Nell’iniziare questo articolo avevo cominciato ad affrontare il concetto della didattica applicata alla disabilità e, nel rileggere le prime righe (poi ovviamente sparite, come capita spesso), mi sono reso conto di aver digitato male la parola “disabilità”, che per un lapsus calami era diventata “didabilità”. Mi è sembrata fantastica: una parola-chiave di questa modalità di insegnamento!
La centralità dello studente
L’esperienza didattica che si sta svolgendo al Liceo Andrea Maffei di Riva del Garda (TN), [Scuola Amica de «La ricerca», N.d.R.] è frutto di una riflessione globale sull’insegnamento e, soprattutto, sull’apprendimento. Si parte dalla famosa cria di Quintiliano («Crates, cum indoctum puerum vidisset, paedagogum eius percussit», Inst. I,9) per trovare metodi efficaci di lavoro (evitando conseguenze peggiori sui docenti).
Non va poi dimenticato – ma come si potrebbe? – che il lavoro dell’insegnante è strettamente legato alle persone, ai giovani, sempre uguali e sempre diversi, con esigenze uguali ma diverse, con abilità sempre nuove che soppiantano quelle vecchie (ma non per questo passate di moda).
Ogni anno, ogni mese, quasi ogni giorno è necessario adattare il proprio progetto all’oggi, alle esigenze che cambiano e che vanno comunque ascoltate (anche se non sempre necessariamente assecondate).
L’azione didattica si sta evolvendo tenendo conto delle aree con cui il docente deve fare i conti: l’area disciplinare (con il bisogno di aggiornarsi e crescere sulle conoscenze delle proprie discipline), l’area pedagogica («Homo sum, humani nihil a me alienum puto»: si ha a che fare con giovani, ed è essenziale sapersi rapportare con loro nel modo più corretto e costruttivo) e l’area innovativo-tecnologica (presente nell’insegnamento fin dall’antichità, fin dalla discussione del Fedro a proposito dell’innovazione della scrittura).
Da una decina di anni, dunque, sto provando a trovare strade nuove per insegnare: modalità diverse, nuove ma anche antiche, che mettano al centro l’apprendimento dello studente. Fondamentali per il mio lavoro (in ordine sparso) sono:
- la disponibilità e fiducia del dirigente scolastico;
- un’adeguata dotazione di strumenti (senza essere fantascientifica: una buona connessione wireless, device mobili, LIM);
- una piattaforma didattica “seria”: rispettando le varie scelte (web 2.0, app di Google, Edmodo e quant’altro), io sono convinto della straordinaria efficacia e versatilità della piattaforma Moodle;
- la fiducia da parte degli studenti e, soprattutto, delle famiglie;
- il coinvolgimento di altri docenti;
- un accurato lavoro di progetto relativo a ogni singola proposta didattica: deve essere sempre chiaro che cosa si chiede agli studenti, quali saranno i tempi, il modo di lavorare, le competenze da potenziare, le eventuali verifiche in itinere e finali.
Naturalmente in questi anni si è dovuto lavorare duramente per porre le basi di un lavoro proficuo. Ho sperimentato quanto una piattaforma didattica come Moodle potesse assecondare nuove modalità didattiche; ho cercato di coinvolgere il maggior numero di colleghi possibile potenziando le competenze “didatecnologiche” attraverso l’aggiornamento, il lavoro in team e il confronto; ho incontrato le famiglie degli studenti coinvolti nel progetto per far capire quale fosse la direzione che si intendeva prendere (quest’ultimo aspetto è certamente il meno “stabile”: le persone, infatti, hanno storie diverse, creano diversi contesti, sostengono diversi punti di vista: in sintesi, qualche annata è fantastica, qualche altra meno).
Tutto questo sforzo per trovare un modo di lavorare che:
- faciliti l’apprendimento;
- utilizzi metodi diversificati;
- spinga a lavorare insieme;
- aiuti a cercare strade nuove;
- aiuti a riflettere;
- favorisca il recupero;
- stimoli la creatività;
- valorizzi i talenti;
- aumenti l’interesse;
- educhi alla complessità;
- faccia tesoro degli errori;
- coinvolga.
Una didassi “specifica” per… tutti
Vorrei partire da un’esperienza concreta di didassi inclusiva, vale a dire costruita per un ragazzo sordo, e raccontare come questo modo di insegnare abbia portato benefici a lui, al resto della classe e ai docenti coinvolti.
