LeRoi Jones ha pubblicato un romanzo autobiografico nel 1965, Il Sistema dell’Inferno di Dante1, che insieme alle altre sue opere gli ha procurato il titolo di «poeta laureato della rivoluzione nera»2. Il romanzo è uscito durante il movimento per i diritti civili, poco prima che la città natale di Jones, Newark, fosse sconvolta dalle sommosse e dalla violenza del 1967 e del 1968. È stato pubblicato lo stesso anno in cui Jones ha divorziato da sua moglie Hettie Cohen Jones, una donna bianca, e ha lasciato l’ambiente dei beatnik del Greenwich Village, andando via «da questo inferno di centro città»3, e trasferendosi nella zona nera per guidare il Black Art Repertory Theatre/School di Harlem4. Quasi subito dopo LeRoi Jones è diventato un ministro della religione Kawaida e ha cambiato il nome in Imamu (ovvero Guida Spirituale) Amiri Baraka. La pratica religiosa Kawaida, basata sulla «disciplina morale dell’Islam ortodosso e dei concetti africani» quali quello Umoja (o dell’unità), si è trasformata per Baraka e per i compagni nazionalisti neri in un codice morale quotidiano da seguire5.
Jones (d’ora in poi mi riferirò a lui con il nome che ha usato quando ha pubblicato The System of Dante’s Hell) all’inizio ha letto Dante con Nathan Scott all’università di Howard, un’esperienza che lo ha trasformato: «[…] l’insegnamento di Nathan Scott su Dante mi ha trasmesso un amore intellettuale per la letteratura che non avevo visto […]. Ed è per questo che successivamente sono ritornato a Dante»6. Il titolo del suo romanzo, The System of Dante’s Hell, suggerisce che ciò che ha preso dal modello dantesco è soprattutto un sistema o una struttura o una forma, come leggeremo più avanti. La storia è composta da circa venti episodi che percorrono l’esperienza del personaggio principale riguardo alle tensioni fra la cultura nera e quella bianca. Roi, alter ego dell’autore, si trova negli episodi che hanno titoli ispirati all’Inferno: «I golosi», «Gli iracondi», «I seduttori», «Gli indovini», «I ladri», e che seguono più o meno l’ordine dell’inferno secondo san Tommaso d’Aquino e ripensato da Dante. Non c’è dubbio che Jones, con i suoi accenni morali che servono a organizzare il suo romanzo, alluda a una topografia infernale sistematica. Ma perché?
Jones non è il primo (né l’ultimo) artista a trovare nell’inferno dantesco un’espressione dell’inferno in terra. Ad esempio, il giornalista bosniaco Rezak Hukanoviòc in The Tenth Circle of Hell ha scritto degli orrori della guerra civile nell’ex-Iugoslavia paragonandoli all’Inferno di Dante7. Jones, da parte sua, scrive dell’inferno di crescere nero nell’America segregata degli anni Trenta e Quaranta, e dei tentativi di farsi strada attraverso il sistema razzista negli anni Cinquanta e negli anni Sessanta. E il narratore sfoga spesso la sua frustrazione in una retorica di contestazione, ad esempio nel suo discorso rivolto al lettore: «Questa cosa [cioè, il libro], se la leggete, vi coinvolgerà nella merda mia. E ora dite qualcosa di intelligente!8». Verso la fine del romanzo, la voce narrante descrive vigorosamente qual sia il significato dell’inferno sulla terra:
Inferno nella mente.
La tortura di essere l’oggetto inosservato, e il soggetto notato costantemente.
La fiamma della dicotomia sociale. Spaccata al centro, che è tra i primi retaggi dell’uomo nero non focalizzato sull’essere nero.
