Il ricco patrimonio archeologico offerto dai siti della Crimea, importante crocevia fra l’Europa e l’Asia, con reperti greci, scitici, sarmatici e di altre antiche civiltà del Mar Nero, ha attirato da tempo l’attenzione di ladri e collezionisti. L’incremento del saccheggio dei siti archeologici nella zona del Mar Nero ebbe un grande impulso con la dissoluzione del regime sovietico all’inizio degli anni Novanta, la crisi economica e la nuova possibilità di accedere al mercato dei metal detector. La regione, già sottoposta a pesanti scavi clandestini, rischia di diventare sempre più preda dei saccheggiatori.
Un altro spinoso problema si pone per i preziosi oggetti esposti alla mostra The Crimea. Gold and secrets of the Black Sea, presso l’Allard Pierson Museum di Amsterdam. Gli spettacolari reperti, scavati dagli archeologi in circa 130 anni e provenienti da cinque musei ucraini, non erano mai stati prestati all’estero fino ad ora. Fra non molto, alla chiusura della mostra, si presenterà il problema della restituzione degli oggetti ai musei originari.
Ma il referendum con cui la Crimea ha votato la sua annessione alla Russia, sancita da Vladimir Putin il 18 marzo, sta ponendo nuovi e imprevedibili problemi. I Paesi Bassi, come il resto dell’Unione Europea e gli Stati Uniti, non hanno infatti riconosciuto l’annessione della Crimea alla Russia.
I bellissimi oggetti partiti dalla Crimea ucraina, a chi dovranno essere restituiti, a Kiev o a Mosca? Teoricamente dovrebbero tornare nella Crimea russa, dove sono collocati quattro dei cinque musei prestatori, ma questa decisione suscita le forti opposizioni delle autorità ucraine.
D’altra parte, sarebbe già in corso la nazionalizzazione dei beni culturali della Crimea da parte della Federazione russa. Una possibile soluzione sarebbe quella di prolungare ulteriormente la mostra in Olanda (una prima proroga è già stata programmata), in attesa della definizione legale della questione, richiesta a cui i direttori dei musei della Crimea non vogliono acconsentire.
Un problema che richiama, anche se con premesse ben diverse, quello relativo al famoso Koh-i-noor, per molto tempo il più grande diamante conosciuto al mondo. Oggi parte della corona britannica e conservato nella torre di Londra, il diamante venne scavato nelle miniere del sud dell’India e passò di mano in mano fra vari sovrani, fino a circa il 1830, quando divenne proprietà di Ranjit Singh, regnante del Punjab.
Quando nel 1849 anche il Punjab divenne un possedimento britannico, il Koh-i-noor venne “forzatamente” dato in dono alla regina Vittoria. Teoricamente il diamante era e rimaneva un possesso britannico, in quanto spedito dalla colonia alla madrepatria in quanto l’India non esisteva come stato sovrano.
Oggi l’India chiede a gran voce il ritorno del gioiello. Ma Lahore, la capitale del regno di Ranjit Singh, non è più in India, bensì in Pakistan. Se il diamante dovesse mai essere restituito, dove dovrebbe tornare, in India o in Pakistan?