Ero rimasto colpito, ascoltando un podcast della trasmissione di RadioTre Fahrenheit, dalla scelta lessicale dell’esperto in quell’occasione intervistato in relazione all’argomento disabilità: ai termini “disabilità” o “diversità”, appunto, veniva preferito il termine “specificità”.
Era la prima volta che avevo uno studente sordo, Nicholas, ed ero chiamato a rompere il muro dell’isolamento in cui i sordi si vengono a trovare in situazioni comunicative quali quelle di una classe, ricercando soluzioni anche, a tratti, “patafisiche”.
Naturalmente, avere da qualche anno impostato la didattica in modo diverso, più flessibile e dinamico – almeno così credo – penso abbia favorito la costruzione di percorsi “specifici per tutti”, vale a dire strategie didattiche in grado di includere Nicholas (… ma anche tutti gli altri, più o meno abili). Eccone qualche esempio.
USO DI SINTESI VISIVE
Come primo aspetto vorrei sottolineare un diverso stile di insegnamento: maggior uso di sintesi visive, di testi online, di infografiche, di visualizzazioni alla LIM, riferimento costante al tablet, uso dinamico della piattaforma didattica.
APPUNTI IN CLASSE?
È ovvio che per un ragazzo sordo il concetto di appunti va ripensato: o segue le labbra dell’insegnante o scrive. Che fare, dunque? Come attivare strategie utili a rispondere alla specificità (tanto più che, come si sa, la “competenza appunti” non è così scontata)?
Ho proposto quindi alla classe una sorta di sfida mensile: i Notes Games, (con la rispettiva versione per l’insegnamento del latino, i Ludi notarum) proprio per favorire un’attenta sistemazione degli appunti (con conseguente revisione di quanto affrontato). Il titolo scelto, come si può intuire, era legato all’uscita, in quel periodo, del film The Hunger Games, che aveva riscosso un notevole successo tra i giovani. Nicholas in questo caso avrebbe dovuto lavorare su quanto raccolto dalla facilitatrice.
La sfida non prevedeva voti per tutti, ma, ispirandosi al film, avrebbe assegnato premi ai primi tre classificati (un bel 10 al primo, un 9 al secondo e un 8 al terzo: mi sembrava troppo riduttivo premiare solo il vincitore, il “tributo sopravvissuto”). Ho quindi costruito in piattaforma un’attività (il workshop) che prevedeva le seguenti fasi:
- fase 1: consegna, entro una precisa data, di un file con la rielaborazione degli appunti;
- fase 2: lettura da parte degli studenti dei lavori dei compagni;
- fase 3: valutazione dei lavori sulla base dei parametri proposti dal docente;
- fase 4: calcolo dei voti (automatico;
- fase 5: proclamazione dei tre vincitori del mese.
L’attività aveva una serie di obiettivi:
- costringere gli studenti a prendere gli appunti con maggior serietà e continuità;
- costringere gli studenti a un’attenta fase di revisione degli appunti stessi e a una loro rielaborazione grafica e digitale (mappe, infografiche ecc.);
- favorire un insistito ripasso dei concetti affrontati attraverso la lettura ripetuta dei contenuti (a causa della valutazione degli appunti altrui!);
- consentire a Nicholas di avere una ventina di rielaborazioni degli appunti presi in classe.
Non so come (potrei però forse dire il perché), ma l’edizione successiva dei Notes Games è stata vinta proprio da Nicholas, con una strepitosa rielaborazione di alcuni canti dell’Inferno di Dante.
TEAMWORK
La possibilità di lavorare insieme ai compagni di classe, in un gruppo ristretto, ha certamente favorito l’apprendimento di Nicholas, aiutandolo a uscire da quell’isolamento cui spesso la lezione frontale lo costringe. Un esempio tra molti è stato ben sintetizzato da Nicholas stesso (si veda più avanti l’intervento intitolato Touch/teach and learn).
Si tratta di un’attività che prevedeva di costruire una lezione multimediale e interattiva in piattaforma: l’attività in Moodle è chiamata proprio “Lezione”. Dopo aver assegnato ai gruppi l’argomento (si trattava di episodi dell’Orlando furioso di Ariosto), veniva concordata con i gruppi la modalità del lavoro, vale a dire una lezione fruibile individualmente e a distanza: contenuti, analisi e domande di feedback vincolanti al prosieguo del percorso.
