa e cercavano nuovi modelli più vicini alla loro sensibilità artistica. I loro punti di riferimento stilistici, estetici e narrativi erano alcuni registi americani: Fritz Lang, Nicholas Ray, Orson Welles, John Ford, Alfred Hitchcock e Robert Aldrich, personalità in grado di superare il rigido sistema dei generi del cinema americano e l’organizzazione industriale di Hollywood.
Nasceva così la politica degli autori, l’idea che la figura del regista poteva essere assimilata a quella di uno scrittore, unico artefice della propria opera. La Nouvelle Vague metteva al centro del processo creativo cinematografico la visione del mondo personale di un individuo.
Da un punto di vista estetico, il cinema doveva ripartire dalla realtà, uscire dai teatri di posa per scendere nelle strade. Lo stile della Nouvelle Vague predilige l’utilizzo di scenari reali, di luce naturale, di rumori di sottofondo e della recitazione in presa diretta. La realtà costituiva però solo un presupposto da rielaborare con una ricostruzione personale, che passava attraverso scelte narrative, estetiche e di montaggio innovative.
Il cinema doveva abbandonare la rassicurante finzione della verosimiglianza, per denunciare la presenza della macchina da presa, di uno sguardo autoriale che creava l’opera. La regia diviene un atto consapevole e visibile di ricomposizione e messa in forma della realtà secondo le idee di un autore. Stacchi netti tra una sequenza e l’altra, salti temporali, la presenza visibile del montaggio, che segna la narrazione come precisa scelta autoriale e come una vera e propria firma stilistica.
Se in questo rinnovamento Jean-Luc Godard ha rappresentato l’anima rivoluzionaria, dissacrante ed estrema, François Truffaut è all’opposto il regista del cambiamento meno traumatico e radicale, graduale e dolce, che introduce elementi nuovi sulle vecchie strutture. Non è un caso che sia il regista della Nouvelle Vague più popolare e amato dal grande pubblico, quello più semplice da interpretare anche attraverso i canoni classici del cinema.
Grazie al suo talento è alla sua sensibilità, è riuscito a innovare senza creare fratture con il passato, a introdurre nuovi elementi senza fare tabula rasa. I suoi film trattano argomenti nuovi, spesso ispirati a esperienze personali, che portano nel cinema la realtà quotidiana, la vita reale di tutti i giorni, l’amicizia, l’amore, la passione, la gelosia, il tradimento, tutti raccontati con un tocco lieve e delicato, con uno stile elegante, raffinato e con rimandi continui al cinema classico americano. La sua è una rivoluzione silenziosa, che agisce dall’interno, quasi senza far rumore.
Rai Play propone un itinerario cha parte dal suo primo lungometraggio I quattrocento colpi (1959). Il racconto della difficile infanzia di Antoine Doinel, vero e proprio alter ego cinematografico di Truffaut e protagonista di molte sue opere.
Si prosegue con un omaggio al cinema noir americano con Tirate sul pianista (1960) e con il triangolo d’amore e amicizia di Jules e Jim (1962), uno dei suoi film più famosi. Sempre l’amore, tra indecisioni, ripensamenti e tradimenti, è protagonista di La calda amante (1964), Baci rubati (1968) e Le due inglesi (1971). Interessante, anche se non memorabile, Mica scema la ragazza! (1972), che racconta di un sociologo alle prese con un’accusata d’omicidio dallo spirito libero e trasgressivo.
L’amore fugge (1979) rappresenta un momento di riflessione, anche autobiografico, sull’esistenza. Antoin Doinel è ormai giunto all’età della maturità e dei primi bilanci. Agli inizi degli anni Ottanta, Truffaut firma tre capolavori. L’ultimo metrò (1980), ambientato nella Parigi del 1942, è un omaggio al teatro e al mestiere del regista, La signora della porta accanto (1981) è un mélo che racconta la passione distruttiva di un amour fou, e Finalmente domenica! (1983), un vero e proprio atto d’amore verso il cinema americano di genere. Un’opera che miscela sapientemente le atmosfere noir, il plot di un giallo e i toni della commedia.
Buona visione.