Su dieci interlocutori (la statistica è a prova di confutazione) scoprirete che
– sette persone vi guarderanno con aria perplessa e la bocca atteggiata a punto interrogativo;
– due prenderanno prontamente il telefonino e vi mostreranno il loro calendario, dicendo: “ce l’ho!”;
– una vi ignorerà, continuando candidamente a raccontarvi i fatti suoi.
La cosa più interessante è che se lo stesso esperimento lo fate con un altro campione di dieci persone, prese a caso tra editori, sottosegretari, giornalisti, formatori Ansas e sviluppatori di software, avrete un 100% di risposte competentissime, che vi spiegheranno minutamente come cambierà il Paese (e la sua scuola) da qui al 2020.
Lo scenario del futuro, se ricadete nel primo campione di cavie, ve lo risparmio, limitandovi a rimandarvi alla consultazione del sito del ministero dello sviluppo economico e alla gazzetta ufficiale, per la lettura del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179: “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (articolo 11, in particolare).
Mi preme invece che continuiate l’esperimento.
Agli stessi insegnanti che vi hanno guardato stupefatti o che vi hanno ignorati (gli altri due saranno intenti a mostrarvi le potenzialità della loro agendina digitale: lasciateli terminare) potete chiedere due cose (ma dovete sceglierne una, perché da quel momento in poi non sarete più padroni della situazione, e dovrete ascoltare giaculatorie impreviste e potenzialmente interminabili):
La prima.
«Ma dai?! non lo sai? i libri di testo più piccoli con tutto il materiale aggiuntivo online…!».
«Contenuti digitali online? ma quali? ma quando? ma dove? ma se non abbiamo i computer! ma se non abbiamo la connessione! ma se abbiamo una lavagna digitale chiusa a chiave in laboratorio che bisogna prenotarsi settimane prima per usarla! i tablet? ma se quando abbiamo chiesto di avere un proiettore ci hanno detto che non c’erano nemmeno i soldi per le fotocopie! ma se ci fanno usare ancora il televisore a valvole, trasportato in classe dal tecnico su un carrello! (che se poi manca il tecnico salta la lezione!) ma questi qua (!) fanno i conti senza l’oste, e poi paghiamo noi e ci vogliono aumentare l’orario di lezione a pari stipendio e se pensano che io poi abbia il tempo di prepararmi la lezione digitale a casa sognano! che se… eccetera!».
La seconda.
«Ma dai!? non lo sai? quella cosa dei contenuti digitali per fare lezione…!»
«Ma quale, quella di Report? quella che hanno speso 730.000 euro delle mie tasse per fare 12 cavolate sul semaforo e sul vino? che poi ci vogliono aumentare l’orario di lezione a pari stipendio e se pensano che io poi abbia il tempo di prepararmi la lezione digitale a casa sognano! e poi non abbiamo i computer! non abbiamo la connessione! abbiamo una lavagna digitale chiusa a chiave …! eccetera!…».
Insomma. Quale che sia l’esito del vostro esperimento, tornerete alle vostre occupazioni con una convinzione: che sembra esserci uno scollamento nettissimo tra chi pensa il digitale e chi deve poi applicare le pensate. E che i secondi non abbiano, a oggi, nemmeno una vaghissima idea di quel che probabilmente li aspetta.
E fin qui poco di nuovo, potrebbe pensare qualcuno: non è né la prima né l’ultima volta che succede una cosa del genere.
Il problema è se, per caso, fate il mio lavoro e “tornare alle vostre occupazioni” significa tornare a progettare contenuti e strumenti tecnologicamente avanzatissimi (e spesso meravigliosi) per una scuola in gran parte ignara e null’affatto persuasa di doverli poi utilizzare.
Dà lo stesso senso di frustrazione di chi prepara un regalo di natale che già sa non essere gradito.
P.s.: mentre scrivo arriva la notizia di una frenata sull’agenda digitale per la scuola. È una notizia. Se buona o cattiva lo lascio decidere al lettore.