Esempi di errori formulati nei concorsi pubblici scolastici

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Ci sono molti vantaggi nello stile delle domande a risposta multipla.

Se gli autori delle domande sono ben preparati e la qualità delle domande è assicurata, allora la struttura sarà sicuramente efficace. Allo stesso tempo, i test a risposta multipla hanno effettivamente degli svantaggi.
Ci sono molti vantaggi nello stile delle domande a risposta multipla. Se gli autori delle domande sono ben preparati e la qualità delle domande è assicurata, allora la struttura sarà sicuramente efficace. È stato provato che, se gli studenti vengono istruiti sul funzionamento delle domande a risposta multipla e il mito che circonda il tipo di valutazione viene distrutto, allora avranno risultati migliori nel test. Molti hanno espresso il giudizio secondo il quale la credibilità dei test sta nel fatto che ci siano più voci (risposte) da scegliere, e con una buona campionatura e cura dei casi specifici la credibilità potrebbe essere anche maggiore. Allo stesso tempo i test a risposta multipla hanno effettivamente degli svantaggi. Uno di questi è l’ambiguità: non riuscire a interpretare l’informazione nel modo in cui intendeva l’autore del test può dare come risultato una risposta “sbagliata”, anche se la risposta di chi fa il test è potenzialmente valida. Per descrivere questo scenario è stato utilizzato il termine “congettura multipla” (multiple guess), perché chi fa il test potrebbe tentare di indovinare piuttosto che determinare la risposta corretta. Viceversa, un test a risposta libera permette a chi lo affronta di portare argomentazioni a sostegno del suo punto di vista e potenzialmente di ottenere credito. Un altro fattore è l’errore docimologico, di cui si riportano tre casi caratterizzanti selezioni professionali nell’ambito del sistema scolastico. Il primo caso si riferisce all’ultimo concorso per Dirigenti scolastici – precisamente alla prova preselettiva, dove una domanda sulle tecnologie innovative a sostegno della didattica diceva: “Quale tra queste tecnologie è controllata dal tocco del dito o altro materiale conduttore di elettricità?”. Le quattro risposte programmate sono: touch screen capacitivo, touch screen resistivo, Lavagne Interattive Multimediali (LIM) con tecnologia resistiva. Lavagne Interattive Multimediali (LIM) con tecnologia Infrarossi. Considerando solo le prime due, ovvero touch screen capacitivo e touch screen resistivo, secondo il MIUR la prima risposta è quella esatta mentre la seconda dovrebbe essere un distrattore di una certa efficacia. Bene, in commercio esiste lo schermo del Nokia 5800 che insieme alla maggior parte dei dispositivi in circolazione è dotato di touch screen resistivo, mentre, per esempio, il display dell’iPhone è touch screen capacitivo, ma entrambe le tecnologie sono controllate dal tocco del dito dell’operatore. Vediamo tecnicamente le differenze tra i due schermi. In un caso, quello con gli schermi resistivi, si può dire che sono costituiti da due strati di materiale plastico, separati da uno spazio. Ognuno di questi strati sovrapposti ha la superficie interna ricoperta di materiale conduttore. Quando si crea un contatto tra due strati si ha conduzione di elettricità. Il sistema traccia le coordinate di contatto e le traduce di conseguenza. Nell’altro caso, quello con gli schermi capacitivi, invece, si può affermare che sono composti da un pannello di vetro ricoperto da un sottile strato di ossido metallico sulla parte esterna. Ai quattro angoli del pannello viene applicata una tensione che crea un campo elettrico uniforme su tutta la superficie dello schermo per via dell’ossido di metallo. Quando il dito tocca lo schermo, il campo elettrico subisce una variazione e le coordinate su schermo vengono rilevate misurando la caduta di tensione nel punto toccato. Un altro errore-orrore (secondo caso) fa bella mostra di sé alla domanda n. 24 del test a risposta multipla programmato per la prova preselettiva del TFA in elettrotecnica e applicazioni (A035).
La domanda incriminata è la seguente: “Un tratto di cavo ha una resistenza di 0,1 W. Se la sua sezione viene aumentata moltiplicandola per 4, la nuova resistenza del filo è:”

