Solitamente, per mostrare che la distanza tra filosofia e letteratura è incolmabile si cita Platone, anche perché così si spera di mostrare che la questione non è affatto nuova e che trova radici profonde nei classici. È celebre il passo in cui egli scrive che “tra filosofia e arte poetica esiste un disaccordo antico” (Repubblica, X, 607b). Si tratta di un rifiuto della letteratura che, pur accompagnandosi in Platone all’ammissione di una certa simpatia per essa (“siamo consci di subire noi stessi il suo fascino”, 607c), pare tuttavia deciso. Per andare alla radice del conflitto, si dovrebbe rileggere l’Apologia di Platone e ricordare che Melèto, in rappresentanza dei poeti, è uno dei tre terribili accusatori di Socrate, il filosofo per eccellenza (23e). Il suo atto, come noto, costerà la vita a Socrate. Verrebbe dunque da concludere che, in un’ottica platonica, tra filosofia e letteratura vi sia una lotta senza esclusione di colpi e all’ultimo sangue.
Questo modo un po’ romantico di rappresentare le cose ha il suo fascino, ma non fondamento. Platone stesso è uno dei massimi letterati di tutti i tempi, e sarebbe ben strano che proprio lui sostenesse la tesi della discontinuità tra filosofia e letteratura. In effetti Platone difende la propria posizione in modo deciso, come si è detto, ma aperto a eventuali argomenti riabilitativi. Inoltre, la sua esclusione non è assoluta, in quanto egli ritiene accettabili quei testi letterari che consistono in “inni agli dei” ed “elogi agli onesti” (Repubblica, X, 607a). Soprattutto, bisogna contestualizzare le sue tesi per poterle comprendere.
Verrebbe da concludere che, in un’ottica platonica, tra filosofia e letteratura vi sia una lotta all’ultimo sangue. Ma sarebbe una lettura romantica priva di fondamento.Bisogna cioè tenere conto che quello di Platone è un discorso politico-pedagogico, non di estetica o di ontologia del genere letterario. Egli mette in guardia il legislatore dall’accettare quei generi letterari che possano corrompere i cittadini. Non troviamo dunque in Platone alcun argomento pro o contro la tesi di una continuità ontologica tra filosofia e letteratura, perché semplicemente questo non è un problema di cui lui si occupa e anzi, leggendo le sue opere, è difficile credere che avrebbe potuto sostenere che la filosofia e la letteratura siano irriducibilmente separate.
Gli argomenti per la discontinuità sembrano allora più facilmente derivabili altrove. Per esempio, da un’estetica di stampo crociano. Benedetto Croce, infatti, com’è noto, associa la letteratura, come ogni forma di arte, all’intuizione, al sentimento, al bello, e le contrappone la filosofia che invece egli associa al concetto, all’intelletto e al vero. Anche se la posizione di Croce è complessa e oscillante nelle diverse opere, tuttavia il quadro di opposizione appena tracciato è presente nei suoi scritti. Si tratta di una prospettiva che sembra attraente, perché spiega, in modo efficace, l’esperienza che facciamo per lo più dell’opera artistica e dell’attività filosofica. Croce associa la letteratura, come ogni forma di arte, all’intuizione, al sentimento, al bello, e le contrappone la filosofia che invece egli associa al concetto, all’intelletto e al vero.Infatti, il letterato si esprime preferenzialmente per immagini, tali da far appello all’intuizione del lettore dell’opera. Esse suscitano sentimenti e la finalità dell’opera d’arte letteraria è ultimamente il bello. Inoltre, almeno prima facie, si direbbe proprio che la filosofia sia legata strettamente all’attività concettuale svolta dall’intelletto al fine di esprimere il vero.
Purtroppo per questo modo di vedere le cose, però, quella fornita non è una spiegazione esaustiva, visto che lascia fuori una parte rilevante dell’esperienza estetica e della riflessione filosofica.
Se poi la filosofia ha finito con l’optare per un certo disinteresse nei confronti della bella forma, si è trattato di uno sfortunato incidente, non di una necessità.Innanzitutto, esprimersi per immagini non è proprio della sola letteratura: anche la filosofia fa largo utilizzo d’immagini, per esempio nei miti, negli esperimenti mentali, nelle utopie e in qualche misura nelle genealogie. Quanto al distacco tra sentimento e attività filosofica, si tratta di un pregiudizio della cultura illuminista duro a morire. Il romanticismo ha lottato contro questa dicotomia e Max Scheler, facendo tesoro della lezione di Pascal, ha sostenuto con vigore e in maniera convincente che vi è un forte nesso tra amore e conoscenza, tra affettività e attività razionale (vedi il suo Amore e conoscenza). L’impianto retorico dei testi filosofici si rivolge anche al sentimento, oltre che alla ragione, e il fatto che spesso i filosofi scrivano con pathos non è un segreto per nessuno.
Se poi la filosofia ha finito con l’optare per un certo disinteresse nei confronti della bella forma, si è trattato di uno sfortunato incidente, non di una necessità. Questo è tanto vero che, pur se rare, ci sono opere filosofiche belle anche letterariamente.
C’è molto intelletto in molte opere di buona qualità letteraria. Ne sono facili esempi alcune opere di Borges, di Buzzati, di Queneau o di Eco.E ancora, il concetto non è appannaggio della sola filosofia. Nei dialoghi letterari spesso esso è il protagonista e anche il motore della scena. Il concetto spesso non solo è illustrato, ma anche esplorato nel testo letterario.
C’è poi molto intelletto in molte opere di buona qualità letteraria. Ne sono facili esempi alcune opere di Borges, di Buzzati, di Queneau o di Eco.
Quanto al rapporto tra filosofia e verità, avrò modo in seguito di mostrare che non è assolutamente esclusivo e che riguarda in maniera importante anche la letteratura. Si vede comunque già, da quanto detto sopra, che la caratterizzazione crociana non è incontrovertibile, anche se esprime alcune intuizioni che la rendono a prima vista, ma solo a prima vista, convincente.
Tanto basta a procedere oltre ed è utile farlo, così che la prossima volta cercherò di mostrare in positivo la continuità tra filosofia e letteratura.