Di scuola e di pace

Tempo di lettura stimato: 13 minuti
Si può educare alla pace? Ovvero, si può insegnare e imparare, la pace? ONU e UNESCO pensano di sì, e da anni la Rete scuole di pace si impegna a concretizzare il mandato di legge e a realizzare un’educazione civica trasversale e trasformativa, al cui centro ci sono la cura e il rispetto. E, ovviamente, le e gli studenti.Dal numero 27 de La ricerca, “Guerra”.
Cartellone pacifista. ©Halfpoint/Shutterstock

Cappellino giallo in testa, si tenevano per mano camminando velocissimi dietro lo striscione che a caratteri cubitali recitava Prima di tutto la pace. In mano i cartelli colorati che avevano preparato nei primi giorni di scuola. È con loro, con i bambini del Circolo Didattico “Aldo Moro” di Gubbio, che si è aperta la marcia straordinaria per la pace che il 21 settembre 2024 – Giornata Internazionale della Pace – si è snodata dalla basilica di Santa Maria degli Angeli alla piazza del comune di Assisi. «La marcia di oggi – ha detto la dirigente Maria Gioia Pierotti – è un’attività pedagogica straordinaria, perché vede la compartecipazione del dirigente scolastico, del personale docente, del personale Ata e della nostra Amministrazione comunale». E così ha continuato:

la scuola deve progettare interventi che sappiano considerare l’alunno cittadino del proprio tempo. Pertanto occorre sempre più che l’agire educativo sia guidato da obiettivi precisi e quanto più funzionali rispetto all’epoca che stiamo vivendo, che indubbiamente appare complessa. È per questo che come Dirigente scolastico ho deciso di aderire alla Rete nazionale delle Scuole di Pace attraverso i programmi di educazione alla cittadinanza. La scuola ha la grande opportunità di riaprire il futuro dei nostri ragazzi. Perché la pace si insegna e si impara. E la pace si fa, è un compito di realtà che chiede di essere realizzato tutti i giorni dando concretezza ai valori che costituiscono l’essenza stessa della persona. Da qui la necessità di rendere i nostri alunni costruttori di pace educandoli al bene comune.

La Rete scuole di pace

Le parole di Maria Gioia Pierotti riassumono l’essenza della Rete delle scuole di pace. Si tratta di un gruppo consistente di scuole e di docenti che da anni concretizzano nelle attività educative gli obiettivi della Marcia PerugiAssisi, interfacciandosi sia con gli enti locali che aderiscono al Coordinamento nazionale enti locali per la pace e diritti umani, sia con la Rete delle università per la pace (Runi Pace)1. La Rete delle scuole di pace è nata diversi decenni fa, e opera promuovendo “programmi” di educazione alla pace via via dettagliati in educazione alla cura, alla cittadinanza glocale, alla cittadinanza digitale. Il programma 2024/25 si intitola “Immagina” ed è stato presentato il 30 agosto 2024 nel corso di un incontro cui hanno partecipato oltre 800 insegnanti.

