Il grande storico della letteratura e critico letterario Giorgio Bàrberi Squarotti affermava che il più attuale dei nostri autori è Dante Alighieri. Un’affermazione che ci appare tanto più condivisibile se consideriamo quanto la fama del nostro Poeta sia diffusa nel mondo. In Oriente, l’autorevole dantista coreano Han Hyeong Kon, che ha tradotto per primo la Divina Commedia direttamente dall’italiano in lingua coreana senza passare per la lingua francese come era accaduto sino ad allora, afferma che per conoscere l’Europa bisogna leggere Dante.
Queste due brevi notazioni invitano a considerare la fortuna di Dante come un fenomeno del tutto straordinario, che indica da un lato una tradizione storica di studi che proseguono ancora ai giorni nostri, dall’altro la vastità dell’area mondiale in cui questo autore rappresenta il nostro Paese. Quando si parla dell’Italia e della sua unità citando l’Alighieri si è nel giusto, ma la visione politica dantesca si allarga a tutta l’Europa, in quanto il Fiorentino guardava a una monarchia universale che a suo modo di vedere sarebbe stata capace di placare le lotte intestine comunali. Il suo sogno era riposto nell’alto Arrigo, l’imperatore che avrebbe dovuto sedare gli animi sotto un unico dominio unitario e super partes. Ma le cose, come sappiamo, andarono diversamente, a causa della morte di colui nel quale Dante aveva riposto tutte le sue speranze.
Se si guarda oggi all’Europa unita, il pensiero corre dunque alla sua Monarchia, opera che venne bruciata in piazza a Bologna nel 1380 dai domenicani e la cui lettura è indispensabile per comprendere il pieno significato politico dei “due soli”: papato e impero, Pontefice e Imperatore. Pur separati nei loro poteri e nelle loro sfere di influenza, Dante li indicava uguali nella dignità, ma con compiti non confluenti ancorché complementari. Ognuno, per l’Alighieri, era “primario” nel suo ruolo: il papa voluto da Dio per condurre le anime alla beatitudine celeste e l’imperatore ugualmente voluto da Dio, ma per rendere giusto e felice il regno terreno.
Noi sappiamo, tuttavia, quali lotte ci siano state nel Medioevo per la sovranità dell’uno sull’altro potere! Con il grande pontefice Gregorio VII la Chiesa di Roma si è imposta sull’Impero, tant’è vero che era il Papa a incoronare chi dominava nel secolo. Ed ecco che un credente, un uomo di cultura e di dottrina, Dante Alighieri, separa i due ruoli, rendendoli uguali nella loro specifica sfera di influenza e di finalità. Ciò non poteva andare bene ai religiosi, ma Dante guardava al futuro, scavalcando i tempi, fino a che, ai nostri giorni, almeno nelle civiltà occidentali, Stato e Chiesa sono separate nei loro ruoli e nell’effettività degli ordinamenti sociali. Ma Dante non era guelfo, e per di più guelfo bianco? Allora perché Ugo Foscolo lo chiama “ghibellino”? Il Poeta si avvicinerà sempre di più all’idea politica ghibellina, ed ecco che nasce quel fondamentale saggio scritto in latino che è il Monarchia.
Sappiamo inoltre che da principio giocarono a sfavore di Dante l’esclusione della sua dalle prose esemplari di Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua del 1525, e il filo-imperialismo che si evidenzia in Monarchia. Ciò non vietò una diffusione dell’opera in Germania, in controtendenza rispetto al resto d’Europa. E sino al Settecento, Thomas Klinkert riporta che Dante era ricordato in Germania più come autore politico che come poeta, e che la Commedia è stata tradotta in tedesco più di 170 volte in forma integrale, un centinaio circa con versioni parziali. Naturalmente la fortuna di Dante procede con la Riforma luterana e si arresta con la Controriforma.
Se peraltro ancora molti assimilano l’attualità di Dante alla lingua da lui creata, è ancor vero che è stato lo stile di Petrarca ad avere la meglio nei secoli. Dovremmo forse modificare un po’ le nostre opinioni, se non fosse che, anche linguisticamente, Dante sembra più vicino a noi per la molteplicità degli stili da lui usati: alto o tragico, mezzano o comico, basso o elegiaco. La lingua che parliamo e quella che scriviamo oggi in fondo si attengono a un canone che mescola i tre stili.
Da non dimenticare che il nostro idioma è stato “rivisitato” da Manzoni e poi infarcito di termini allogeni, tanto che i padri della parlata italiana non riuscirebbero a capirla per intero se tornassero in vita. Eppure, il dettato più vivo ed incisivo rimane quello dantesco. Egli, per dirla con Giorgio Petrocchi, ha dimostrato per primo che la lingua volgare era capace di tutti gli usi, anche quelli artistici. Ecco perché giustamente gli spetta la qualifica di “padre della nostra lingua”.
Ma l’attualità di Dante consiste anche nella visione che egli ha avuto delle donne. Ed è una visione originale e moderna, specie a tener conto del fatto che ai tempi dell’Alighieri le questioni di genere non erano all’ordine del giorno. La donna restava confinata in uno stadio inferiore, minoritario, ed è qui inutile addentrarci in quei secoli, per certi aspetti meno duttili dell’età imperiale romana nei confronti delle donne, se non fosse per notare che Dante assegna alla figura femminile un ruolo decisivo e decisionale. Trovandosi nella selva oscura, viene salvato dal poeta latino Virgilio, ma solo perché è stato mandato da tre donne: Maria santissima, la quale si rivolge a Santa Lucia, e costei a Beatrice, affinché il povero peccatore venga salvato. Sarà proprio Beatrice, una donna, a guidare Dante nel regno della beatitudine celeste.