La definizione di Jones dell’inferno non deriva da niente di specifico del testo di Dante. Piuttosto, l’inferno è la condizione mentale dell’uomo nero che deve fare fronte alle conseguenze dell’essere invisibile nel mondo bianco. L’«oggetto inosservato» di questa critica sociale è l’Uomo invisibile di Ralph Ellison. Il riferimento di Jones alla «fiamma della dicotomia sociale» e all’essere «spaccato nel mezzo» descrive l’impatto dell’essere, paradossalmente, un uomo invisibile sotto costante osservazione. La tensione dicotomica fra l’essere completamente ignorato dalla società e l’essere da essa perseguitato a morte può condurre i personaggi del romanzo ad azioni che determinano la loro rovina finale. La tensione può condurli, infatti, all’inferno. Spicca l’episodio finale del libro: «Gli eretici». Jones, nel momento conclusivo della sua storia, colloca gli eretici sul fondo dell’inferno, conscio del fatto che ciò contraddice l’ordine in cui Dante li dispone, ovvero nel sesto dei nove cerchi:
Ho messo gli eretici nel fondo dell’inferno, benché Dante li avesse risparmiati a livelli più alti. È un’eresia, contro le proprie radici, fuggire terrorizzati dalle proprie più profonde reazioni e capacità di comprensione […] il rifiuto del sentimento […] che vedo come il male più basso.
I suoi «peccatori» in questa parte della storia sono due nordisti, «finti ragazzi bianchi» (per usare la sua frase), i quali tramite i loro contatti con i contadini neri del sud, fuori e dentro la base militare, avvertono direttamente la dicotomia sociale. L’eresia è da parte di un uomo nero che cerca di comportarsi come un bianco e che si rifiuta di imparare dai bruschi e incolti (ma incontaminati) neri del sud.
Mentre è generalmente riconosciuto che The System of Dante’s Hell tragga da Dante la componente morale e strutturale come principi di organizzativi, è invece oggetto di discussione critica quanto la sua prosa sperimentale e la sua forma narrativa – caratteristiche degli scrittori Beat che hanno influenzato Jones prima che si dedicasse alla Rivoluzione Nera – abbiano in comune con il poema di Dante. Lo stesso Jones precisa in più di una occasione di avere sfruttato la composizione del romanzo per staccarsi dagli scrittori della Beat Generation, anche se in questo lavoro il lettore avverte la vena della scrittura Beat. In un’intervista con Debra L. Edwards, Jones pone molta importanza sul ruolo che il romanzo ha svolto nel suo sviluppo artistico. In risposta alla domanda di Edwards, «Così lei era arrivato al tempo di Dante’s Hell ad un’estetica puramente nera?», lo scrittore dichiara:
No, ciò che Dante ha fatto in realtà è stato allontanarmi dai primi lavori in linea con la precedente tradizione. Quando mi sono rivolto a Dante, ho deciso coscientemente che avrei smesso di scrivere come le altre persone, come i Creeleys e gli Olsons e tutta quell’altra gente. Così ciò che ho fatto è stato scrivere quel libro senza pensare ad alcun genere di artificio, ma solo a procedere diritto, qualunque cosa mi fosse venuta in mente di scrivere. Ho usato la forma di Dante perché era una forma che potevo rapidamente imporre. Tuttavia il contenuto sarebbe stato il più libero possibile, ma ho pensato che avrei imposto questa forma in modo che il libro non andasse alla deriva. Vorrei almeno provare a costruire una specie di ritratto sistematico della mia mente e della mia vita. Quello era probabilmente il libro della separazione dalle precedenti forme più in linea con la precedente tradizione nonché la maniera per trovare più chiaramente la mia propria voce.
