Si riconosce ormai l’importanza del fatto che la formazione degli insegnanti debba anche includere una solida base socio-pedagogica e didattica. Ma in che modo offrire tale formazione? L’idea prevalente, dai modelli originari della SISS ad oggi, è che occorra dedicare uno o due anni di formazione universitaria a questi ambiti prima di consentire ai futuri insegnanti di entrare in classe.
Una vecchia concezione accademica
C’è tuttavia chi è nettamente contrario a questa soluzione. Secondo l’Associazione S.Ap.I.E (Società per l’Apprendimento e l’Istruzione informati da evidenze) questa impostazione è il riflesso di una vecchia concezione accademica, il cui unico effetto è quello di ritardare l’ingresso – indispensabile per un reale cambiamento – di nuove generazioni di docenti nella scuola.
All’idea di una formazione da attuare tutta e subito (e quindi una formazione che rischia di essere astratta) è da preferire, secondo l’Associazione S.Ap.I.E.:
- un’azione iniziale più agile, basata sulle abilità e nozioni fondamentali che consentono ad un docente di gestire una classe;
- una formazione distribuita razionalmente negli anni successivi, in un’ottica di life-long learning, e che sia ancorata ai problemi reali della scuola e della didattica, con precisi traguardi di avanzamento di carriera basati sulle reali competenze acquisite e adeguatamente documentate.
Le criticità di oggi: sistema formativo e reclutamento
Per entrare più nello specifico nella descrizione di tale proposta occorre partire dall’esigenza di dare una risposta alle principali criticità tanto del sistema formativo quanto del sistema dil reclutamento degli insegnanti.
- I laureati iniziano ad insegnare troppo tardi e l’età media dei docenti nella scuola è significativamente più alta di quella degli altri paesi: è dunque urgente abbassare l’età di ingresso dei nuovi insegnanti nella scuola.
- L’insegnante gode di bassa reputazione sociale e quindi la professione insegnante non attrae abbastanza i giovani capaci.
- La scuola italiana si caratterizza per l’impegno verso una piena inclusione ma l’insegnante di sostegno rimane una sorta di insegnante “di serie B”: occorrono soluzioni che favoriscano l’equivalenza dei ruoli.
- I modelli di formazione degli insegnanti sinora applicati sono stati caratterizzati da eccessiva astrattezza, scarsa rispondenza ai problemi reali e da un tirocinio per lo più inerte, inteso come periodo da “consumare” in un contesto scolastico.
Se si vuol fare della scuola un agente forte per il rinnovamento del paese occorrono svolte coraggiose, basate su un cambiamento di rotta rispetto ai modelli e ai modi di pensare che purtroppo si sono anche radicati nel senso comune, senza però mai dimostrare la loro efficacia.
Una proposta per superare le criticità
È opportuno pensare ad un percorso di formazione e avanzamento di carriera che intervenga su questi aspetti attraverso un modello organico di formazione che si estenda nel tempo con una progressione basata sul merito. Tale percorso potrebbe prevedere:
- un primo step pre-service di formazione di base, necessario per far acquisire al futuro docente un set di abilità minime per metterlo in condizione di insegnare;
- un secondo step di formazione in servizio di tre anni, suddiviso in due percorsi paralleli, entrambi di 36 cfu, il primo per diventare insegnante disciplinare, il secondo per diventare insegnante per il sostegno.
A questi due livelli obbligatori per diventare insegnante di ruolo possono far seguito altri perfezionamenti facoltativi focalizzati sulla didattica ordinaria o sulla inclusione, con un livello finale di certificazione di expertise, conseguibile solo se il docente è stato in grado di portare la propria classe a livelli superiori di apprendimento apprezzabili attraverso criteri esterni di riferimento.
Se entriamo nel dettaglio ci si rende conto dei passaggi che portano il giovane laureato ad affacciarsi al mondo della scuola come nuovo insegnante.
Spostare la formazione nell’ottica del life-long learning
Il primo passaggio è quello ridurre significativamente la formazione preservice con spostamento sistematico della maggior parte delle azioni formative durante il servizio stesso, in un’ottica strutturata di life-long learning.
È preferibile optare per la soluzione di distribuire la formazione soprattutto (ma non solo) nei primi anni di insegnamento, ancorandola ai problemi reali, in un quadro razionale di livelli di competenze via via più complesse che si possano conseguire, accrescere e valutare nel tempo.
La proposta si basa sull’ipotesi di una formazione iniziale per il laureato (già in possesso di laurea magistrale) di 60 cfu, divisi in:
- 24 cfu prima di iniziare ad insegnare,
- 36 che si aggiungono nei primi anni di servizio.