Dimensione trasversale e trasformativa dell’educazione alla pace

Se educazione e pace vanno assieme, si può sostenere, come da metà degli anni Novanta sostiene la Rete delle scuole di pace, che «la pace si insegna, la pace si impara!». Ovvero, è possibile educare la «competenza di pace» che è una delle «competenze civiche» che la legge 92/2019 indica come traguardo della «disciplina trasversale» denominata Educazione civica (art. 2 comma 1).
La «dimensione trasversale» dell’Educazione civica implica che non esiste un docente delegato al suo insegnamento, ma tutti i saperi e tutte le discipline devono concorrere alla formazione del cittadino e della cittadina. Ciò ha un impatto anche a livello epistemologico, richiedendo il superamento di un approccio puramente disciplinare.
La legge 107/2015 indica, tra le priorità che le scuole assumono nella definizione della propria identità e missione (espressa nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa), proprio lo «sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra le culture, il sostegno dell’assunzione di responsabilità nonché della solidarietà e della cura dei beni comuni e della consapevolezza dei diritti e dei doveri; […] sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità, della  sostenibilità ambientale, dei beni paesaggistici, del patrimonio e delle attività culturali».
La seconda caratteristica fondamentale dell’educazione alla pace, così come dell’educazione civica, è quella di essere un percorso trasformativo: non si educa infatti alla pace se non diventando artigiani di pace2, trasformando quindi il proprio mondo, la società in cui si vive, impegnandosi per il rispetto dei diritti di tutti e assumendo responsabilità e cura nei confronti di sé stessi, della relazione con gli altri, della comunità, delle istituzioni, dell’ambiente.
La terza caratteristica chiave dell’educazione alla pace è connessa al diretto protagonismo degli studenti e delle studentesse all’interno della scuola e della società. La dimensione trasformativa dell’educazione impatta sulla realtà, sulla società, sulla cultura e sullo stesso processo educativo, e non può che richiedere una didattica innovativa che metta davvero al centro l’apprendente, che diventa changemaker, promotore di innovazione sociale.
Negli ultimi anni, le proposte della Rete delle scuole di pace, ad esempio, si sono concentrate sui temi della cura (di sé, degli altri, dell’ambiente, dei diritti, della giustizia, della pace ecc.), sui laboratori di futuro, sulla «coltivazione del bene comune», sull’educazione civica digitale e la costruzione di un curricolo di cittadinanza digitale: tutti percorsi che coniugano in modo innovativo le proposte che sono alla base sia del rapporto Unesco 2021 (Reimagining our futures together: A new social contract for education) sia del Trasforming education summit dell’ONU tenutosi a metà settembre 2022, e che ha trovato rilancio e sintesi nel Summit of the future3 di settembre 2024.
In sintesi, la scuola è chiamata a essere un controcanto rispetto alla narrazione corrente sulla guerra. Una voce di impegno e di speranza che, a partire dai più piccoli e dalle più piccole, lavora per far crescere dal basso un nuovo stile di relazioni e di convivenza, sull’esempio del nuovo contratto globale richiesto dal rapporto Unesco 2021 per re-immaginare con l’educazione il nostro futuro assieme.

La cura e gli esercizi di pace

La pace comincia da ciascuno di noi e ciascuno può fare qualcosa per costruirla ogni giorno. E proprio perché si tratta di un’esperienza scolastica, il percorso ha realizzato alcuni Quaderni rivolti direttamente ad alunni e alunne, intitolati Il mio quaderno degli esercizi di pace e Il quaderno degli esercizi di cura4.
I due Quaderni degli esercizi di pace (curati da Flavio Lotti, uno per la scuola primaria e secondaria di primo grado e l’altro per le superiori) contengono l’indicazione di quindici esercizi da realizzare a scuola. Si parte dall’«imparare a salutarci guardandoci negli occhi» e si finisce con l’impegno a «ripudiare la guerra». Nel mezzo, si lavora sulla cura dell’ambiente, ma anche delle parole che usiamo, sul rifiuto della violenza e sulla cura del vivere e lavorare insieme.
Ogni Quaderno illustra 15 esercizi da programmare e realizzare a scuola per imparare a diventare cittadini consapevoli e responsabili:

  1. impariamo a salutarci guardandoci negli occhi;
  2. impariamo a prenderci cura delle parole che usiamo;
  3. impariamo a prenderci cura della vita;
  4. impariamo a vivere e lavorare insieme;
  5. impariamo a fare pace con gli altri;
  6. impariamo a difendere i diritti umani;
  7. impariamo a rifiutare la violenza;
  8. impariamo a partecipare e decidere insieme;
  9. impariamo a prenderci cura del mondo;
  10. impariamo a prenderci cura dell’ambiente;
  11. impariamo a fare cose difficili;
  12. impariamo a essere solidali;
  13. impariamo a metterci al servizio della comunità;
  14. impariamo ad agire insieme per la pace;
  15. impariamo a ripudiare la guerra.

Alla radice della proposta degli esercizi di base interagiscono due elementi, il primo filosofico, il secondo pedagogico-didattico.
Vediamo il primo. Devi cambiare la tua vita, questo è il titolo del volume che il filosofo tedesco Peter Sloterdijk ha dedicato alla antropotecnica e che vede nell’esercizio l’elemento cruciale che permette di cambiare, trasformare, migliorare ad elevare la vita (propria e della propria comunità). Per Sloterdijk «esercizio» è l’insieme di pratiche attraverso cui «l’uomo produce l’uomo». Gli esseri umani, intensificando la propria azione su sé stessi (e, di conseguenza, sul mondo esteriore), producono cambiamenti nella propria physis, nella mentalità della propria epoca, e negli apparati sociali di cui sono membri. Da qui l’impegno «trasformativo», che Sloterdijk così sintetizza:

redarre le “regole monastiche” di un vivere-assieme che non distrugga la nostra biosfera: esse codificheranno quelle antropotecniche che risultano conformi all’esistenza nel contesto di tutti i contesti. Voler vivere al loro cospetto significherebbe prendere la decisione di assumere, in esercizi quotidiani, le buone abitudini di una sopravvivenza comune.5