Ora bisogna ulteriormente allargare l’orizzonte e passare al fattore etico: Dante ha insegnato, la sua è un’opera di altissima poesia, ma fondamentalmente didattica. I suoi insegnamenti (il coraggio, la rettitudine, la coerenza, la fede, l’alto senso della dignità umana, l’ammirazione per l’avversario che ha agito a favore della Patria, com’è stato per Farinata degli Uberti ad esempio) sono validi e vivi soprattutto oggi, tempo di confusione e incertezza. Inoltre, l’ulissismo dell’Alighieri già guarda al futuro, si rivolge direttamente al futuro e il viaggio dell’eroe omerico che varca le “vietate” Colonne d’Ercole si può identificare coi voli spaziali.
Il discorso si farebbe lungo e anche aperto a problematiche delicatissime in questo e in molti altri casi. Ecco perché il Poema Sacro è definito “inesauribile”, ma una riflessione è doverosa. Nei secoli trascorsi è stato assegnato a Petrarca il primato dell’anticipazione dell’Umanesimo. Oggi si sta rivedendo la cosa, e si scopre l’importanza di Dante anche nel precorrere l’Umanesimo grazie ai fertili colloqui del Poeta fiorentino coi classici. Se il presupposto del Rinascimento ha influenzato fino ad oggi la cultura, anche questa è una realtà che va aggiunta al perché della sua attualità così vibrante.
Un’attualità che ha attraversato i secoli e l’intero pianeta, giacché troviamo citazioni della Commedia in autori di ogni epoca e ogni latitudine: dalla dedica «al miglior fabbro» che per Eliot è Ezra Pound, accostato qui ad Arnaut Daniel attraverso la citazione del Purgatorio alle numerose occorrenze in Borges, Kadarè e molti altri, attualmente troviamo Dante anche nelle opere di fantasia. Tra i manga di Go Nagai e nelle opere letterarie anche meno “dantesche”, nonostante il titolo, come Inferno di Dan Brown che, pur godibile dal punto di vista dell’invenzione filmica, è ben altra cosa rispetto al suo modello ispiratore.
A questo punto dobbiamo riconoscere che, se Dante continua ad ispirare artisti, scrittori e anche autori di videogiochi, è per essere entrato a far parte di un “canone” mondiale che non si estingue in quello poetico descritto da Harold Bloom nel suo celebre libro del 1994, dove il nostro Poeta è messo accanto a Shakespeare, Molière e Goethe tra i riferimenti cardine della cultura occidentale.
Dante è anche nel canone dell’esperienza dell’uomo, nella sua quotidianità, anche attraverso le citazioni e le traduzioni che molti intellettuali hanno realizzato della sua grande opera. Dante è nella conoscenza della sua prosa che, a causa della complessità, si lascia spesso accompagnare da letture in lingua originale. Questo trattamento preserva l’originale musicalità della parola dantesca e rappresenta un fondamentale strumento per accostare le persone anche allo studio della lingua.
Tra gli strumenti per promuovere questa conoscenza trasversale c’è anche la canzone. Anche quest’arte tra le altre ha reso omaggio a Dante attraverso la voce di artisti ascoltati nel mondo intero. Il rap, la cultura hip hop, impregnata di passaggi ritmici e in costante dialogo con la misura del tempo, si fanno permeabili per la parola dantesca, tra rime e assonanze, anche nelle sue modalità espressive meno intuibili.
Assomiglia la tenzone di Dante con Forese Donati (nelle Rime), dove i due giovani si sfidano verbalmente anche in modo scurrile, alle sessioni di “dissing” (da disrespecting, cioè “mancare di rispetto”) praticate dai rapper attuali. Se anche l’ottava rima, di tradizione toscana e in endecasillabi, attinge a un fondo popolare di stilemi ricorrenti, è questo un altro filone più o meno carsico e uno scenario per il quale Dante insegna ai più giovani e non solo agli specialisti. In fondo, si è giovani sempre nello stesso modo, anche attraverso i secoli, e ascoltare una canzone da sempre ha fatto venire a tutti la voglia di imparare la lingua nella quale è stata scritta.
Se infine il tempo è ricorrente, e torna su sé stesso, dove Dante incontra la lupa nella selva oscura e teme il peggio, ossia l’impossibilità della salvezza, questo timore non è diverso da quello che sente l’uomo d’oggi: se la lupa rappresenta l’avidità delle ricchezze ed è un’allegoria del male supremo, non possiamo che ricollegarla al consumismo che sta portando la devastazione del nostro pianeta. Quale messaggio può essere più attuale di questo?
L’universalità di Dante, quella del XXVI canto di Ulisse (Inferno), è evidente anche nel suo modo di descrivere sé stesso con l’eroe omerico, in quel suo immedesimarsi ne «l’ardore / ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore». Un’esperienza che anche noi, in qualche luogo e in qualche tempo, prima o poi abbiamo fatto o prima o poi ci troveremo a dover fare.