La prima cosa che colpisce Franca Ongaro quando mette piede per la prima volta dentro l’ospedale psichiatrico goriziano è l’odore. «Un odore spaventoso che ti impregnava i vestiti e che non ti andava via neanche quando tornavi a casa, ti facevi la doccia e ti cambiavi. L’odore del manicomio. Odore di chiuso, di feci, di orine e di sofferenza». Così lo ricorda nel suo libro per ragazzi Manicomio perché? (Emme Edizioni, 1968) scritto per raccontare ai più giovani quella che sarebbe diventata una delle più importanti rivoluzioni culturali del Novecento: la liberazione dei “matti”.
Per Franco e Franca, quella a Gorizia è la prima esperienza diretta del disagio mentale e delle condizioni inumane in cui vivevano i pazienti, e cambia per sempre la loro vita. Basaglia è un medico che ha abbandonato la carriera accademica e tenta la strada della pratica clinica, che continuerà poi anche a Trieste. Per Ongaro, invece, che all’epoca si interessava prevalentemente di letteratura e voleva scrivere libri per l’infanzia, l’impatto con questa nuova realtà è un tale shock che da quel giorno nasce il suo impegno quotidiano nelle istituzioni totali.
Ma facciamo un passo indietro per capire da dove viene questo sodalizio personale e intellettuale: Franca e Franco si conoscono nel 1945 a Venezia, lei ha 17 anni e frequenta l’ultimo anno del liceo classico, mentre lui studia medicina a Padova. L’incontro avviene grazie a un’amicizia in comune, e nel giro di pochi anni si sposano: è il 1953. Arrivano poi due figli, Enrico e Alberta, e inizialmente, pur condividendo tutto, Ongaro sceglie di avere un ruolo defilato, ma non per questo meno importante.
Infatti, anche se non è così noto, lei è coautrice di molti libri fondamentali pubblicati in quegli anni da Basaglia e colleghi: testi celebri come L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico (del 1968) o Che cos’è la psichiatria (1974) sarebbero stati molto diversi se il dirompente caos creativo di Franco non avesse avuto come contraltare la pacata meticolosità di Franca. Lo scambio di idee è continuo sia all’interno della coppia sia nel gruppo di lavoro dei “basagliani”, e a queste discussioni Ongaro porta il prezioso contributo della sociologia, di cui era appassionata pur non avendo una formazione accademica (riceverà una laurea honoris causa in scienze politiche solo nel 2001), e che all’epoca era molto lontana dal contesto della psichiatria.
Abbiamo chiesto ad Annacarla Valeriano, storica e autrice di Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro Basaglia (uscito da poco per Donzelli), di tratteggiare un ritratto di questa figura eccezionale eppure così poco conosciuta. «Le sue azioni furono sempre improntate all’attivismo politico – ci ha raccontato –: accanto al marito partecipò profondamente al movimento basagliano, dando impulso alle pratiche di rottura istituzionale attuate in quegli anni e interessandosi alla vita dell’ospedale psichiatrico. Dalla conoscenza della realtà manicomiale e delle dinamiche che la governavano presero avvio una serie di riflessioni e studi: un primo riferimento è alle attività di traduzione condotte sugli scritti del sociologo americano Erving Goffman. Infatti fu grazie a lei che anche in Italia, a partire dagli anni Sessanta, fu possibile iniziare a leggere opere come Asylums e Il comportamento in pubblico».
L’incessante lavoro di Ongaro è testimoniato anche dalla figlia Alberta Basaglia, che nel suo libro di memorie Le nuvole di Picasso. Una bambina nella storia del manicomio liberato (Feltrinelli, 2014) ricorda il ticchettio notturno della macchina da scrivere della madre, che decifrava e riordinava gli appunti lasciati dal marito su fogli sparsi per trasformarli in una bozza su cui discutere ancora. «Nella penombra sentivo il fumo di sigaretta che fluttuava da una camera all’altra, insieme alle parole di Franco e Franca. Suoni e odori che arrivavano in camera mia, fino al mio letto. Le loro voci in compagnia delle truppe intellettuali evocate: Marcuse, Sartre, Conolly, Goffman, Heidegger, Hegel, Marx, Gramsci. Arrivavano tutti puntuali a darmi la buonanotte. Era la mia ninna-nanna, che durava fino a tarda, tardissima ora».