Dopo aver brevemente (sono nativi digitali, dopo tutto) spiegato come tecnicamente si doveva operare, è stato proposto un modello da seguire. Al termine del lavoro ogni studente ha potuto studiare sulle lezioni degli altri gruppi.
TECHNOLOGY ENHANCED LEARNING
La tecnologia ha aiutato molto, non c’è dubbio. Un ulteriore aiuto è stato offerto dal particolare strumento che abbiamo adottato il penultimo anno di liceo, grazie anche alla collaborazione con ASUS Italia: un tablet con la tastiera wireless e con la possibilità di lavorare su più finestre. Nulla di eccezionale, quindi: normale tecnologia a disposizione di tutti.
Anche in questo caso non è importante lo strumento, ma l’uso che se ne è fatto: in molte lezioni, soprattutto in occasione della presentazione di argomenti da parte dei gruppi di lavoro, Nicholas aveva la possibilità di seguire, in una finestra, la sintesi visiva proposta dai docenti-studenti, e di visualizzare, nella finestra accanto, gli appunti che la facilitatrice prendeva a commento delle immagini.
Semplice ed efficace.
SUBTITLES, PLEASE
Da qualche anno a questa parte, anche nelle scuole più tradizionali sono entrati quelli che un tempo si definivano “sussidi audiovisivi”: in effetti ci sono prodotti straordinari, fatti benissimo e che si avvalgono, spesso, di consulenze ad altissimo livello. Ma che si fa quando in classe è presente un ragazzo sordo?
Per i film sono disponibili (sui DVD o in rete) i sottotitoli, e il problema è risolto. Da notare che se ne ricavano anche degli “utili secondari” per l’intera classe: guardare un film in lingua italiana con i sottotitoli italiani fa crescere enormemente l’attenzione di tutti ai dialoghi e, in alcuni casi, risolve addirittura alcune difficoltà di comprensione: lo si è notato in occasione della visione del bel film dei fratelli Taviani Cesare deve morire, nel quale i dialetti utilizzati dai protagonisti non sono per tutti immediatamente comprensibili!
Ma per i documentari?
Un modo interessante per introdurre l’età augustea, in latino, è il bel documentario di Alberto Angela Augusto. La nascita di un impero (Superquark). Poteva essere la proposta giusta per il primo giorno dopo le vacanze di Natale: qualcosa di non troppo impegnativo prima di arrivare alle Res Gestae Divi Augusti in lingua originale. Non faccio in tempo ad annunciarlo che penso: “E Nicholas?”. Quindi ritiro subito la proposta: troveremo un altro modo per rientrare dalle vacanze in modo non traumatico.
Ma, anche questa volta, la sorpresa: alcuni studenti – forse terrorizzati dall’eventualità che non riuscissi a trovare alternative e con l’incubo traduzione delle Res Gestae post Befana – hanno lanciato la proposta di un “Natale di condivisione”. Vista la durata del documentario e il numero degli studenti, si propone la costruzione dei sottotitoli per 5 minuti a testa! Proposta accettata: dopo aver trovato in rete un software gratuito per l’inserimento dei sottotitoli (e in grado di generare file *.srt), ci siamo divisi il lavoro.
Ho creato quindi uno spazio in piattaforma con le consegne, le istruzioni, il software e un’area in cui poter condividere i file *.srt.
A mano a mano che arrivavano i file, io li controllavo, correggevo qualche errore di battitura e assemblavo.
Al rientro in classe, in gennaio, abbiamo potuto vedere il documentario con la soddisfazione (e una doppia attenzione) di tutti!
UNA CHAT PER CONDIVIDERE
Un modo di capire se i contenuti sono stati compresi è certamente la ripresa degli argomenti in modalità condivisa: domande flash alle quali gli studenti possono rispondere velocemente e dal proprio posto. Chi sa di più – in questo caso – aiuta gli altri ad approfondire.
Bella modalità, certamente; e ancora nulla di nuovo, ovviamente. Ma la presenza di un ragazzo sordo in classe rende tutto decisamente difficile e contribuisce ad aumentare il senso di isolamento del ragazzo stesso che, se anche riesce a cogliere la domanda del docente, non sarà in grado di seguire gli interventi dei compagni.
