- Il canone letterario scolastico, fissato da Francesco De Sanctis, è borghese e discriminatorio, segnatamente misogino.
- Il progetto politico di Dante non è utopistico ma realistico, pacifista e globale.
- Francesca da Rimini vive di sogni letterari, Ghismonda è la vera ribelle al patriarcato.
- Le coppie di innamorati/e del Decameron godono solo se composte di proletari o rivoluzionari.
- Dai trattati umanistici emerge come la violenza psicologica contro le donne fosse di matrice borghese, quella fisica d’ispirazione clericale (dalle parole di san Paolo).
- L’io scisso tipicamente borghese cerca compensazioni in mondi di carta o in visioni mistiche.
- Lo pseudo-matriarcato alleato del patriarcato è l’unica concessione alle donne.
- Il fascismo-favismo (cultore, cioè, della fava, alla toscana), esaltando le madri genitrici, ha perpetuato la subordinazione femminile.
- Certi intellettuali non hanno capito Gramsci, la cui visione è invece incarnata nel progetto della Città delle donne di Christine de Pizan.
- Soltanto il ruolo di soggetto consente a chi nei secoli è stato/a considerato/a oggetto piena rappresentazione, dignità, emancipazione (ripassare Simone de Beauvoir).
Si possono riassumere in questi dieci punti le fenomenali, extra-ordinarie, dirompenti tesi di Federico Sanguineti, formulate nel suo Per una nuova storia letteraria (Argolibri, Ancona 2022) e meritevoli di essere affisse sui portali di vari edifici del nostro presente, come la leggenda racconta di quelle di Martin Lutero. In dieci snelli capitoli, con una scrittura-bisturi che incide cancrene secolari, l’autore ripercorre la storiografia della letteratura italiana e alcuni testi esemplari per sfatare una prassi che – a suo giudizio –, per una consapevole operazione ideologica, non solo ha impedito a certe opere di essere considerate degne di studio, ma ha perpetuato il pregiudizio dell’inferiorità intellettuale delle donne, della loro necessaria segregazione.
Tornano più volte nel volumetto le espressioni «ideologia romantico-borghese», «femminicidio culturale», «crociata contro la donna», «ginocidio» (quest’ultima dal titolo di un libro di Daniela Danna), che l’autore applica con passione a un fenomeno paragonabile al colonialismo e tipico delle società capitalistiche; in quelle di antico regime, infatti, la donna aristocratica godeva di una certa libertà e di un ruolo attivo (come la Ginevra arturiana, che bacia Lancillotto).
Scrittrici che ai loro tempi erano lette e apprezzate anche dai cosiddetti grandi e che oggi profumano d’avanguardia, come Christine de Pizan, come Maria Giuseppa Guacci (di cui si analizza la canzone Le donne italiane, del 1834), come Pellegra Bongiovanni, sono state invece dimenticate, sepolte, svuotate persino di quel «femminile» ideale che De Sanctis riteneva appannaggio (anche quello!) dei Petrarca e dei Tasso.
A tale «ginocidio» sono sopravvissuti soltanto i fantasmi, le piatte «figure femminili» che come i manichini senz’abiti al cambio di stagione nei grandi magazzini stanno immobili in attesa che qualche commesso macho le vesta dei panni richiesti dalla moda corrente. Quando proprio non si possono passare sotto silenzio i nomi di alcune donne, come Cristina di Svezia, ispiratrice dell’Accademia dell’Arcadia, con oltre 450 socie tra Sette e Ottocento, il loro ruolo viene ridimensionato; Cristina è, per De Sanctis, una «povera donna» in fuga dai grandi avvenimenti storici di cui era ignara (e qui oltre alla solita misoginia si potrebbe avvertire una punta di omofobia, visto che la ex regina, che rifiutò sempre il matrimonio, non faceva mistero della propria bisessualità nemmeno dopo il passaggio al cattolicesimo).
Aggiungendo l’arte allusiva al binomio vocabolario marxista-psicanalisi caro a Marcuse, Sanguineti ci racconta come la storiografia (e la didattica) sia ancora prigioniera di stereotipi, fraintendimenti, forclusioni e come invece gli autori del canone (nel volume: Dante, Boccaccio, Machiavelli, Lorenzo de’ Medici, Tasso, Gadda) si prestino a letture controcorrente.
