Il mondo ideale e quello reale
Filosofia e scienza, a partire da Platone ed Euclide, hanno sempre giustapposto un ordine ideale al mondo reale. È un’esigenza esistenziale ed etica, oltre che teoretica e matematica. Ma il rapporto tra i due livelli è problematico, in quanto mondi irriducibilmente diversi. La matematica richiede approssimazioni e non coincide con la “realtà” anche se è lo strumento più raffinato ed efficace per la comprensione del mondo fisico e (in parte) di quello biologico, molto meno, almeno fino ad oggi, per l’interpretazione dei fenomeni cognitivi e psicologici.
Escher è ossessionato dal problema del confine tra ordine mentale e disordine reale (i due mondi incommensurabili), o meglio, proietta costantemente un’idea di ordine dentro la dimensione caotica e vitale con cui l’uomo-artista si confronta costantemente, e che ritrova sempre nella complessità inesauribile del mondo esterno.
Figure nello spazio
Un esempio di questa dialettica filosofica-artistica sono le opere ispirate alla tassellazione geometrica dello spazio, ovvero la sua copertura attraverso figure geometriche regolari ripetute in maniera periodica. Un compito semplice se vogliamo rivestire una parete regolare, già meno facile se vogliamo piastrellare un arco o una volta. Ancora più arduo se vogliamo rappresentare in termini matematici una costiera frastagliata o i contorni di una nuvola.
Limite del cerchio
In alcuni casi la geometria piana euclidea deve essere sostituita da una geometria curva (come nella relatività generale di Einstein), che non corrisponde però bene ai nostri schemi percettivi euclidei. L’opera di Escher (Limite del cerchio) può essere scambiata per un cerchio bidimensionale, ma rappresenta in realtà uno spazio iperbolico in cui le parallele formate da figure di pesci congruenti vanno ad addensarsi all’orizzonte e convergere all’infinito. Noi vediamo le figure affollarsi e rimpicciolire ai bordi, ma in realtà è un’illusione euclidea: modificando la nostra abitudine percettiva possiamo immaginare di essere ai confini del cerchio, ma di vedere la realtà come se fossimo al suo centro e, spostandoci in ogni direzione, di ritrovare sempre gli stessi rapporti di grandezza ripetersi senza fine.
Il “cerchio” di Escher rappresenta in effetti lo spazio curvo dell’universo chiuso in sé stesso, uno spazio finito, ma nello stesso tempo senza confini, quindi la rappresentazione finita dell’infinito, come la sfera perfetta di Parmenide e l’universo di Einstein.
Ecco quindi prendere forma un’altra ossessione filosofica escheriana, costante in tutte le sue opere: la tensione dialettica tra “rappresentazione” finita della realtà e la possibilità dell’infinito, non visto però idealisticamente come un inveramento del finito in una dimensione superiore, piuttosto come il limite angoscioso che condanna l’essere umano (come Sisifo) a ripetere la fatica di esistere, ritornando eternamente al proprio punto di partenza.
Metamorfosi nello-dello spazio. Come si è visto il problema (fisico-geometrico) della tassellazione dello spazio, consiste nel rivestire una superficie utilizzando ricorsivamente-periodicamente un numero limitato di poligoni regolari. In realtà non sempre è possibile coprire un piano attraverso una modalità così regolare e ripetitiva. Con pentagoni irregolari diventa molto difficile e non esiste un algoritmo che descriva in poche mosse la regola con cui essi devono incastrarsi.
Il problema può essere dunque affrontato con una teoria matematica diversa (Teoria dei gruppi) che sposta l’attenzione dalla singola figura-tassello ai gruppi, ovvero sistemi di simmetrie che, combinati insieme, possono fornire gli strumenti per ricostruire qualsiasi figura, oppure possono essere utilizzati per disaggregare e ricondurre a strutture semplici dei sistemi fisici complessi (è il caso della cristallografia).
Il problema della tassellazione per gruppi di figure affascina Escher (suo fratello, dettaglio significativo, era professore di cristallografia) per il suo carattere intrinsecamente inventivo-creativo (non naturalistico) e il lato misterioso del processo creativo che porta l’artista (e lo scienziato) a reinventare il mondo scoprendone le leggi profonde, non visibili. È questo lo sfondo teoretico che sta alla base delle sue metamorfosi, ovvero trasformazioni dello spazio partendo dalla combinazione di arabeschi (o gruppi di unità figurali minime), che generano figure zoomorfiche per poi scivolare indietro nelle figure minime che le hanno generate…
…oppure, come nella litografia Rettili, vede gli animali generarsi dalle tessere di un mosaico sulla superficie bidimensionale del piano, divenire tridimensionali per poi tornare a Essere e congelarsi per un istante nelle forme geometriche primitive. E poi da queste rifluire di nuovo, senza fine, in forme viventi, condannate a ripetere senza senso il perenne cerchio della vita e della morte.