È in fin dei conti, la posizione di Aristotele, che parlando di virtù etiche sostiene che esser derivano dalla “abitudine”, ovvero dalla assunzione di un habitus quotidiano. Scrive infatti Aristotele:

acquistiamo le virtù con un’attività precedente, come avviene anche per le altre arti. Infatti, le cose che bisogna avere appreso prima di farle, noi le apprendiamo facendole: per esempio, si diventa costruttori costruendo, e suonatori di cetra suonando la cetra. Ebbene, così anche compiendo azioni giuste diventiamo giusti, azioni temperate temperanti, azioni coraggiose coraggiosi.6

Per quanto riguarda il secondo elemento, esso riguarda la consapevolezza che le competenze di pace, come tutte le competenze, comprendono al loro interno un intreccio di valori, conoscenze, abilità, atteggiamenti, e sono direttamente implicate nella risoluzione di problemi, nell’azione trasformativa della cultura, del mondo, della società.

La scuola come casa della pace e della cura

La scuola stessa deve divenire uno spazio nel quale sia possibile realizzare esperienze di pace, di cura, di benessere. L’elemento chiave dello star bene a scuola è la consapevolezza, da parte degli studenti, di sentirsi a casa.
E ciò riguarda sia la scuola come edificio, ambiente e spazio di apprendimento, sia come luogo di relazioni e di costruzione della propria identità personale e sociale, spazio culturale (scuola come intellettuale sociale), come punto di connessione con il territorio, come luogo in cui esercitare diritti e competenze, oltre ad assumere responsabilità verso i doveri connessi ai diritti, come luogo nel quale si apprende a negoziare regole e ruoli.
In sostanza, un luogo nel quale si è protagonisti in prima persona piuttosto che semplici punti terminali del processo di trasmissione di saperi decisi da altri e insegnati in modalità spesso puramente “gentiliana”.
In Italia le e gli studenti (soprattutto nella scuola secondaria) sono ancora troppo spesso oggetti da istruire anziché soggetti che creano cultura, e che chiedono di essere accompagnati in questo processo da educatori mentori, tutor, coach, nell’ambito di istituzioni capaci di essere il contesto in cui il processo fiorisce anziché la fabbrica tardo-moderna dell’istruzione di massa.

La scuola come comunità 

Star bene a scuola richiede la costruzione di una comunità. Il che richiede riconoscimento delle plurime alterità, secondo le logiche indicate da Judith Butler e dal pensiero femminista, e la costruzione di uno spazio comune in cui esercitare la costruzione del sé nell’interazione con gli altri/le altre. È l’opposto dell’istituzione scolastica odierna, il cui centro troppo spesso pare essere soprattutto il “disciplinamento” di cui parla Foucault in Sorvegliare e punire nel 1975.
Uno degli elementi cardine dell’essere comunità è poi costituto dalla centralità dei riti.
Nel 2021 il filosofo Byung-Chul Han ha dedicato un breve e intenso saggio, intitolato La scomparsa dei riti. Una topologia del presente proprio alla sparizione dei riti, evidenziando come «il silenzio, il raccoglimento, il senso di sacralità necessari allo svolgimento del rito fondano un legame tra il sé e l’Esterno, tra il sé e l’Altro – i riti oggettivano il mondo, strutturano un rapporto con il mondo, creando una comunità anche senza comunicazione». Ed è estremamente interessante che, parlando di riti come elementi costituitivi di una società, Byung-Chul Han utilizzi un termine hegeliano Einhausung, che significa «accasamento»: «i riti si lasciano definire nei termini di tecniche simboliche dell’accasamento: essi trasformano l’essere-nel-mondo in un essere-a-casa, fanno del mondo un posto affidabile. Essi sono nel tempo ciò che la casa è nello spazio. Rendono il tempo abitabile, anzi lo rendono calpestabile come una casa»7. Una bellissima definizione del processo educativo.
Tra i riti più semplici ma potenti troviamo l’accoglienza, il chiamarsi per nome, il semplicissimo e quotidiano reciproco salutarsi guardandosi negli occhi, come esercizio di costruzione di relazioni di pace e accoglienza.

