Competenze elettorali #2

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Alla mia “provocazione” sulle competenze elettorali hanno risposto prima Simone Giusti, poi Mauro Reali. Ringrazio entrambi, anche se, a mio avviso, sono andati tutti e due un po’ “fuori tema”.

La mia, ripeto, più che una riflessione sulla didattica voleva essere una dichiarazione di principio o, se vogliamo, una scelta di campo. Il senso di tale dichiarazione/scelta è il seguente: se oggi mi chiedessero se preferisco che a scuola si insegni Leopardi, sperando che un giorno gli studenti ne capiscano il senso profondo per la propria vita; oppure che i docenti tentino di finalizzare quella conoscenza all’acquisizione di una competenza globale, che porti lo studente a essere consapevole del proprio essere cittadino di questo mondo… be’, non ho dubbi. Scelgo la seconda.
Perché?
Non posso spiegarlo in poche righe, e allora provo a riportare un’esperienza interessante che sto vivendo proprio in questi giorni.
Come ricorderà chi ha letto il mio intervento all’origine della querelle, io partivo da una constatazione.
È tempo di elezioni.
Poco dopo aver scritto il mio pezzo, sono partito per il consueto giro che faccio presso le agenzie di propaganda di tutta Italia. Sono giri interessantissimi, perché permettono di rivedere amici e di conoscere persone nuove. Capita, in queste occasioni, di sentire parlare la gente – sia quella nota sia quella incontrata per caso – degli argomenti caldi del momento. Trattandosi di un tour che occupa poche settimane, consente di sentire in pochi giorni lo stesso tema trattato nei diversi dialetti. In questo frangente poi, ha dato modo a me di mettere a confronto ciò di cui discutevo con i colleghi delle varie regioni (e cioè il tema delle competenze, e del fine che si propongono di creare un cittadino responsabile, consapevole e rispettoso) con la “realtà” in cui mi imbattevo strada facendo.
Qui “mi corre l’obbligo” di fare una premessa. Quelli che riporto sotto sono casi isolati. Perlopiù millantatori o singoli individui incoerenti.
Vero. Ma il punto che mi preme sottolineare, non è il dato “politico” in sé (le cronache recenti e meno recenti ci hanno abituati a ben altro). È la perdita totale di senso del pudore e di decenza, che colpisce. L’incoerenza aberrante che separa ciò che tutti noi abbiamo imparato nel corso della nostra vita (anche e soprattutto dai libri letti e dagli insegnanti che ce li hanno fatti leggere) e ciò che poi, alla prova dei fatti, riteniamo legittimo esternare e praticare in pubblico e in privato, in nome di una supposta aderenza alla realtà “fattuale”.

Sicilia.
Autobus. Sono seduto al mio posto, circondato da altri passeggeri. Sto lavorando al computer con gli auricolari, per coprire con la musica il baccano che fa una donna, quattro o cinque posti più indietro, parlando al telefono. A un tratto noto che una bellissima signora bionda, seduta alla mia sinistra, mi fissa. Non mi lusinga, quello sguardo: è carico di disprezzo. Temo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Mi passo una mano sul viso, nel timore di avere qualcosa in faccia. Niente. Lei continua a fissarmi, storcendo un po’ gli occhi verso il fondo dell’autobus. Capisco. Tolgo gli auricolari e mi metto in ascolto. La donna che sbraita sta dicendo che chi fa le liste per la Sicilia è lei, che l’onorevole tal dei tali (fa nome e cognome) del partito pinco pallo (ma lei lo scandisce bene!) le ha assicurato che un posto per lei alla Camera è garantito. Che il tal altro (nome e cognome) è una persona di specchiata onestà, ma politicamente inadatto. Che il suo interlocutore telefonico (nome) deve stare tranquillo, che ci penserà lei a lui. Che il modulo glielo mandi via fax, che glielo compila lei. Che lui (l’interlocutore) deve capire che non sono loro due a dover fare quello che dicono gli altri, ma semmai è il contrario: «sono gli altri a dover fare quello che diciamo noi!». Che lui (l’interlocutore) deve capire che se quelli non riescono a chiudere la lista in Calabria, vuol dire che non sanno fare politica. Che lui (l’interlocutore) deve capire che la Sicilia, la Calabria e la Puglia sono l’ago della bilancia della politica nazionale…!
Il tutto urlato in mezzo alla gente, apparentemente indifferente.
All’arrivo, la signora bionda, scendendo, mi bisbiglia: «Non hanno più pudore!»

