Di Carpegna Falconieri e il labirinto del passato
Se torno oggi sull’argomento è perché continuano a essere pubblicati libri che cercano di collegare questo concetto, che potrebbe sembrare molto “contemporaneo”, ai tempi passati: quei tempi – cioè – che hanno prodotto eventi che lo storico deve ricostruire con rigore e competenza, attraverso l’indagine accurata delle fonti.
È però vero che non sempre queste fonti sono affidabili, e che al loro interno si annidano notizie false confezionate ad arte, che non vanno certamente sottovalutate se è vero che – come ha scritto Tommaso Di Carpegna Falconieri – «le falsificazioni sono esse stesse eventi storici, hanno conseguenze tangibili e sono suscettibili di analisi da parte degli studiosi».
La citazione è da un recente saggio (Nel labirinto del passato. Dieci modi di riscrivere la storia, Laterza, Roma-Bari 2020) nel quale lo storico – valente medievista – richiama tutti al senso di responsabilità nel “maneggiare” il passato, muovendo dalla celebre domanda con la quale Marc Bloch nel 1941, tra gli orrori della guerra, dava inizio al suo celebre saggio Apologia della Storia: «Papà, a cosa serve la storia?».
Di Carpegna Falconieri, con dottrina e leggerezza, ci ricorda che la storia è proprio quella magistra vitae di cui parlavano gli antichi, anche se la sua funzione magistrale non è negli esempi morali che può fornirci, bensì nel rigore metodologico con il quale la dobbiamo approcciare, dal momento che «la storia possiede alcune qualità che la rendono essenziale, adesso più che mai. La principale è banale ma occorre ripeterla: i fatti accadono in un modo e in uno soltanto». Tale rigore dovrà dunque farci comprendere ad esempio – sulla scia di Lorenzo Valla – la falsità della Donazione di Costantino, o l’inesistenza del Prete Gianni, mitico re cristiano orientale di età medievale, o ancora l’impossibilità che i Templari (sempre loro…) abbiano scoperto l’America; ma nel contempo farci riflettere sul perché tali falsificazioni si siano create proprio in determinati tempi o luoghi. Le ragioni di tutto ciò, infatti, non sono mai banali e quasi mai innocenti.
Braccini e le leggende contemporanee
Ancora più recente è l’agile volume dell’antichista Tommaso Braccini, Miti vaganti. Leggende metropolitane tra gli antichi e noi, il Mulino, Bologna 2021. L’autore dà al libro un’impronta decisamente antropologica e folklorica, cercando di evidenziare elementi di continuità tra alcune moderne «leggende metropolitane» (che egli preferisce chiamare «leggende contemporanee») e i loro archetipi d’epoca classica o bizantina. Il volume è davvero ricchissimo di esempi, alcuni dei quali di grande suggestione.
Tra queste la leggenda dell’inventore del vetro infrangibile, che sarebbe stato fatto uccidere dall’imperatore Tiberio per evitare l’inevitabile conseguenza economica della scoperta: il crollo del prezzo dei metalli (Petronio, Satyricon). L’aneddoto, pur con qualche variante, è attribuito anche a Richelieu e Napoleone, facendo pensare a una solida persistenza del tema. Più macabra la vicenda – documentata da diversi racconti contemporanei (ambientati anche a Brindisi e Milazzo) – relativa a relazioni amorose tra giovani maschi e ragazze che, secondo l’anagrafe, avrebbero dovuto essere morte anni prima: si tratta di un tema, questo, che ha un precedente nel Libro delle meraviglie di Flegonte di Tralle (II sec. d.C.).
Che dire poi degli alligatori o dei topi giganti avvistati nelle fogne di New York? Impossibile, secondo Braccini, non pensare al confronto con la mostruosa piovra di Pozzuoli di cui parla Claudio Eliano nel suo Sulla natura degli animali (II-III sec. d.C.), che raggiunse anch’essa le fognature della città.
Davvero intriganti, poi, le indagini su numerosi “complottismi” contemporanei: tra questi citerò solo le accuse al presidente USA George Bush di avere ordito egli stesso l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre, simili alle ombre gettate sull’imperatore romano Onorio, che qualcuno vorrebbe ideatore del “sacco di Roma” del 410 d.C.
La carrellata di Braccini, come anticipavo, è davvero ampia e non mancano interessanti conclusioni (pp. 153-163) e una ricca bibliografia (pp. 165-189). Mi pare importante, al di là di tutto, ricordare come l’autore ci metta in guardia sul fatto che queste leggende siano «false ma non sempre innocue», il che ci riporta alle riflessioni già nel volume di Di Carpegna Falconieri sul necessario impegno etico di chi ricostruisce e divulga la storia (e anche la cronaca, aggiungerei in questo caso).
Per gli addetti ai lavori
Si tratta di un impegno – lo ribadisco – che accomuna tanto chi “bazzica” il presente quanto chi studia il passato, il quale deve riconoscere i documenti falsi, ma nondimeno evitare di interpretare erroneamente quelli autentici. Ciò perché – come scrive la storica Maria Letizia Caldelli – «la non corretta interpretazione di un documento antico può produrre una fake news e inquinare la base documentaria su cui ogni ricostruzione storia del mondo antico trova il suo fondamento». Tale affermazione si trova all’interno di un volume miscellaneo dal titolo False notizie… fake news e storia romana, a cura di S. Segenni, Le Monnier, Firenze 2019, che contiene numerosi importanti saggi “per addetti ai lavori”.
Parimenti impegnativi sono due altri libri che trattano della falsificazione di epigrafi greche e latine (fonti imprescindibili della storia antica), e cioè: A. Sartori, F. Gallo, Spurii lapides. I falsi nell’epigrafia latina, Collana “Ambrosiana Graecolatina”, Milano 2018, e L. Calvelli (a cura di), Falsificazioni epigrafiche. Questioni di metodo, Università Ca’ Foscari Venezia 2019.
Ho voluto chiudere – dopo la menzione di due opere di fruizione più ampia – con quella di tre contributi di alto valore scientifico, la cui consultazione raccomando caldamente a chi voglia approfondire in modo specialistico il tema che stiamo trattando. Ciò perché credo fermamente che ciascuna di queste opere possa contribuire in modo deciso a provare a rispondere al quesito di Marc Bloch dal quale, più o meno, eravamo partiti, e cioè: «A cosa serve la storia?». Al di là di tanti fronzoli, infatti, e al netto di anacronistici approcci moralistici, la storia (anzi, meglio, la storiografia) serve a insegnarci a distinguere il falso dal vero, e a costruire su quest’ultimo la memoria di quel passato senza la quale è impossibile progettare il futuro. Un futuro nel quale – c’è da scommetterlo – le fake news ci faranno ancora compagnia; un futuro nel quale, magari, i nostri posteri scopriranno essere fake anche qualcosa che noi, oggi, consideriamo la quintessenza della verità.
D’altronde Dante Alighieri, che pure uno sprovveduto non era, alla Donazione di Costantino ancora credeva, se arrivò a scrivere: Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre! (Inf., XIX, 115-117).