È da poco uscito Filosofia contemporanea, il libro curato da Tiziana Andina e composto da nove saggi scritti, ciascuno, a due mani. Si tratta di un testo che sta già riscuotendo un buon successo e che è molto ricco e articolato, anche se promette più di quanto mantiene. Esso infatti, mentre si propone come un testo non di scuola e parte, in realtà sulla filosofia contemporanea fornisce un resoconto di taglio analitico e, almeno su certi temi, segue l’indirizzo della scuola di Torino di Maurizio Ferraris. Nonostante questo limite, credo sia salutare e utilissima la sua lettura.
Spero di avere altra occasione per discutere il libro in dettaglio. Oggi mi limito a stralciarne un bel passo, scritto da Tiziana Andina, e a rifletterci su.
«Mentre scrivo la mia ombra è proiettata sul pavimento. Quell’ombra esiste o quello che vedo è semplicemente l’effetto dell’oscuramento della luce del sole? Adoro il tè delle cinque che, generalmente, accompagno con una ciambella e le ciambelle, si sa, hanno un buco al centro. Che cos’è quel buco? Esiste per davvero, cioè nel nostro inventario dobbiamo includere anche cose come i buchi, o si tratta semplicemente di materia sottratta alla ciambella e i buchi, di per sé, non esistono? Ma riflettiamoci meglio: siamo davvero sicuri che non esistono? E i buchi – cioè gli ammanchi – del conto corrente in rosso? Non esistono o sono le cose che più esistono al mondo? Perlomeno quanto a conseguenze sappiamo che ne determinano di pesantissime, e allora, forse, esistono» (p. 46).
Il quesito su cosa esista è vecchio come la filosofia. Perché c’è qualcosa, anziché nulla? Alcuni filosofi, di recente, hanno provato a declinare tale grande quesito su questioni spicciole, apparentemente di poco conto. Un’ombra esiste? E un buco? Si tratta di domande che portano, se svolte con rigore, a quesiti in ontologia e in metafisica molto difficili. L’autrice si interroga, abbiamo visto, anche sui buchi del conto corrente. Non che Andina si impegni su una qualche tesi, ma con una domanda retorica suggerisce che dovrebbero in qualche modo esistere. Ne suggerisce la ragione in quanto essi hanno conseguenze. Si tratta di un bel rompicapo sul quale meriterebbe di stare a riflettere. Ammettere che ci sono buchi di conto corrente, così come ci sono sassi e schede elettorali, sembra eccessivo. Eppure, a non ammetterlo, ci si trova in imbarazzo ad asserire che le conseguenze di un buco di conto corrente possano essere determinate da un qualcosa che non esiste. Non so quale sia la soluzione del lettore, la mia è che i buchi sul conto corrente sono qualità. Coi buchi delle ciambelle essi hanno in comune solo il nome. Un buco di conto corrente è un modo di essere del conto corrente, una sua qualità. Non si tratta perciò di un ente a fianco ai sassi e alle schede elettorali, quanto piuttosto di un ente da porre a fianco alle tute bucate, o per dirlo meglio al buco nella tuta da astronauta, e al rosso delle mele.
Mi pare insomma importante dedicare almeno uno spazio della formazione liceale a uno stile di pensiero che ami i dettagli, che stia alle piccole cose, senza fretta, senza la pretesa di correre. In fondo, la scienza procede a piccoli passi, come su un ripido sentiero di montagna ove la corsa uccide il respiro. Perciò, per dirla con un autore continentale come Edmund Husserl, al di sopra di ogni sospetto di partigianeria: «Non sempre le grandi banconote, signori miei, spiccioli, spiccioli!» (citato in H.G. Gadamer, Il movimento fenomenologico, p. 8).