Franco Basaglia muore prematuramente nel 1980, appena un paio d’anni dopo l’approvazione della legge che porta il suo nome, e nel successivo quarto di secolo la moglie si dedica sempre di più alla politica attiva. Si impegna infatti come parlamentare affinché la legge 180 non venga snaturata o archiviata, promuovendo una maggiore comprensione dei temi relativi alla salute mentale da parte della classe politica e di chi nell’amministrazione è poco favorevole al cambiamento.
Punto di partenza sono le riflessioni maturate nel gruppo di lavoro basagliano che Ongaro non abbandona alla morte del marito, ma che si irrobustiscono ulteriormente in questa seconda stagione di attivismo politico. Nel 1983 viene eletta in Senato con Sinistra Indipendente e vi rimane per due legislature consecutive, fino al 1992. Valeriano ci racconta che «la sua azione parlamentare si svolse sul versante della difesa della 180, contrastando chi voleva cancellare gli elementi nuovi su cui si fondava il processo avviato dalla riforma, ma anche sulla contemporanea ricerca di strumenti per realizzarla. Avanzò, in particolare, due proposte di legge che stimolarono strumenti di programmazione dei servizi di salute mentale: la prima fu presentata nel 1983 con la finalità di integrare la 180 con precise indicazioni su ciò che dovevano essere i servizi territoriali e sulla qualità degli interventi che avrebbero dovuto svolgere. Un secondo disegno di legge fu avanzato nel 1987 e fu elaborato in stretta collaborazione con gli operatori di Psichiatria Democratica: fu proprio guardando a esso che il ministro della Sanità Donat Cattin elaborò quello che venne poi chiamato Progetto obiettivo “Tutela della salute mentale” adottato nell’ambito del Piano sanitario nazionale 1994-96.»
Oltre a salvaguardare l’eredità della riforma basagliana, Franca Ongaro negli anni si interessa anche alla condizione femminile. In particolare, avendo avuto occasione di incontrare molte pazienti psichiatriche e visto l’impatto della malattia mentale su di loro, e attraversati gli anni delle lotte di rivendicazioni femministe, Ongaro indaga le radici del maschilismo ancora imperante nella società italiana cercando un modo per raggiungere la parità che non può essere mai data per scontata o acquisita una volta per tutte. All’impegno di Franca per la questione femminile il libro di Valeriano dedica un intero capitolo, e tra i vari scritti di Ongaro ricordiamo il volume Una voce: riflessioni sulla donna (del 1982), in cui lei stessa parla del rischio di ritrovarsi «relegata a preparare il latte caldo ai rivoluzionari». E anche per questo oggi, a quasi vent’anni dalla sua morte, avvenuta il 13 gennaio 2005, il suo pensiero e la passione civile di una vita per tutelare i diritti delle persone più deboli continuano a essere un faro che illumina la strada che dobbiamo ancora percorrere.
Grazie alle ricerche condotte alla Fondazione Basaglia di Venezia, Valeriano si è fatta un’idea precisa di chi sia stata Franca Ongaro e dell’eredità che ci ha lasciato: «dalle carte d’archivio emerge il ruolo fondamentale svolto da Ongaro sia per conferire concretezza alle opere scritte insieme a Basaglia, sia per arrivare a generare quella rivoluzione nel mondo della psichiatria iniziata a Gorizia che poi sarebbe proseguita negli anni successivi. Le sue eredità sono tante: prima fra tutte la capacità di conferire al proprio lavoro un valore politico, agendo sulle contraddizioni e lottando contro ogni facile riduzionismo della realtà. Guardando alle sue azioni, resta l’insegnamento di proseguire ad accogliere gli altri diversi da noi, spalancando non soltanto le porte delle istituzioni ma delle nostre menti. Si tratta di tenere aperta una finestra sull’impossibile, la stessa da cui Basaglia e Ongaro scelsero di iniziare a guardare i panorami di quell’utopia della realtà che avrebbe costituito gli scenari di Gorizia e Trieste».