Il gustoso capitolo dedicato a Dante poeta del proletariato (titolo provocatorio, fino a un certo punto: già l’umanista Leonardo Bruni associava a Dante la stima di «lanaioli, calzolai, sensali» e «panettieri») rilegge in chiave socio-economica le figure, queste sì, di Francesca e di Ulisse: l’una alienata per via dei libri che cita quasi a memoria e oggetto, non soggetto, dell’amore di Paolo, che la bacia; l’altro anticipatore del capitalismo moderno, che viaggia nel mare aperto con i propri selezionatissimi soci in affari avendo prima recluso nella sua casa di bambola la cristianamente paziente Penelope.
Eppure Dante, insinua Sanguineti, è «teologo della liberazione», non – come l’Aquinate – «della dominazione», e nell’ultimo canto del Paradiso (e della Commedia) celebra Maria in sé e per sé, al massimo quale madre, non quale mediatrice, senza mai citare il Dio Padre della Trinità, ipostatizzazione del patriarcato.
Dal capolavoro comico di Dante si giunge alla giornata tragica, la quarta, del Decameron, «libro senza padre» (p. 87) fin dal titolo, scritto nell’era dell’affermazione della nuova finanza. Sanguineti illustra i contesti in cui i vari personaggi, uomini e donne, vivono l’amore: i borghesi subiscono l’«autoritarismo sessuofobico» (p. 103), che agisce anche sui sotto-proletari; al contrario i proletari, liberi di ogni sovrastruttura ideologica e dei tabù patriarcali, non scindono l’impulso erotico dal soddisfacimento sessuale.
Con sorprendente parallelismo Sanguineti nota la sovrapponibilità delle parole di autodifesa di Ghismonda, aristocratica ribelle alle regole paterne, con quelle pronunciate nelle cronache dai Ciompi, gli operai rivoluzionari nella Firenze del 1378: «Raguarda tra tutti i tuoi nobili uomini e essamina la lor vita, i lor costumi e le loro maniere, e d’altra parte quelle di Guiscardo raguarda: se tu vorrai senza animosità giudicare, tu dirai lui nobilissimo e questi tuoi nobili tutti esser villani» (Ghismonda); «Spogliateci tutti ignudi: voi ci vedrete simili; rivestite noi delle veste loro ed eglino delle nostre: noi senza dubio nobili ed eglino ignobili parranno; perché solo la povertà e le ricchezze ci disaguagliano» (i Ciompi).
Quello del ceto, anzi proprio della classe, si conferma punto di osservazione originale nella lettura della Mandragola di Machiavelli, asserito capolavoro della letteratura teatrale. Capolavoro secondo l’ideologia borghese, in quanto la sua trama, al di là delle risate, sancisce socialmente e politicamente i ruoli degli uomini e delle donne. Sceso a Firenze dalla Francia come re Carlo VIII, Callimaco Guadagno (cognome pienamente capitalistico) sottomette ai propri desideri la già casta Lucrezia (cioè l’Italia divisa e invasa), sconfiggendo Nicia Calfucci (cognome feudale, ricordato da Dante come di antica famiglia estinta) con l’alleanza dello pseudo-matriarcato (la madre Sostrata) e del potere clericale repressivo (fra’ Timoteo).
È un quadro a tinte fosche ridotto al massimo della cupezza dal fascismo. E Sanguineti riscatta dalla fama di misogino e tiepido Gadda, soprattutto il Gadda di Eros e Priapo, le cui pagine sono state travisate da alcuni. In realtà Gadda, insofferente verso la propaganda fascista, descrive con sarcasmo il ruolo di madri fattrici che il duce e i suoi ministri idolatravano, istituendo, ad esempio, la Giornata della madre e del fanciullo o estromettendo le studentesse da un’istituzione come la Scuola Normale Superiore di Pisa, da cui allora uscivano soprattutto i e le future insegnanti del Regno, «educatori in cui la forza prevalga sulla dolcezza» (così Giovanni Gentile).
Passando dalle femministe Carla Lonzi e Luce Irigaray a Carrie di Sex and the City, da Lacan al Subcomandante Marcos, Sanguineti ha scritto un saggio che è quasi un manifesto. E non di un partito, ma di un progetto che tutti e tutte, insieme, dovremmo conoscere per smascherare i favisti contemporanei e creare nuove reti, nuove memorie, nuove storie.
All’argomento sarà dedicato il 18 novembre alle ore 17 l’evento Autrici e “personagge” per ibridare l’ora di letteratura organizzato dalla casa editrice Loescher a BookCity Milano; partecipano Johnny L. Bertolio, Elena Rausa, Rossella Köhle, Valeria Palumbo e Daniela Bini, al Laboratorio Formentini in Via Formentini 10.