Suona contraddittoria da parte di uno scrittore moderno l’affermazione «ho usato la forma di Dante per allontanarmi da forme più derivate dalla tradizione». Un altro brano di Jones, approssimativamente dello stesso periodo dell’intervista citata, può contribuire a risolvere la contraddizione. Nel saggio La tradizione rivoluzionaria nella letteratura afroamericana, Jones giudica con condiscendenza autori di colore europeizzati come Phyllis Wheatley e Jupiter Hammon, che non erano disposti a sfidare il sistema e che quindi ebbero scarsa influenza sullo scrittore nero contemporaneo. Si presuppone che abbia messo nella stessa categoria Cordelia Ray, senza capire la ricchezza del suo Dante di colore. Jones affianca a questo tipo di scrittore un altro meno istruito, meno accomodante e meno autorevole: lo schiavo, e qui trova le sue autentiche origini creative: «Nei racconti degli schiavi […] si trovano gli inizi d’una genuina letteratura afroamericana». L’allontanamento di Jones «from older, more derivative forms», la sua rottura con i poeti Beat, rappresenta uno spostamento verso una forma di narrazione innovativa che fonda le sue radici nell’autobiografia degli schiavi. Se, così come Jones afferma nel passaggio citato sopra, «è un’eresia» essere «contro le proprie radici», qui vediamo l’autore nero tornare indietro, passando attraverso Dante, per giungere alla principale e più autentica fonte della sua tradizione: la scrittura dello schiavo. Nella Autobiografia di LeRoi Jones, Amiri Baraka, cioè Jones stesso, una volta che si è emancipato e non è più un eretico letterario, la mette in questi termini:
Allo stesso tempo avevo cominciato un lungo lavoro in prosa. Era come se avessi desiderato scrollarmi di dosso le catene stilistiche del gruppo a cui ero rimasto legato e conformato nello stile. Ho scritto coscientemente andando più che potevo nel profondo della mia psiche. Non volevo neanche che le parole avessero significato, avevo il tema nella mia mente: la mia vita precedente, a Newark, a Howard, nell’Aeronautica, ma l’argomento era solo un pretesto sul cui sfondo volevo giocare variazioni infinite. Ogni sezione aveva la propria dinamica e il proprio dolore. Andare così profondamente dentro me stesso era come discendere nell’inferno. L’ho chiamato “Il Sistema dell’Inferno di Dante”.
L’immagine dello schiavo emancipato è adatta alla liberazione stilistica dell’autore dai Beats e dalla folla del Greenwich Village. Se prendiamo Il Sistema dell’Inferno di Dante: Un romanzo di LeRoi Jones (così il titolo completo) come una specie di storia retrospettiva dello schiavo – come più di un critico ha fatto – il gesto dello scrollarsi di dosso «le catene stilistiche del gruppo a cui appartenevo» si completa. Jones ritorna indietro nel tempo ancora prima dei Beats, passando attraverso Dante, prendendo ispirazione dal genere della storia degli schiavi per non scrivere come uno schiavo! Nel momento in cui si assume le restrizioni di un nuovo uomo e di un nuovo scrittore raggiunge la libertà, condizione che alla fine lo spinge persino a prendere un nuovo nome. Alla fine Jones abbraccia la retorica della conversione, un luogo comune nella riscrittura di Dante, ma solo per trasformarla in una retorica di emancipazione. Alla fine lui e la sua prosa sono liberi.
Nella cronologia della ricezione di Dante ci si potrebbe aspettare da un romanzo come Il Sistema dell’Inferno di Dante un ampio uso del poeta italiano e del suo poema, ma dovremmo passare ad altri esempi di ricezione per osservare imitazioni più complete della poesia dantesca, sviluppate intorno a una serie di allusioni più consapevoli alla Divina Commedia.
NOTE
- A. Baraka, The System of Dante’s Hell, New York, Grove Press, 1965.
- S. Schneck, LeRoi Jones or Poetics & Policemen or, Trying Heart, Bleeding Hart, in «Ram-parts», 29 giugno 1968, p.19.
- A. Baraka, The Autobiography of LeRoi Jones, New York, Freundlich Books, 1984, p.198.
- Oltre che da questo romanzo, ho imparato molto sulla sua vita dalla sua autobiografia. L’autobiografia dell’ex-moglie fornisce una diversa versione di molti episodi avvenuti durante la loro vita nel Village: H.C. JONES, How I Became Hettie Jones, New York,Dutton, 1990.
- T.R. Hudson, From LeRoi Jones to Amiri Baraka, Duke University Press,1973, Durham, N.C., p. 35.
- Baraka, Autobiography, p. 75.
- R. Hukanoviòc, The Tenth Circle of Hell, trans. C. London, Basic Books, New York 1996.
- Baraka, Autobiography, p. 15: «This thing, if you read it, will jam your face in my shit! Now say something intelligent».