Va preliminarmente spiegato che la lotta di Husserl contro il naturalismo (in prima approssimazione, la tesi che la filosofia dev’essere continua con le scienze empiriche) è universalmente riconosciuta e ben documentata. Nella Crisi delle scienze europee, ad esempio, Husserl scrive: «La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo» (La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di Enrico Filippini, Il Saggiatore, Milano 1987, p. 358).
Qui si vede che il naturalismo non è solo una tesi filosofica che Husserl rigetta, quanto piuttosto un ostacolo da superare, addirittura con «eroismo», per la rinascita della nostra civiltà. Se poi si va in cerca di una “pistola fumante”, di un testo che chiuda il discorso definitivamente, si può trovare un passo in una lettera che Husserl scrisse al neokantiano Heinrich Rickert (20.12.1915): «Noi combattiamo come alleati contro il naturalismo del nostro tempo, quale nostro comune nemico» (Briefwechsel, in E. Schuhmann, K. Schuhmann (Hrsgb.), Husserliana, bd. V, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, Boston, London 1994, p. 178).
In passato non sono mancati tentativi di conciliazione tra fenomenologia e naturalismo, per esempio da parte di M. Farver, che cercava di sdoganare la fenomenologia nella terra di Quine, oppure da parte di J.M. Roy, J. Petitot, B. Pachoud, F.J. Varela. Si è trattato di tentativi talvolta goffi, condotti al prezzo di ridurre, se non addirittura fraintendere e tradire il pensiero di Husserl.
Ci si chiederà se allora l’accostamento tra la fenomenologia e il naturalismo sia impossibile e se il libro di Staiti era destinato a un inevitabile fallimento. Qualche anno fa, riflettendo sulla situazione, ho osservato che: «la strada per una possibile conciliazione, ammesso che ve ne sia l’urgenza, non passa per un ripensamento della fenomenologia, ma per un indebolimento della prospettiva naturalista» (“Husserl critico del naturalismo: dalla logica all’etica”, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, 4 (2008), pp. 595-620, qui p. 619). Si tratta, in effetti, proprio della strada intrapresa da Staiti.
Questi chiarisce che vi è un naturalismo incompatibile con la fenomenologia e cioè quello oggetto delle critiche di Husserl, ma vi è anche un naturalismo liberalizzato a partire dal quale si può cercare un dialogo tra i due ambiti. Il naturalismo liberalizzato trova in Mario De Caro e David Macarthur due esponenti di punta e si è sviluppato in questi ultimi decenni.
Staiti distingue tra tre tipi di naturalismo.
Il primo è il naturalismo metodologico («la filosofia non può che procedere partendo da dati empirici, per lo più assorbiti da altre scienze, e generalizzando mediante procedimenti induttivi», pp. 15-16).
Il secondo, il naturalismo ontologico o metafisico («esistono soltanto le entità riconosciute dalle scienze naturali, così che “la realtà non ha posto per entità soprannaturali o altri tipi di entità sinistre”», p. 17). Staiti è convincente nel mostrare i problemi che queste forme di naturalismo comportano e le difficoltà che ne seguono per sviluppare sulla loro base un’etica normativa.
Il terzo tipo di naturalismo è quello liberalizzato. Esso, chiarisce Staiti, rifiuta l’appello a entità dichiaratamente soprannaturali in filosofia, e si propone di coniugare la razionalità della filosofia con quella delle scienze empiriche, rivedendo le proprie tesi qualora siano apertamente contrarie a risultati sperimentali (cfr. p. 20).
Con mia sorpresa, il tentativo di Staiti di mettere in dialogo naturalismo (liberalizzato) e fenomenologia mi pare foriero di risultati interessanti. Essi sono raccolti nei capitoli dedicati a percezione e intuizione morale, la sopravvenienza delle proprietà assiologiche nella fenomenologia, e una rilettura dell’open question argument di Moore a partire dalla fenomenologia.
Insomma, il merito di Staiti è stato di mostrare che effettivamente c’è bisogno di andare più a fondo di questa pista di ricerca. A noi lettori non resta che attendere i prossimi sviluppi. Intanto raccomando la lettura dell’agile volumetto del filosofo di Parma.