Marie e Boris sono stati una coppia felice e dal loro amore sono nate due splendide gemelle. Ora tutto è finito. Non sappiamo come e perché, ma l’amore è svanito e Marie ha deciso di chiudere la relazione.
Sembra una storia come tante, tuttavia a complicare la vicenda c’è una casa in comune e il fatto che Boris, disoccupato, non può pagarsi un affitto. La casa diventa l’elemento centrale attorno a cui ruota tutto il film. Si tratta di un piccolo appartamento di proprietà di Marie, che Boris ha ristrutturato di persona. Marie vuole riconoscere a Boris un terzo del valore attuale della casa, Boris ne pretende la metà.
La casa non è solo l’oggetto economico del contendere, ma diventa lo spazio fisico dentro il quale si consuma l’ultimo atto di una separazione. Da nido si trasforma in prigione claustrofobica, che ingabbia ed esaspera tensioni, rancori e risentimenti. A parte qualche breve sequenza, il film è tutto girato all’interno l’appartamento, con un’unità di luogo di stile teatrale che esaspera il senso di oppressione psicologica.
Marie e Boris devono separarsi, ma in realtà non rimuovono il problema che li tiene legati. Il finale di partita si consuma in questo ambiguo territorio di conflitti psicologici e interessi materiali. Se le pretese economiche di Marie sono diventate una questione di principio irrinunciabile, Boris spera ancora di poter ricucire la relazione, ma non si accorge che continuare a convivere è il modo peggiore per provarci. La vicinanza esaspera i toni, rende irritante ogni gesto e ogni parola. Le mura domestiche diventano cassa di risonanza che amplifica ogni cosa rendendola insopportabile. Alla condivisione e fusione amorosa si sostituisce un rigido sistema di regole di convivenza forzata, con orari, divisione degli spazi, tempi e modi d’utilizzo dei locali in comune. Un regolamento di conti formalizzato e spietato, che assume i toni di una guerra silenziosa. Al posto di cercare una mediazione, Maria e Boris s’irrigidiscono sulle loro posizioni, creando un clima invivibile anche per le bambine.
La casa si trasforma in un catalizzatore di sotterranee rivincite e subdole vendette personali, simbolo dei loro problemi di relazione. Il denaro diventa un mezzo per una sorta di ultimo risarcimento, il prezzo da pagare per il fallimento del loro amore. Una guerra fredda e manipolatoria, che ha il sapore di un duello, quasi si sentisse il bisogno di trasformare il proprio amato in un nemico per allontanarlo definitivamente. Un dramma psicologico all’interno di un contesto sociale piccolo borghese in cui “la roba” o “l’argent” di letteraria memoria trovano una rappresentazione moderna – il tutto in un periodo storico in cui il denaro, la mancanza di lavoro e, in generale, tutti gli aspetti economici tornano a dominare la vita sociale e individuale.
La difficoltà di Marie di riuscire ad arrivare a fine mese e il dramma della disoccupazione di Boris contribuiscono a rafforzare il clima conflittuale e a esasperare le rivendicazioni. La casa non è solo il simbolo di un amore che finisce, del fallimento di un progetto di vita in comune, ma anche l’unica risorsa a cui aggrapparsi con tutte le forze per raccogliere qualche soldo per sopravvivere. Solo questo è il motivo che consente alla coppia di accettare una situazione di coabitazione cosi degradante e umiliante. La miseria economica porta con sé anche quella morale, togliendo dignità e libertà alle persone più deboli e indifese di fronte alla vita.
LaFosse gestisce lo spazio scenico creando un sistema chiuso e autoreferenziale, in cui i movimenti e gli sguardi dei personaggi sono continuamente limitati dalle mura domestiche. Ne nasce una sensazione di frustrazione motoria ed esistenziale che diviene cifra stilistica del film. La casa non è solo il pensiero fisso dei protagonisti, ma ne riempie anche l’orizzonte visivo in modo implacabile, senza consentire di vedere altro. All’interno di questo spazio gli sguardi si rincorrono, si controllano, si rinchiudono in un moto perpetuo di rimandi e riflessi, senza riuscire a vedere che l’unica soluzione è fuori, oltre i loro sentimenti passati e presenti. Sarà solo un tribunale a porre fine alla contesa.
Dopo l’amore
Regia: Joachim LaFosse
Con: Bérénice Bejo, Cédric Kahn, Marthe Keller, Jade Soentjens, Margaux Soentjens, Catherine Salée, Tibo Vandenborre, Philippe Jeusette, Annick Johnson, Pascal Rogard.
Durata: 100 min.
Produzione: Francia, Belgio 2016