Lo scienziato e l’artista
Vale la pena soffermarsi sul carattere creativo del lavoro dell’artista, che accomuna il lavoro di Escher ai caratteri fondamentali dell’impresa scientifica. La scienza, infatti, diversamente da una vulgata pseudo-positivista, non nasce passivamente dall’osservazione della realtà, ma dalla sua anticipazione ad opera di modelli teorici che forniscono un impianto ipotetico da cui predire e ricercare conferme sperimentali.
Tra i tanti esempi della struttura congetturale-ipotetica della scienza, uno lo offre il neo-premio Nobel Giorgio Parisi. Uno dei suoi contributi scientifici più rilevanti è lo studio dei sistemi caotici, tra cui il vetro, la cui struttura, a differenza di quella dei cristalli, è notevolmente disordinata. Parisi ha costruito un modello molto semplice, il cosiddetto modello di Sherrington-Kirkpatrick, un modellino costituito da tanti piccoli magneti con due sole direzioni – Nord e Sud, su o giù – ognuno dei quali è collegato con gli altri in maniera assolutamente casuale. Dal reticolo di interazioni magnetiche, casuale, prendono forma comportamenti inaspettati (metamorfosi?), molto simili a quelli del vetro. Un ulteriore esempio di come un modello teorico possa gettare un ponte tra la complessità materiale della natura e la nostra mente.
Il carattere ipotetico-deduttivo e quindi inventivo avvicina la scienza a una dimensione speculativa, fatta di “ardite congetture” che sfidano la complessità del reale, nella speranza che il coraggio teoretico arrida gli audaci ricercatori (è questo forse il senso della frase di Einstein: «La cosa più incomprensibile al mondo è… che esso sia comprensibile»).
E questa è esattamente la prospettiva in cui si muove Escher, un paziente lavoro di cesello al confine tra il disordine reale e l’ordine mentale, la ricerca maniacale, quasi alchemica, del tassello (o meglio il sistema di tessere) con cui ricomporre e leggere la metamorfica complessità del Tutto (in cui ovviamente comprendiamo anche la mente dell’artista).
Un’eterna ghirlanda brillante
Il motivo del circolo è strettamente implicato nel tema dell’infinito e rappresenta, assieme (e dentro) alla tassellatura del mondo, l’altra ossessione dell’opera di Escher.
È un tema implicito nel dualismo-differenza tra ideale/reale citati all’inizio, declinabile anche come relazione-implicazione tra soggetto e oggetto, mente e natura, conscio e inconscio. La filosofia e la scienza contemporanea hanno sempre più problematizzato queste distinzioni, che rinviano a un’unità e complessità profonda, irriducibile a un linguaggio naturalistico (prima la Realtà) o idealistico (prima c’è la Mente). Le opere di Escher portano tutte il contrassegno della complessità, ovvero della relazione non-lineare e irrisolvibile (circolare) tra mente e realtà.
Figure ambigue, relative e impossibili
La circolarità può assumere differenti forme. Si manifesta nell’ambiguità di figure (come, ad esempio, Belvedere) giocate sulla doppia prospettiva (bidimensionale o tridimensionale) e sul carattere illusorio della percezione visiva. Contro un realismo ingenuo l’autore ci vuol dire che la nostra mente, con i suoi schemi (gestalt) a priori, non è staccabile dalla realtà che osserva, anzi è avvolta con essa in una relazione segnata dall’ambivalenza e dall’incertezza.
L’oscillazione irrisolvibile tra diverse prospettive assume anche la forma della Relatività, litografia che rappresenta un edificio impossibile dal punto vista fisico, perché combina assieme centri di gravità e piani prospettici inconciliabili, su cui si muovono figure umane senza volto, ognuna chiusa nella sua geometria e nel suo cammino, che non incontra mai il percorso altrui, anche se apparentemente tutte condividono lo stesso spazio.
Se in Relatività l’impossibile è dato dalla combinazione di dinamiche inconciliabili, ma dentro uno spazio geometricamente possibile, un ulteriore passo dentro l’assurdo è l’esplorazione di figure geometricamente impossibili (mutuate dal “triangolo e scala di Penrose”), da cui Escher ricava due celebri costruzioni artistiche (Salita e discesa, Cascata), in cui la figura del circolo assume la più forte evidenza simbolica.
In ambedue le opere compare il paradosso di una figura lineare che, grazie alla sintesi di prospettive geometriche diverse, crea l’illusione ottica della continuità su e giù, ma che non può esistere realmente come oggetto tridimensionale. Ma Escher sfida l’impossibilità fisica ambientando nei suoi edifici fantastici una cascata che sale su stessa, e una schiera di figure incappucciate costrette a ripetere senza posa una salita che non è una salita, perché è insieme sempre una discesa.
Il dinamismo e la plasticità che assume qui la figura del circolo conferisce a questo archetipo concettuale ed esistenziale la più potente forza espressiva e simbolica. Le figure oscure e dolenti di Salita e discesa richiamano, nella la loro impersonale universalità, i volti anonimi di Relatività, ma il movimento circolare e privo di senso a cui sono condannate assurge qui a cifra metafisica della condizione umana, condannata all’‟eterno ritorno” di una dimensione esistenziale sempre identica a se stessa.