Il ruolo di adulti e istituzioni: la politica della cura

Gli adulti (docenti, dirigenti, famiglie) e le istituzioni (la scuola in quanto istituzione, gli enti locali, il ministero dell’istruzione) sono chiamati a prendere atto di un elemento chiave delle relazioni umane: i processi formativi sono sempre un mettere al mondo il mondo, un mettere al mondo libertà.
Da Socrate in avanti, il maestro costruisce le condizioni di contesto entro le quali lo studente cresce e si forma. Lo stesso avviene per le istituzioni in quanto tali: esse non sono il futuro, ma realizzazione delle condizioni entro cui i nuovi soggetti possono costruire il presente/futuro come novità, e non come ripetizione.
Le scuole e le istituzioni sono così chiamate a realizzare quella che Luigina Mortari chiama «politica della cura»8. Cura di sé, degli altri, delle istituzioni, della natura, del mondo. Cura che è sempre relazionale apertura all’alterità, all’inedito. Solo così sarà possibile una cultura e una società del bene-essere, in cui ognuno/a e tutti/e possano sentirsi davvero a casa. Una scuola come casa della pace.

Le Linee guida per l’educazione alla pace

Nel 2017 il MIUR ha trasmesso a tutte le scuole italiane le Linee Guida per l’Educazione alla Pace e alla Cittadinanza Glocale. Le Linee guida9 sono il frutto di un percorso di ricerca azione realizzato dalla Rete delle scuole per la pace cui hanno partecipato 162 docenti nel corso del programma Dalla grande guerra alla grande pace realizzato con il supporto della regione Friuli Venezia Giulia a partire dal 2014, nell’occasione del centenario dell’avvio della Prima guerra mondiale.
Si tratta di un agile documento metodologico, ancora oggi attualissimo, che supporta le e i docenti nel progettare, costruire e realizzare con le proprie e i propri studenti i percorsi di educazione alla pace, alla cittadinanza, ai diritti, alla solidarietà, alla cura. Percorsi con i quali affrontare anche questo momento storico, nel quale la guerra, con i suoi orrori, non solo è tornata nel cuore dell’Europa e al centro delle preoccupazioni, dell’angoscia, della scommessa per il futuro, ma è tornata a essere dicibile, pronunciabile. Ha conquistato spazio nell’immaginario collettivo. Da qui la necessità di re-immaginare un futuro diverso.
Magari partendo dalla capacità di immaginare e dalla voglia di futuro delle bambine e dei bambini di Gubbio, che il 21 settembre sono saliti ad Assisi con disegni di pace.


NOTE

  1. Siti di riferimento sono rispettivamente https://www.perlapace.it/; https://www.lamiascuolaperlapace.it/; https://www.runipace.org/.
  2. Artigiano e architetto di pace sono due categorie introdotte da papa Francesco nella Enciclica Fratelli tutti del 2020. Al numero 231 Francesco distingue il ruolo dell’artigiano («i processi effettivi di una pace duratura sono anzitutto trasformazioni artigianali operate dai popoli, in cui ogni persona può essere un fermento efficace con il suo stile di vita quotidiano») da quello dell’architetto («C’è una architettura della pace nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza…»). Tuttavia, sostiene papa Francesco, a diversi livelli di responsabilità ognuno di noi è spesso sia architetto che artigiano.
  3. Si veda https://www.un.org/en/common-agenda/summit-of-the-future.
  4. I Quaderni sono distribuiti direttamente da Scuole di Pace; sono stati acquistati in diverse decine di migliaia e consegnati direttamente a ogni studente del gruppo o della casse che ci ha poi lavorato (il quaderno è infatti personale). Diverse le amministrazioni locali (enti locali per la pace) hanno personalizzato il quaderno per le scuole dei loro territori. Maggiori informazioni qui https://www.perlapace.it/ordina-quaderno-degli-esercizi-pace/.
  5. P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, trad. S. Franchini, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 556.
  6. Etica nicomachea, libro II, 1.
  7. C. Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano 2021, trad. it. S. Aglan-Bittazzi, p. 11.
  8. L. Mortari, La politica della cura. Prendere a cuore la vita, Raffaello Cortina, Milano 2021.
  9. Consultabili all’indirizzo http://www.perlapace.it/lineeguida/.
Condividi:

Aluisi Tosolini

filosofo dell’educazione, è coordinatore nazionale della Rete delle scuole di Pace e coordinatore scientifico di Casco Learning. Per 20 anni dirigente scolastico, è tra i fondatori del Movimento Avanguardie Educative. Ha insegnato didattica alle Università di Parma e Cattolica di Piacenza. Il suo ultimo volume si intitola Scuola bene comune. Idee per ripensare l’educazione, Emi, Brescia 2023.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it