A volere tanto gli “Stati generali” quanto le 100 tesi, che ne costituiscono uno strumento propedeutico, è stato il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), Filippo Anelli. Questi ha preso atto delle novità sorte nel Novecento in ambito medico, dato che, come scrive: “la professione si è sviluppata insieme ad un poderoso progresso scientifico e all’affermarsi di sistemi di welfare pubblico, diventando, nello stesso tempo, lo strumento di un nuovo progresso scientifico e l’espressione di un’avanzata politica dei diritti” (in 100 tesi cit., p. 8). Questo sviluppo ha però portato a cambiamenti radicali e drammatici, tanto che sia Anelli che Cavicchi ritengono che sia in corso una crisi del medico e della sua professione. Del resto, a tale crisi Cavicchi ha dedicato addirittura tutta la prima macroarea delle 100 tesi, sviscerando i molti sensi in cui si declina, toccando tra l’altro la deontologia, l’epistemologia e la metodologia.
Il fermento degli “Stati generali” e del dibattito pubblico che ne è seguito ed è tutt’ora in atto può essere rimasto inosservato da chi non si occupa del settore. Tuttavia, prestare attenzione a quanto sta avvenendo nel mondo della medicina italiana è un’opportunità preziosa per diversi motivi. Serve, in primo luogo, a prepararsi a ciò che verrà, perché sia le iniziative del presidente Anelli, sia l’inevitabile andamento delle trasformazioni del mondo della medicina, porteranno nei prossimi anni a cambiamenti. La Magna carta, che gli “Stati generali” produrranno, intende del resto offrire un canovaccio per indirizzare le scelte future. Inoltre, quanto sta avvenendo offre spunti importanti per la formazione civica dei giovani: si pensi alle questioni relative al rapporto tra i ruoli sociali (medico, infermiere, paziente, per esempio), ai poteri e ai limiti dell’esercizio della cura e anzi allo stesso senso della cura, alle responsabilità dello Stato e alle scelte politiche di allocazione delle risorse, dato che la medicina oggi, più che mai, comporta scelte strategiche delicate e onerose. Oltretutto, è di grande valore riflettere sul rispetto dovuto a chi si spende per la salute degli altri.
In passato, la percezione pubblica della figura del medico era quella del depositario di un’antica tradizione resa ancora più autorevole dal sapere della moderna scienza medica, capace di successi strepitosi (si pensi, per limitarsi a tre esempi, allo sviluppo degli antibiotici, ai progressi della radio-diagnostica, alle impressionanti possibilità offerte dalla chirurgia quanto ai trapianti di organi). Ciò aveva portato molti medici a un esercizio paternalistico del proprio ruolo (si veda la prima macroarea nel citato documento di Cavicchi). Oggi tale percezione pubblica, e di qui tale auto-percezione da parte dei medici, è entrata in crisi. Le contestazioni e, persino, le violenze contro i medici ne sono sintomi tanto frequenti quanto preoccupanti. Anni di formazione e pratica sono messi in dubbio dalle autodiagnosi improvvisate dai pazienti, informati dal “dottor Google” o dalla “dottoressa Wikipedia” (si veda ad esempio qui, o qui).
Dedicare almeno un modulo di Educazione alla cittadinanza al tema del ripensamento della figura del medico e, più ampiamente, della professione medica, può perciò essere una scelta illuminata. Si potrà così sia fornire alla giovane generazione un’informazione circa la contemporaneità e le prospettive future, sia alcune categorie etiche-civili a partire dalle quali elaborare una comprensione dell’ambito medico e delle sue problematiche. Il valore dell’iniziativa risulterà ancora più chiaro alla luce del fatto che tutti i giovani ora in formazione saranno coinvolti, in un modo o nell’altro, nel mondo delle pratiche mediche di domani, chi sul fronte di coloro che più o meno direttamente esercitano la cura, chi su quello di coloro che ne sono destinatari.