I primi 24 cfu, da riconfigurare rispetto a quelli esistenti, devono riguardare, per così dire, il “kit di sopravvivenza” che mette l’insegnante in grado di gestire una classe (norme sulla responsabilità, sugli atteggiamenti da assumere, conoscenze fondamentali per fare una lezione e verificare i risultati). Questi 24 cfu dovrebbero poter essere sostenuti anche prima della laurea magistrale.
Conseguito tale livello di expertise basilare, il laureato può già insegnare ma deve completare la sua formazione con altri 36 cfu (12 per ogni anno) prima di conseguire il ruolo. Questi 36 cfu non devono essere intesi come “tirocinio” nell’accezione tradizionale, ma come momenti di ricerca azione ancorati a problemi reali da risolvere e legati a precise ipotesi concordate e verificate con le commissioni didattiche dell’università di riferimento, al cui interno sono compresenti competenze disciplinari e pedagogiche
Pari dignità tra insegnante di classe e insegnante di sostegno
È fondamentale che il percorso di formazione riguardi parallelamente in sia l’insegnante di classe sia insegnante per l’inclusione.
Se i 24 cfu forniscono una base comune, l’insegnante dovrebbe avere due possibili percorsi da affrontare, quello che porta a conseguire il ruolo come insegnante di classe e quello che gli permette di conseguire il ruolo come insegnante per l’inclusione. Con un andamento normale può percorrere uno di questi due percorsi in tre anni, con la possibilità di completarli entrambi in cinque anni. Questa equivalenza è necessaria per consentire poi una reale interscambiabilità dei ruoli nelle classi in cui siano presenti insegnanti di sostegno.
Un’opzione: l’avanzamento di carriera
La scarsa attrazione verso la professione dell’insegnamento non è solo riportabile al basso livello di retribuzione; influisce anche l’impossibilità di ottenere riconoscimenti ed avanzamenti di carriera chiaramente definiti secondo criteri espliciti ed affidabili.
Si propone di istituire un esame professionale “alto” attraverso un concorso nazionale periodico (simile a quanto accade per ASN per i docenti universitari) con una rigorosa selezione preliminare dei candidati; a questo concorso dovrebbero poter accedere solo insegnanti che presentino una documentazione in cui si dimostra che sono stati capaci di conseguire negli anni miglioramenti negli apprendimenti degli alunni della propria scuola, comprovandoli con criteri di terzietà (risultati oggettivi ottenuti nei piani di miglioramento, avanzamenti riscontrabili attraverso parametri Invalsi ecc.). Questi insegnanti conseguono un riconoscimento di “esperto di didattica e per la condivisione delle buone pratiche” e possono diventare formatori e consulenti per i decisori didattici al livello locale e nazionale.
L’ipotesi qui presentata viene espressa e articolata all’interno del documento “COSA FARE PER LA SCUOLA: Indicazioni per cambiamenti in un’ottica evidence-based. Norme, orientamenti e atteggiamenti didattici”, disponibile sul sito SApIE: www.sapie.it Scaricando il documento si può leggere il razionale della proposta con il titolo: “Formazione, reclutamento e avanzamento di carriera degli insegnanti” alle pagine 14-20, mentre le indicazioni per la sua implementazione sono disponibili nell’allegato 4 alle pagine 56-60. Per ulteriori informazioni e commenti è possibile contattare il Presidente dell’Associazione, prof. Roberto Trinchero, Università di Torino (roberto.trinchero@unito.it).
Questa ipotesi viene espressa e articolata all’interno del documento “COSA FARE PER LA SCUOLA: Indicazioni per cambiamenti in un’ottica evidence-based. Norme, orientamenti e atteggiamenti didattici”, disponibile sul sito SApIE e scaricabile all’URL https://sapie.it/wp/wp-content/uploads/2021/10/Documento-Sapie-Cosa-fare-per-la-scuola.pdf.
Si segua la voce formazione, reclutamento e avanzamento di carriera degli insegnanti (per una breve sintesi a pag. 2, per il razionale della proposta a pp. 14-20 , per la sua implementazione all’all. 4, pp. 56-60).
Per informazioni e commenti si può contattare il Presidente dell’Associazione, prof. Roberto Trinchero, Università di Torino.
Si auspicano commenti al riguardo, essendo lo scopo dell’Associazione di pervenire a una seconda versione più ampia, inclusiva anche di parti ancora carenti e di una riflessione sulle eventuali critiche.