A) 0,025 W

B) 0,4 W

C) 1,6 W

D) 0,625 W

Ebbene, le resistenze elettriche si misurano in ohm ( Ω ) e non in Watt ( W ), quindi la risposta esatta è 0,025 Ω. L’errore è ripetuto ben 4 volte, una per ogni risposta proposta. Verrebbe da mettersi le mani ai capelli e gridare “svegliateci da questo incubo”. Già, perché di incubo si tratta, in quanto questo errore non lo dovrebbero commettere nemmeno gli studenti meno preparati, iscritti al primo anno di un qualsiasi IPIA ad indirizzo elettrico. Navigando sul sito del MIUR si può incontrare la pagina del curriculum vitae del ministro Francesco Profumo, da cui si può estrapolare che nel 1977 si è laureato in ingegneria elettrotecnica presso il Politecnico di Torino, che dal 1978 al 1984 ha lavorato come ingegnere progettista per il Centro Ricerca e Sviluppo della Società Ansaldo a Genova, e inoltre che nel 1984 si è trasferito al Dipartimento di Ingegneria Elettrotecnica del Politecnico di Torino, dove è stato Professore Associato fino al 1995. Oggi è Professore Ordinario di Macchine ed Azionamenti Elettrici e Professore incaricato all’Università di Bologna, nonché membro attivo di molti Comitati Tecnici di Conferenze Internazionali nei campi dell’elettronica di potenza e dell’automazione. Per quanto sopra riportato, dovrebbe essere estremamente imbarazzante, da parte di chi ha elaborato la domanda n. 24 comprendente questo errore ingiustificabile sull’unità di misura, dover essere letto dal Ministro, che in questo caso riveste anche i panni di Professore Ordinario di Macchine e Azionamenti Elettrici. Questa sembra la ciliegina sulla torta, che conclude un crescendo rossiniano dell’errore, mal visto e mal sopportato da chiunque abbia a cuore lo studio e la preparazione disciplinare. Infine il terzo caso ripreso ancora dalla preselettiva del concorso per DS. “La domanda è: “In un dispositivo di memoria di massa cosa rappresenta una directory?” La risposta esatta data è: “La parte del disco fisso del computer, o di altro dispositivo di memoria di massa, in cui sono memorizzati i file”. Prima di tutto diamo la definizione di disco fisso detto anche disco rigido: il disco rigido è costituito fondamentalmente da uno o più piatti in rapida rotazione, realizzati in alluminio o vetro, rivestiti di materiale ferromagnetico, e da due testine per ogni disco (una per lato). Queste testine durante il funzionamento “sorvolano” alla distanza di poche decine di nanometri la superficie del disco, leggendo e scrivendo i dati. La testina è tenuta sollevata dall’aria mossa dalla rotazione stessa dei dischi che può superare i 15.000 giri al minuto. Quindi, se la directory fosse una parte del disco rigido, dovrebbe essere un oggetto fisico costituito da alluminio o vetro. Detto del disco rigido, vediamo ora con attenzione quale è la definizione corretta di Directory in informatica: una directory è una specifica entità del file system che elenca altre entità, tipicamente file e altre directory, e che permette di organizzarle in una struttura ad albero. In parole povere consideriamo il PC come se fosse un palazzo, il citofono all’entrata è il desktop, da dove si può andare in tutti gli appartamenti che rappresentano le cartelle. Ogni appartamento (cartella) contiene delle stanze, che sono le sottocartelle (secondo livello di cartelle), e ogni stanza contiene degli armadi (terzo livello di cartelle), e ogni armadio contiene dei cassetti (quarto livello di cartelle). La directory è la strada giusta per arrivare ad un documento (per arrivare ad un cassetto di un qualunque armadio). Consideriamo, ad esempio, la seguente sequenza: c:/documenti/immagini/vacanza/ferragosto. In questo caso (c) è il palazzo, (documenti) è l’appartamento, (immagini) è la stanza, (vacanze) è l’armadio, (ferragosto) è il nome del documento (cassetto dell’armadio). Quindi la directory non è una parte del disco fisso, ma è una struttura (software) utilizzata dal sistema operativo per recuperare i file dalla memoria fisica, ovvero un modo di tener ordinato, o meglio di organizzare un insieme di file su un disco o in un’area reale o virtuale.

Aldo Domenico Ficara

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