Anche qui la piattaforma ci è venuta in soccorso: ho chiesto ai gruppi di preparare una batteria di domande da sottoporre agli altri studenti e, dopo aver aperto una chat (terribile attività per chi ricorda gli esordi di internet), ho chiesto loro di scriverle, a turno, nella stessa. Quindi un gruppo inseriva la domanda e agli altri studenti veniva chiesto di rispondere – sempre via chat – in modo sintetico ed efficace.
La cosa ha avuto il suo risultato, e, soprattutto, tutti hanno potuto partecipare “ad armi pari”.
Al termine di questo contributo lascio la parola a Nicholas, di cui troverete tre interventi fatti in momenti diversi: dopo un anno di lavoro, nel pieno del progetto e, l’ultimo, a distanza di un anno dal diploma.
Cosa c’entra tutto questo con la scuola?
Nell’ultima puntata dello sceneggiato televisivo di Vittorio De Seta Diario di un maestro (1973), il direttore della scuola si scontra con il maestro (interpretato da Bruno Cirino) che ha tentato di intraprendere vie nuove per combattere la disaffezione alla scuola di quegli anni nei quartieri maggiormente disagiati.
Direttore: Mi ha fatto vedere questa cosa… sarà anche bella, ma io mi domando: Cosa c’entra tutto questo con la scuola? […] Che cosa sono i programmi secondo lei?
Maestro: Lei mi rimproverava perché in classe non usiamo il sussidiario e il libro di lettura. Mi ha anche chiesto perché io, almeno in parte, non avessi fatto un po’ di scuola tradizionale. […] Ho cercato. Ho cercato in questi libri se ci potesse essere qualcosa di utile per i miei ragazzi. Non ho trovato niente, niente che potesse interessarli, potesse tenerli a scuola. […] Non esiste una via intermedia. Io ho dovuto scegliere tra una scuola aderente alla vita e una scuola aderente a questi libri. Io ho scelto una scuola aderente alla vita secondo lo spirito dei programmi… Io in questi libri non ho trovato altro che date, nomi di città, di fiumi, di piante: tutte cose da imparare a memoria, stupidamente, buone solo per passare gli esami.
EYE 2014: Skills for jobs – Better skilled through studying abroad
Con la classe che maggiormente ha sperimentato la “didabilità” ho avuto l’occasione di partecipare all’EYE 2014, l’evento che raccoglie a Strasburgo i giovani della Comunità Europea.
Tra le molte manifestazioni mi piace ricordarne in particolare una, una sorta di workshop intitolato European Youth Event: Skills for jobs – Better skilled through studying abroad. A introdurre il dibattito è stato proposto un breve video (meno di due minuti) intitolato Di cosa ha bisogno il mercato del lavoro?, di cui trascrivo il testo:
Quasi 6 milioni di giovani sono senza lavoro.
Nello stesso tempo 2 milioni di persone non sono inserite nel mondo del lavoro per la mancanza di competenze.
Sta crescendo la domanda per competenze di alto livello giorno dopo giorno.
Che cosa può essere di aiuto?
I diplomati sono adeguatamente preparati per il mercato del lavoro?
Solo il 42 per cento dei datori di lavoro risponde di sì!
Che cosa stanno cercando i datori di lavoro?
Capacità di lavorare in équipe.
Capacità di pianificare e organizzare.
Capacità di adattarsi e agire in nuove situazioni.
Capacità di comunicazione.
Capacità di analizzare e risolvere i problemi.
Lettura e scrittura.
Pensiero critico.
Capacità di lavorare con persone di diversi Paesi e diversi background culturali.
Capacità di prendere decisioni.
Ma come si fa a imparare queste competenze? La risposta l’hanno data i miei studenti che, a mano a mano che venivano ricordate le competenze per il futuro, si giravano verso di me sottolineando il loro compiacimento con la frase “questa l’abbiamo appresa!”.
***
La parola a Nicholas
La consapevolezza come “studente sordo”
Questo è il breve intervento di Nicholas in occasione della conferenza stampa dell’inizio del ParnASUS Project, il progetto che per due anni è stato portato avanti dalla mia classe con la collaborazione di ASUS Italia.
…e sono lo studente sordo di questa classe. Essere sordi significa non essere in grado di sentire, e da ciò ne conseguono vari problemi nella vita quotidiana.
Io sono qui per spiegarvi come questo metodo abbia contribuito alla soluzione dei problemi didattici causati dalla mia sordità.
