Tiberio, Seiano e le accuse allo storico
Nel 25 d.C., infatti, sotto il governo di Tiberio, gli Annali dello storico Aulo Cremuzio Cordo vennero dati alle fiamme dopo un processo-farsa tenutosi in senato sulla base di accuse di lesa maestà: nella sua opera avrebbe lodato Bruto e Cassio, gli assassini di Cesare, padre adottivo di Augusto – fondatore dell’impero – e pertanto “nonno adottivo” di Tiberio.
Gli accusatori erano dei prestanome di Seiano, il potentissimo, sanguinario e vendicativo prefetto del pretorio, a sua volta – ovviamente – interprete delle volontà dell’imperatore.
Cremuzio, al termine della seduta senatoria, nella quale si difese con coraggio e onore, si lasciò morire di fame: gesto estremo di protesta contro una sentenza tanto ingiusta quanto scontata.
E se gli Annali sopravvissero clandestinamente solo per qualche tempo ancora, più duratura è stata la fama dello storico, soprattutto per merito dello straordinario racconto di Tacito, il quale alla vivace narrazione dei fatti (che ho appena sintetizzato) aggiunge anche questo acuto commento: «Alla luce di questo, tanto più mi piace farmi beffe della stolidità di quanti credono, grazie al potere di cui godono al presente, di cancellare anche le età future. È vero piuttosto che perseguitare le intelligenze ne accresce il prestigio» (Annali, 4, 35, 5, trad. M. Lentano).
Una recente edizione di testimonianze e frammenti
Questa di Tacito è una delle testimonianze che ci consentono di ricostruire gli eventi relativi a Cremuzio Cordo e delinearne la personalità.
Esse non sono in verità troppe, perché accanto al racconto tacitiano (Annali, 4, 34-35) troviamo alcuni significativi passaggi della Consolazione a Marcia (figlia di Cremuzio, che aveva anche perso – dopo l’anziano padre – anche un giovane figlio) di Seneca, nonché brevissimi cenni nell’Istituzione oratoria di Quintiliano (10, 1, 104) e nella Vita di Tiberio di Svetonio (61, 3); completa la breve serie la narrazione epitomata dello storico in lingua greca Cassio Dione (Storia romana, 24, 2-4).
Possiamo oggi leggere tutto ciò, con testo a fronte, traduzione e commento (nonché con una magistrale introduzione generale), nella nuovissima edizione di Aulo Cremuzio Cordo, Testimonianze e frammenti, a cura di Mario Lentano, Edizioni La vita felice, Milano 2021.
Il prezioso volumetto non contiene però solo testimonianze, poiché, come si evince dal titolo, propone anche sei frammenti (quattro sicuri, due incerti) degli Annali di Cremuzio, i quali – per il tramite di altri autori – sono scampati alle fiamme del rogo.
Da questi emerge non solo che lo storico aveva lodato Bruto e chiamato Cassio «ultimo dei Romani» (lo ricordano Tacito, Svetonio, Cassio Dione), ma che aveva pure esaltato Cicerone come difensore della patria (lo afferma per ben due volte Seneca padre), e descritto (come ci dice Svetonio) la consuetudine di Ottaviano Augusto di far perquisire i senatori che lo volevano avvicinare. Sì, proprio il divino Augusto, che si vantava di essere solo un primus inter pares tra i suoi “colleghi” senatori, avrebbe invece istituito una prassi di tipo poliziesco!
La notizia andava senz’altro censurata, sottratta ai commenti delle generazioni future, e da sola era forse sufficiente perché il sospettoso Tiberio e il cinico Seiano decidessero che quei libri non dovessero più circolare, e che per il loro autore era venuto il momento di togliersi di mezzo.
Il ruolo della figlia Marcia
Come già si è detto, però, il ricordo dello storico e dei suoi scritti, è talora riemerso, come un fiume carsico, per poi consolidarsi nel tempo.
Causa di ciò fu (anche) una perlomeno ambigua sua parziale riabilitazione da parte di Caligola, che consentì una circolazione ancorché “purgata” dell’opera, forse per mero spirito di contraddizione verso il predecessore Tiberio; il merito maggiore va però all’indomita figlia Marcia, per anni gelosa quanto clandestina custode degli Annali paterni, tanto che Seneca la loda per avere restituito «alla pubblica memoria i libri che quell’uomo sommamente coraggioso aveva vergato con il suo sangue» (Consolazione a Marcia, 1, 3 trad. M. Lentano).
Seneca ricorda anche come Marcia abbia assistito con un composto dolore alla lenta consunzione del padre, certo sgradita allo stesso Seiano, che vedeva lo storico “di opposizione” sottrarsi alla pubblica gogna e consegnarsi alla posterità come eroe.
Inoltre, a dimostrazione del legame speciale tra i due, il filosofo latino raffigura Cremuzio in una sorta di Paradiso pagano mentre veglia sulla figlia e la consola dal recente lutto. Scrive infatti: «Immagina dunque che da quella rocca celeste tuo padre, Marcia, il quale aveva su di te la stessa autorità che tu esercitavi su tuo figlio, ti rivolga queste parole, non con quello spirito con cui deplorò le guerre civili, con cui lui stesso proscrisse in eterno i proscrittori, ma tanto più elevato quanto più in alto lui stesso si trova: “Figlia mia, perché sei ancora preda di un cordoglio tanto prolungato?”» (Consolazione a Marcia, 26, 1-2, trad. M. Lentano).
Sono parole interessanti, perché – pur alludendo alla sfera privata – ricordano la pubblica condanna da parte del Nostro delle guerre civile e di ogni forma di proscrizione, a dimostrazione che il suo affetto di padre verso Marcia non era certo inferiore a quello di cittadino verso la patria.