Calabria
Salgo in Taxi per andare dall’aeroporto all’albergo. Il tassista è giovane e loquace. È un bravo ragazzo, che mi racconta di come, dopo un diploma e un passato di varie occupazioni, si sia messo a lavorare con il taxi.
La situazione lavorativa dei suoi coetanei? Un disastro, mi dice. «Qui non c’è lavoro per nessuno… Che poi, non è vero! I posti di lavoro ci sono», mi dice, «perché quando arrivano le elezioni spuntano come funghi. Vengono e mi chiedono il voto, e in cambio mi promettono un lavoro. Io il lavoro ce l’ho, quindi non  mi interessa…
Soldi, voglio!
Cento euro a voto! Ti porto sette voti, mi dai settecento euro. Così ho fatto l’altra volta. Ma la mia è una provocazione, eh! Ché sono tutti ladri!
Ora tornano, e io faccio la stessa richiesta. Ma questa volta di più! Sono elezioni politiche! Al mese, me li devono dare i cento euro!»

Roma
Salgo sulla navetta che mi deve portare dall’aereo all’aeroporto. Siamo stipati. Troppa gente in pochissimo spazio. Tutti pigiati, meno uno, con borsone rosso a tracolla, iPad in una mano, cellulare nell’altra, appoggiato di schiena al palo di sostegno. Occupa da solo il posto di tre persone. Incurante del disagio altrui, fa comodamente i propri comodi. Lo fisso con malcelato disprezzo, odiandomi per il fatto di non avere il coraggio di fargli notare l’inopportunità del suo comportamento. Intanto penso: «ma che persona è, uno così?»
La risposta mi arriva istantaneamente. Gli squilla il telefono. Lui risponde e dice, tronfio: «Sono candidato! Mi è arrivata la comunicazione questa notte!»
Ecco!

Milano.
Il tassista è anziano e genuinamente simpatico. Non conosce la mia destinazione, quindi imposta il navigatore, e mi fa vedere che seleziona “percorso breve”, così risparmio. Il viaggio è lungo. Lui, appena partiti, dice, indicando la zona di Garibaldi lungo la quale stiamo transitando: «E qui hanno fatto questa porcheria di grattacieli! Questo doveva essere il quadrilatero della moda!» Poi si scusa. Mi dice che lui non parla mai di politica durante il lavoro, ma che questa cosa non gli va giù… Ma ora non dirà più nulla. Io casco nella trappola, e gli rispondo che non mi dà fastidio, se vuole esprimere le sue opinioni….
Un diluvio di parole. Una visione del mondo e della politica tutta intessuta di appelli all’onestà, all’integrità, al servizio della comunità… Quando poi scende nel dettaglio delle esemplificazioni, tutto ritorna a misura di taxi: stanno facendo i parcheggi per i residenti.
«Ma come cavolo ragionano? Se qui mi restringono la strada, io dove passo? Che poi si sono messi anche i ciclisti, rompicoglioni, che vogliono le piste ciclabili… Che fra parcheggi e piste ciclabili poi voglio vedere come faccio io a passare…»
Ogni tanto interrompe il profluvio di parole per insultare il navigatore, che vorrebbe farlo girare di qua o di là, ma «è una cazzata, so io dove andare», e quindi il viaggio acquista una sua grottesca comicità, fatta di
«Ciclisti del cavolo!»
«Prego, girare a destra».
«Ma va a quel paese!… e poi qui l’unico sindaco buono è stato Aniasi…»
«Prego, appena possibile fare inversione».
«Ma va là, idiota!… che lui veniva da noi tassisti e ci chiedeva: ragazzi, avete bisogno di qualcosa?»
All’arrivo, sta dicendo qualcosa a proposito del fatto che «occorre fare una vera politica ecologista, mica preoccuparsi dell’habitat dei pesci!»
Rinuncio a capire, anche perché a un certo punto mi sono estraniato. Il tassista, anche fisiognomicamente, mi ricorda un amico del centro Italia. Anche lui grande oratore, autenticamente democratico e leale.

Qualche tempo fa ero con lui in macchina. Stavamo andando al ristorante e lui mi spiegava la sua visione del mondo e della scuola. Un bellissimo discorso, tutto teso alla dimostrazione di un nobile assunto: se non riscopriamo il senso della collettività e del rispetto delle regole non avremo scampo e saremo costretti a soccombere alla barbarie. Io lo ascoltavo rapito. Parlava ancora quando siamo arrivati al ristorante. Parlava anche mentre armeggiava per parcheggiare e poi, sceso dall’auto, mentre la chiudeva.
In quel momento, mentre aleggiavano nell’aria le parole «rispetto delle regole», mi sono accorto che aveva parcheggiato sulle strisce pedonali. Ma lui era sparito: continuando a parlare, era già seduto al nostro tavolo, a consultare il menu.

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Sandro Invidia

Direttore editoriale Loescher.

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