La maggior parte di voi avrà intuito che io sono in grado di leggere le labbra. Ovviamente – fidatevi – non è piacevole stare lì per un’ora a tenere gli occhi fissi sulle labbra dell’insegnante e cercare di cogliere il maggior numero delle parole possibili. Inoltre – sapete – ci sono un’infinità di parole le cui pronunce labiali sono simili: per esempio ‘quattro’ e ‘quadro’. Se a lezione capisco ‘quattro’ al posto di ‘quadro’ continuerò a capire così per i successivi 60 minuti. Ho quindi bisogno di una conferma che quel che capisco sia giusto e il miglior modo perché questo accada è avere i testi sottomano (libri, testi proiettati alla lavagna multimediale, oppure messi a disposizione sul tablet. Se sono dei Power Point, meglio: in questo modo riesco a tenere il segno e a capire il filo del discorso dell’insegnante).
Ovviamente tutto questo vale anche per gli altri alunni, per avere una maggior attenzione e una comprensione facilitata: per me è più un bisogno che una comodità. Io devo necessariamente avere dei supporti visivi, in modo particolare LIM e tablet.
Riassumendo. Questo strumento (il tablet) mi ha aiutato ad abbattere molte barriere della comunicazione.
La consapevolezza come “studente… e basta”
Nel marzo del 2014 chiesi alla classe di affrontare un tema con la modalità della Tipologia B dell’esame di Stato avente come argomento l’esperienza didattica dei due anni passati con me, e come “documenti” tutto il materiale prodotto dalla classe e facilmente reperibile nella piattaforma didattica.
Queste le consegne: «Ripercorrere il lavoro fatto in questi due anni. Scegliere un’esperienza e descrivere con cura ed in modo analitico (tempi, attività, metodi, consegne, prodotti,…) che cosa si è fatto. Descrivere quale utilizzo della tecnologia ha comportato l’esperienza in questione. Provare a riflettere sullo scopo dell’esperienza… ovviamente dal vostro punto di vista (competenze, conoscenze…). Individuare quali sono stati i vantaggi concreti che questa metodologia di lavoro (tecnologie e laboratorio) ha portato: ha favorito il lavoro? Si poteva fare diversamente? Con che tempi?… Provare a riconoscere quali operazioni mentali ha messo in gioco l’esperienza individuata».
Questa la riflessione di Nicholas.
TOUCH/TEACH AND LEARN: IL NUOVO MODO PER COMPRENDERE
«Homines, dum docent, discunt». C’è chi probabilmente si ricorda questa frase di Seneca dopo aver passato anni di liceo a tradurlo, con il dizionario sotto il braccio, carta e penna, così come c’è anche chi ricopiava le traduzioni altrui, rubando le loro brutte copie nel bel mezzo delle verifiche.
«Gli uomini, mentre insegnano, imparano», questo è il titolo dato dal professor Lotti a uno degli innumerevoli sotto-progetti del ParnASUS Project, un’iniziativa nata dalla collaborazione tra la filiale italiana di ASUS e il liceo Andrea Maffei di Riva del Garda, con lo scopo di introdurre la tecnologia nelle scuole.
Il sotto-progetto in questione è una vera e propria rivoluzione dal punto di vista didattico-digitale: si tratta, infatti, di una lezione interattiva e completamente digitale.
LEZIONE REALE VS LEZIONE DIGITALE
Sappiamo tutti quanto sia noiosa una lezione frontale: infatti bisogna prestare massima attenzione a quello che dice il professore e prendere appunti, proprio perché le spiegazioni non “rimangono nell’aria” per un certo periodo di tempo, ma – ahimè – scompaiono.
E che cos’ha una lezione interattiva-digitale di così spettacolare? Soprattutto il fatto che quello che spiega il docente è già scritto e non è possibile perdersi la lezione in alcun modo, potendo quindi andare a rivederla quando si vuole.
Quindi è una specie di libro online? No, assolutamente.
È molto più di una semplice lezione e molto più di un libro scolastico: è tutti e due!
TOUCH AND LEARN
Per dirla con altre parole, è un’attività posta sulla piattaforma digitale, in modo che l’insegnante possa creare pagine di diversi tipi contenenti la lezione, divisa in frammenti: quasi come l’analisi del Metodo di Cartesio, che sostiene che qualcosa debba andare diviso in parti più piccole per poterle comprendere meglio.
