I fratelli Dardenne sono tra i più importanti autori del moderno cinema sociale. Attenti e sensibili narratori del mondo degli ultimi, degli emarginati, delle solitudini esistenziali, di quella vasta parte della società che generalmente non trova rappresentanza nei media, soprattutto nell’universo autoreferenziale della televisione e in quello del cinema. Una parte di società dimenticata, rimossa; purtroppo sempre più trascurata anche da una misera politica, ormai ridotta a maggiordomo delle agenzie di rating e della finanza. Una politica sorda, autistica, impermeabile. Incapace di cogliere e farsi carico del disagio e della sofferenza.
Luc e Jean-Pierre Dardenne esprimono la loro natura di registi-documentaristi non solo nella scelta dei temi trattati, ma anche nel registro narrativo e nelle scelte stilistiche. Un modo di girare scarno, essenziale, senza concessioni compiacenti all’estetica fine a se stessa. Una ricerca di naturalezza espressiva nei movimenti di macchina, capace di generare una solidale vicinanza ai personaggi, che spesso sembra sconfinare nell’indagine sociale.
Ma quest’aderenza documentaristica alla realtà, al vissuto quotidiano dei personaggi, non è fredda descrizione di eventi, ma accorata empatia umana, solidale vicinanza, condivisione e sentita partecipazione.
Un cinema lontano dalla superficie luccicante delle grandi produzioni, dove gli effetti speciali e gli artifici visivi sembrano spesso diventare, in assenza di senso, essi stessi ammalianti ed esili contenuti. Puro intrattenimento. Quell’intrattenimento capace solo di distrarre e mandare in letargo il pensiero, di annullare la coscienza critica, in una caleidoscopica meraviglia.
Un cinema unico, personalissimo, controcorrente, così come conviene ai grandi autori. Non a caso le opere dei Dardenne sono state spesso premiate al Festival di Cannes: Rosetta (1999) Palma d’Oro, L’enfant (2005) Palma d’Oro, Il matrimonio di Lorna (2008) Miglior sceneggiatura.
Il loro cinema ci riporta alla realtà, anche a quella più scomoda. Ai problemi quotidiani del nostro tempo. Due giorni e una notte ci catapulta dentro il dramma economico ed esistenziale di chi sta perdendo il lavoro. Ci costringe a fare i conti con una realtà che assume i connotati di una moderna lotta per la sopravvivenza, dove la miseria economica e l’incertezza del futuro generano ansia, egoismo, individualismo, meschinità e spietato cinismo.
Il tema del lavoro, già affrontato ne La promesse e in Rosetta, torna ad affacciarsi con toni drammatici in quest’opera, e proprio nel momento in cui l’Europa è attraversata da una crisi che sta spingendo i lavoratori verso una deriva di precarietà e licenziamenti.
Sandra, sposata con due figli, rientra al lavoro dopo un periodo di depressione. L’azienda si è accorta che può fare a meno di lei. I suoi compagni di lavoro sono messi di fronte a una scelta spietata: il licenziamento di Sandra e 1.000 euro di premio a testa o il rientro in fabbrica di Sandra e la rinuncia ai soldi. La maggioranza vota per il licenziamento. Sandra, però, ottiene la ripetizione della votazione. Avrà due giorni e una notte per cercare di cambiare il suo destino e non cadere nel nero abisso della disoccupazione. Alla fine vincerà comunque la sua dignità, il suo senso di solidarietà umana e il suo spirito di non arrendersi di fronte alle ingiustizie della vita: una voglia di lottare per il suo futuro e quello dei suoi figli.
Dedicato all’ex ministro Fornero e ai “Job Act Boys”.
DUE GIORNI, UNA NOTTE
Regia: Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne.
Con: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Groyne, Simon Caudry, Catherine Salée, Alain Eloy, Olivier Gourmet, Christelle Cornil
Produzione: Belgio, 2014
Durata: 95