Autoreferenzialità
Il tema del doppio e del circolo appare anche nella forma dell’autoreferenzialità, un topos caratteristico e cruciale sia della logica, che della scienza contemporanea e della cultura del Novecento in generale.
Il problema di fondo è così e-semplificabile: i diversi linguaggi con cui parliamo del mondo riescono a raggiungere il mondo oggettivo oppure lo “rappresentano” a partire da schemi soggettivi indiscernibili dalla realtà stessa?
Si tratta di una questione cruciale nella logica e matematica del Novecento, ovvero la ricerca di un fondamento assiomatico che sorregga tutto l’ordine dei numeri, fondando in termini ultimi il valore di verità oggettiva di ogni enunciato. Un tentativo che si scontra con il problema degli enunciati autoreferenziali (celebre quello del mentitore) che, condannati ad avvolgersi continuamente su sé stessi, continuano a mentire e dire la verità nello stesso tempo, non arrivando mai a una risposta ultimativa. Secondo il “principio d’incompletezza” di Gödel e Turing non esiste dunque un algoritmo che possa “decidere” la soluzione definitiva di un problema matematico, conferendo ad esso una verità ultima per via logica.
Il problema del circolo è reperibile anche nella fisica quantistica, laddove il soggetto-osservatore-misuratore è parte dello stesso sistema fisico che descrive, producendo anche in questo caso un “principio di limitazione” (o indeterminazione), il quale afferma che la misurazione di una grandezza rende impossibile la misurazione simultanea di un’altra grandezza collegata alla prima. Un’implicazione così stretta tra mente e natura dal fare ipotizzare ad alcuni un universo a “molti mondi”, tante quante sono le possibili configurazioni che assume la relazione tra soggetto, fenomeno osservato, ambiente complessivo in cui avviene l’osservazione.
Rimanendo su di un piano squisitamente filosofico, la circolarità è anche protagonista nella prospettiva ermeneutica, dove ogni realtà è tale solo dentro la prospettiva cognitiva ed esistenziale del soggetto che pensa, al punto che qualsiasi risposta è sempre circolarmente l’esplicitazione di un “orizzonte” di precognizioni che ha alimentato la domanda.
La madre di tutte le circolarità è in fondo nella “rivoluzione copernicana” in metafisica di Kant, che distingue una realtà in sé (inconoscibile) distinta dalla realtà mentale (per sé), una separazione che ha ispirato il celebre dualismo tra “volontà” e “rappresentazione” di Schopenhauer e, a seguire, il dissidio tra “conscio” e “inconscio” freudiano (che ispirerà le avanguardie artistiche a cui Escher fa riferimento, in primis il surrealismo per la sua carica onirica e il cubismo per la sua innovativa scomposizione dello spazio e dell’oggetto).
L’opera di Escher che rappresenta più limpidamente il tema dell’autoreferenzialità e circolarità insita in ciò che chiamiamo realtà è la celebre litografia Mani che disegnano, dove due mani si avvolgono l’una sull’altra, disegnando sé stesse reciprocamente, su di una superficie che, lungi dall’essere reale (ecco la realtà…) coincide con le stesse maniche delle due mani, che continuano a disegnarsi e rincorrersi a vicenda, circolarmente all’infinito.
Ma l’opera più vertiginosa di Escher è forse Galleria di stampe. In una galleria d’arte un giovane in piedi guarda un quadro che raffigura una nave nel porto di una piccola città di mare (forse un paesino del sud d’Italia tanto amato dall’Autore). Da una finestra di una casa del quadro una donna si affaccia e guarda giù proprio la galleria dove un giovane sta guardando un quadro che raffigura una nave nel porto di una piccola città di mare… La cittadina è dunque paradossalmente sia l’oggetto rappresentato nel quadro, che lo spazio in cui il quadro si trova e in cui anche l’osservatore si trova risucchiato, essendo osservato a sua volta.
Conclusione
Un insieme di strani anelli sembra quindi caratterizzare l’opera di Escher: cerchi lineari che invece contengono la sfera-universo, figure metamorfiche che nascono da atomi-tessere elementari e compongono sistemi-arabeschi, che a loro volta generano figure complesse per poi tornare costantemente alla loro semplicità primitiva; immagini che contengono loro stesse, a significare che la realtà descritta riflette sempre, come in uno specchio, il soggetto che la descrive; mani (o menti umane) che si disegnano a vicenda, come un Sisifo costretto a ripetere lo stesso destino, incessantemente, ma generando alla fine una “ghirlanda brillante”, una luce intellettuale e creativa, umana, dentro quel groviglio complesso che chiamiamo mondo.
Note
Fino al 20 febbraio 2022, Palazzo Ducale ospita la più grande e completa mostra antologica dedicata al grande genio olandese Maurits Cornelis Escher. Qui il sito ufficiale: https://www.mostraescher.it/