Queste pagine possono essere con contenuto, oppure possono essere pagine con domande che possano verificare la comprensione del contenuto precedente; le domande possono essere aperte oppure a scelta multipla: le prime, come sappiamo, richiedono una risposta elaborata dallo studente, che la scrive negli appositi spazi; le seconde, invece, permettono allo studente di selezionare una tra le varie risposte proposte.
Oltre a sfruttare queste, che sono le caratteristiche base delle domande, il procedere delle pagine consente anche qualche trucco: per esempio, se si risponde correttamente alla domanda a scelta multipla, si procede con la lezione, in caso contrario, si va indietro o bisogna rifare quella stessa domanda. Proprio per questo è consigliato alternare pagine con contenuto a pagine con domande: per chiedere il feedback agli studenti in modo da vedere se hanno compreso la spiegazione e, contemporaneamente, mantenerli attenti.
DISPONIBILITÀ, VELOCITÀ ED EFFICACIA
Gli studenti possono, quindi, accedere alle lezioni a scuola (tramite tablet o dispositivi touch), a casa oppure anche “in giro”: la lezione, infatti, è sempre disponibile – a meno che l’insegnante non ponga delle scadenze.
Oltre a essere accessibile ovunque, è anche veloce da fare, o meglio, si adatta al livello di velocità dello studente nell’apprendere, perché c’è chi comprende le cose immediatamente, e chi ha bisogno di rifletterci per un po’. L’efficacia, infine, dipende prettamente dal creatore della lezione, così come dipendono altri pro e contro secondari.
TEACH AND LEARN
Riprendiamo, però, la frase di Seneca: “Gli uomini, mentre insegnano, imparano”. Perché questo titolo? Perché noi studenti possiamo diventare degli insegnanti.
Infatti creare una lezione per i nostri coetanei richiede di apprendere in prima persona l’argomento in questione raccogliendo materiale pertinente; comprendere bene quanto raccolto e creare sulla piattaforma la lezione. Tutte competenze, quindi, molto particolari, ma ricercate nel mondo del lavoro attuale; con queste, lo studente si trasforma in un vero e proprio “studinsegnante”, cioè in una persona che contemporaneamente studia e insegna.
L’ORLANDO FURIOSAMENTE DIGITALIZZATO
Per citare un esempio concreto, ci siamo impegnati ad approfondire alcuni passi dell’Orlando Furioso in breve tempo, senza scervellarsi sui libri, senza “sbriciolarsi la mano” a forza di scrivere riassunti con carta e penna.
Come? Ci siamo divisi il lavoro tra gruppi, in modo da dare sfogo alla nostra creatività e consentire ai vari team di poter costruire cinque lezioni di diverso stile.
Siamo poi passati alla fase successiva: ogni gruppo ha studiato sulle lezioni predisposte dagli altri team. In questo modo abbiamo potuto, nell’apprendimento, anche osservare i diversi stili e coglierne dei trucchetti (… da utilizzare in futuro).
CONCLUSIONE
“Gli uomini, mentre insegnano, imparano”. Si è trattato di un diverso modo di comprendere, attraverso una logica di “teach and learn”, insegna e impara, insieme a una logica di “touch and learn”, dove per imparare è necessaria una piattaforma digitale.
La consapevolezza come “studente universitario’”
One Year Later.
Scrivo questa breve considerazione dopo aver superato l’imbarazzo iniziale datomi dalla lettura del mio tema scolastico di due anni fa, che tra l’altro termina con, e cito: “L’unica pecca? Gli studenti sopracitati fanno parte di un liceo scientifico, ma questo tipo di lezione è difficilmente applicabile alle materie scientifiche”.
In quanto attuale studente alla facoltà di Scienze e tecnologie biomolecolari posso affermare che, inaspettatamente e diversamente da come avevo scritto nel tema, le nozioni che avevo imparato al liceo (in particolar modo quelle sul teamwork) mi sono tornate utili, pur continuando a studiare materie scientifiche. Infatti, essendo soltanto una settantina di persone in tutto nel mio corso, i professori puntano molto sugli esercizi e sugli esperimenti a gruppi (di chimica, fisica e biologia, per esempio) con conseguente stesura di una relazione di laboratorio per ogni singola esperienza, che viene valutata e compresa nel voto finale insieme agli esami scritti e orali. Grazie a ciò, in tutto il primo anno, per esempio, ho fatto ben 28 relazioni in gruppo con persone che all’inizio mi erano sconosciute, e ora sono diventate mie valide compagne di laboratorio.
