Di cosa parliamo quando parliamo del tempo

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“Everybody Talks About the Weather” è una mostra che, nello splendido palazzo veneziano di Ca’ Corner della Regina, invita chi la visita a riflettere sui significati del tempo meteorologico grazie a diverse opere d’arte antica, moderna e contemporanea. Il percorso parte dalle condizioni atmosferiche per arrivare ad affrontare la questione della crisi climatica in corso.
La laguna ghiacciata alle Fondamente Nove nel 1708, autore anonimo (© Fondazione Querini Stampalia, Venezia).

Fuori, il Canal Grande lambisce la bianca facciata del palazzo in cui nel 1454 nacque Caterina Cornaro, che poi sarebbe divenuta regina consorte di Cipro, e nel piano nobile una serie di affreschi narrano la vita di questa illustre veneziana. Dentro, oltre 50 opere di artisti contemporanei dialogano con quadri risalenti a varie epoche, delineando i vari modi in cui il tempo e il clima hanno plasmato le nostre identità culturali e come l’umanità ha affrontato la nostra esposizione quotidiana agli eventi meteorologici.

La mostra Everybody Talks About the Weather è stata allestita negli spazi dello storico palazzo Ca’ Corner della Regina, oggi sede della Fondazione Prada a Venezia, dallo studio newyorkese 2×4 su progetto del curatore Dieter Roelstraete, ed è visitabile fino a fine novembre. Il percorso si sviluppa su due livelli, così come sono due le dimensioni della ricerca che si intrecciano: quella artistica e quella scientifica. Al piano terra, su un grande muro fatto di led sono trasmesse in loop previsioni del tempo da tutto il mondo; mentre lo spazio espositivo del primo piano è condiviso da opere d’arte antiche e recenti, stabilendo una continuità ideale tra passato e presente o, al contrario, innescando un cortocircuito tra visioni opposte e discordanti.

Inoltre, le opere esposte sono accompagnate da una serie di approfondimenti scientifici sviluppati in collaborazione con il New Institute Centre For Environmental Humanities (NICHE) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. In queste “stazioni di ricerca” sono messi a disposizione del pubblico più di 500 libri, pubblicazioni scientifiche e articoli, oltre a una selezione di video e interviste con studiosi e attivisti. I materiali permettono così di consultare liberamente le fonti bibliografiche della vasta ricerca alla base della mostra e di approfondire i temi scientifici e culturali affrontati dal progetto.

 

Palazzo Corner della Regina sul Canal Grande (foto Wikipedia).

Il titolo della mostra si spiega subito, all’ingresso del palazzo, grazie a un manifesto del 1968 dell’Unione studentesca socialista tedesca dell’Università di Stoccarda che raffigura Karl Marx, Friedrich Engels e Vladimir Lenin con lo slogan “Alle reden vom Wetter. Wir nicht” (Tutti parlano del tempo, noi no). Oggi sembra quasi ironico come, all’epoca, un’organizzazione politica ritenesse superfluo occuparsi del tempo rispetto ad altre questioni ben più importanti, mentre invece nel nostro presente è quasi impensabile non parlare della minaccia climatica come di un’emergenza grave e globale.

 

Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel (1565).

La visita si snoda tra i due piani presentando le opere per nuclei tematici, legati ai diversi fenomeni atmosferici: vento, neve, pioggia, sole e poi desertificazione, migrazioni, inquinamento e innalzamento degli oceani. Ci sono riproduzioni di grandi capolavori come La Tempesta di Giorgione (1502 circa), forse la prima rappresentazione pittorica di un temporale in arrivo, che è esposta proprio di fronte ai Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel (1565). Questa è una lampante testimonianza della Piccola era glaciale attraversata dal pittore olandese e dai suoi contemporanei, che causò ondate di carestie e inverni particolarmente rigidi tra la metà del XVI e del XVII secolo.

 

La tempesta di Giorgione (1502 circa)

 

Sempre grazie ai pannelli informativi che presentano ricerche e dati scientifici, il giallore del fumo di carbone, la luce blu del mattino e il rosso del sole nascente dipinti da Claude Monet in Impressione, levar del sole (1872) sono spiegati con l’impatto ambientale delle prime industrie.

 

Impressione, levar del sole (1872) di Claude Monet.

Ma anche altri artisti si possono considerare cronisti del loro tempo, anche in senso meteorologico. Per esempio, Pioggia, vapore e velocità (1844) di William Turner che, come altri suoi paesaggi, viene considerata una delle prime testimonianze dell’impatto della Rivoluzione industriale sulla qualità dell’aria in Inghilterra.

 

Pioggia, vapore e velocità (1844) di William Turner

 

Oppure John Constable con il suo Studio di nuvole (1822): in poco più di un anno, Constable aveva dipinto un centinaio di rappresentazioni del cielo di Londra, venendo per questo definito “uomo dell’aria”. Da buon pittore Romantico, cercava il sublime e il commovente nelle nuvole e così facendo ci ha lasciato una specie di reportage pittorico del cielo attorno alla capitale britannica (da Brighton a Hampstead) e della sua mutevole bellezza.

 

Untitled (2023) di Vivian Suter (foto di Marco Cappelletti; courtesy: Fondazione Prada e gli artisti).

Dopo aver esplorato le testimonianze del tempo passato, ritorniamo al presente con l’esposizione al piano nobile composta da opere di artisti contemporanei. Per esempio, gran parte del salone barocco, decorato con stucchi e affreschi, accoglie l’installazione Untitled (2023) di Vivian Suter: grandi tele dipinte e appese en plein air che ondeggiano leggermente grazie al flusso d’aria originato da un’altra opera dello scultore Nick Raffel. Si tratta di Fan un grande ventilatore, dalle pale di leggerissimo legno di balsa, e a basso consumo energetico installato sul soffitto che richiama allo stesso tempo le cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici.

 

Fan (2022) di Nick Raffel (foto di Marco Cappelletti; courtesy: Fondazione Prada e gli artisti).

Ma si potrebbero citare ancora i Carotaggi (2014) dell’artista veneziano Giorgio Andreotta Calò, ovvero tubi di perforazione in acciaio e pvc che richiamano alla mente le carote di ghiaccio su cui lavora chi fa ricerca in paleoclimatologia. Oppure lo Tsunami (2005) dell’artista keniano Richard Onyango, un trittico disegnato con lo stile di un ingenuo ex voto, ma che lascia l’amaro in bocca al ricordo delle migliaia di vittime del terribile maremoto del 26 dicembre 2004

La mostra veneziana ci fa dunque riflettere sulle tante implicazioni semantiche della parola “tempo” e in alcune persone potrebbe rafforzare l’impressione che in questo momento non si parli d’altro che della crisi climatica… Eppure, è esattamente quello che più sta mettendo a dura prova l’ambiente in cui viviamo, le comunità e le economie globali, e la nostra stessa sopravvivenza come specie. Forse un’operazione come questa, che fa dialogare arte e scienza, scaturisce dalla provocazione dello scrittore indiano Amitav Ghosh che, nel suo libro La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (trad. it. A. Nadotti e N. Gobetti, Neri Pozza, Vicenza 2017), parla della resistenza con cui affrontiamo i cambiamenti climatici: «questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità»?

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Sara Urbani

Laureata in scienze naturali con un master in comunicazione della scienza, ha lavorato per la casa editrice Zanichelli. Scrive anche per Odòs – libreria editrice e per i magazine online La Falla e Meridiano 13.

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