Inizialmente non ero ben inserito nel contesto universitario a causa dell’improvvisa assenza dell’interprete/di un facilitatore rispetto alle superiori, e avevo soprattutto l’ansia che i laboratori potessero essere abbastanza rischiosi per me, poiché non capivo gli avvertimenti e le spiegazioni dei tecnici. Per fortuna ho conosciuto, sempre nel bel mezzo del teamwork, compagni di corso che sono stati molto disponibili a ripetermi e riassumermi i passaggi da effettuare.
In seguito ho dovuto lavorare proprio con quelle stesse persone e sorprendentemente ho saputo adattarmi anche a nuovi componenti del gruppo senza problemi, anche perché tra una materia e l’altra, come per esempio chimica e biologia, poteva accadere che alcuni membri del mio gruppo optassero di far parte altri gruppi e viceversa. Proprio per questo mi è capitato di notare che le persone nel mio corso, venendo da background differenti, avevano idee molto discordi: alcuni, infatti, preferiscono lavorare da vicino, fisicamente parlando, mentre altri preferiscono farlo virtualmente attraverso Dropbox o Drive; alcuni vogliono consegnare l’elaborato addirittura tre o quattro settimane prima della data di scadenza, altri invece sono più tranquilli a riguardo; alcuni non gradiscono i paragrafi troppo lunghi, e altri prediligono l’essere prolissi.
Ho lavorato, in un solo anno, con una vasta gamma di persone (alcune, purtroppo, meno ‘simpatiche’ di altre) prendendo sempre il ruolo di grafico: quel componente del gruppo che sistema la relazione e la invia ai professori, ma scrivendone comunque una parte. Spesso, però, mi è successo di assumere anche il ruolo di leader e proporre idee, organizzare i lavori da dividerci e risolvere situazioni, dal momento che gli altri non sapevano come muoversi. Una delle sfide in cui mi sono imbattuto frequentemente, per esempio, è stato dover capire come trovare dei ‘terreni comuni’ tra due persone con idee totalmente divergenti.
Un’esperienza di cui vado fiero della “polimerizzazione” tra i miei due ruoli è stata quella di biologia cellulare. Il laboratorio si era prolungato per ben cinque pomeriggi consecutivi, e in ognuno di essi bisognava fare un esperimento differente: alla stesura della relazione, di conseguenza, abbiamo discusso su come dividerci le cinque esperienze, visto che eravamo soltanto in quattro. In quel momento ho deciso di prendere in mano la situazione e di organizzare io stesso la divisione dei lavori, nonostante io non abbia mai assunto un ruolo simile al liceo. In questo modo ho compreso che, dopo aver lavorato per tre anni a stretto contatto con i miei capigruppo, ho imparato, quasi per osmosi (giusto per usare un termine scientifico), ad avere la capacità di essere più sicuro in me stesso, di riuscire a saper prendere decisioni e di risolvere problemi.
Perciò dico, un anno dopo, che, a prescindere dalla tipologia di materie che si va a studiare, le 12 competenze fondamentali rimangono sempre: comparare, comprendere, creare, descrivere, giudicare, interpretare, ipotizzare, osservare, produrre, riflettere, sperimentare e valutare. Solo in questo modo si può imparare ad adattarsi, lavorare e convivere pacificamente con altre persone.
Il giudizio della Commissione
In conclusione riporto quanto la Commissione dell’Esame di Stato ha voluto segnalare a proposito di Nicholas:
La Commissione intende segnalare il candidato Nicholas **** per quanto ha saputo costruire nel suo percorso liceale. Il suo esame ha evidenziato come il candidato sia riuscito ad essere brillante grazie ad un atteggiamento positivo e costruttivo, che si è manifestato anche nei giorni in cui non era interessato direttamente alle prove.
Si evince che la sua presenza nella classe sia stata di stimolo per gli altri e, vedendo anche alcuni approfondimenti dei compagni, che abbia portato la classe ad una straordinaria disponibilità e responsabilità.
Dopo aver osservato gli studenti in occasione delle prove, la commissione vuole evidenziare l’eccezionale integrazione raggiunta tra ‘abili’ e ‘disabile’ e intende sottolineare come la presenza di Nicholas abbia favorito la crescita umana di tutti… grazie all’impegno di tutti.