1. Il dibattito sull’educazione letteraria
In questi ultimi anni, a seguito dei mutamenti strutturali che hanno rivoluzionato la nostra società, si è sviluppato in Europa e in America un acceso dibattito sul ruolo della letteratura nella formazione delle nuove generazioni.
Un contributo significativo è stato dato dal pamphlet di Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo del 2007, che mette in guardia insegnanti e critici dai rischi che possono derivare da una concezione chiusa e limitativa della letteratura. Dopo aver analizzato i motivi per cui, storicamente, nella nostra società è prevalsa un’idea della letteratura che non entra significativamente in contatto con il mondo, Todorov sottolinea che l’insegnamento di tale disciplina non deve avere il compito di trasformare i lettori in esperti di analisi letteraria, ma deve essere un veicolo per guarirci dal nostro “egotismo” e per introdurci alla comprensione degli esseri umani e del mondo. Più recentemente Martha Nussbaum nel volume Non per profitto ha sottolineato il ruolo irrinunciabile delle discipline umanistiche per l’educazione nelle società democratiche e plurali. L’attività immaginativa che induce a esplorare il punto di vista di un’altra persona, a conoscere la sua vita interiore, a provare le sue emozioni, sviluppa la comprensione della propria dimensione interiore e la sensibilità nei confronti degli altri e può divenire un ingrediente prezioso per formare intelligenze di cittadini democratici, consapevoli dei diritti propri e di tutti gli umani. In Italia già all’inizio degli “anni Zero” Romano Luperini e Remo Ceserani denunciavano la crisi della didattica della letteratura e lo sfaldamento della funzione educativa del docente di materie umanistiche, cercando di individuarne le cause e gli antidoti.
Diverse voci hanno posto l’accento sull’impatto epocale delle nuove tecnologie sulle modalità di trasmissione e acquisizione della conoscenza. Nel 2008 Simone Giusti ha intravisto nell’aumento esponenziale della quantità di informazioni che circolano il rischio di rendere «desueto il concetto stesso di conoscenza», poiché per accedere a una determinata società contano sempre più le capacità di scelta degli individui e sempre meno i programmi intesi come «elenchi di saperi da acquisire». Sulle pagine culturali del “Sole 24 Ore” Sergio Luzzatto ha parlato dei “professori dell’autoriforma”, ovvero di quegli insegnanti di italiano che si accorgono che la nuova generazione dei “nativi digitali” si sente aliena nel mondo della scuola tradizionale e «non fanno finta di niente», non ignorano che la letteratura parla una lingua totalmente diversa da quella dei ragazzi, comprensibile ma astrusa, logica ma arcaica e, invece di arroccarsi su un modello di didattica disciplinare di venti o trent’anni fa e minacciare di “togliere il disturbo”, sperimentano nuove modalità didattiche.
Se è importante che la letteratura rivendichi la sua natura immateriale, ideale ed estranea alle leggi più o meno utilitaristiche che regolano la nostra società, è anche vero che, nelle nostre classi, questa disciplina viene trasmessa a studenti che provengono da questa società. L’insegnamento della letteratura a scuola non solo deve scommettere sulla capacità di parlare ancora ai ragazzi, ma può essere un’opportunità e una sfida da non lasciarsi sfuggire per promuovere il pensiero critico e incoraggiare l’autonomia di giudizio e la responsabilità civile.
Le istituzioni nazionali e internazionali non sono insensibili a queste problematiche e stanno rivedendo il sistema d’istruzione tradizionale. Nel 2006 la Dichiarazione del Parlamento e del Consiglio europei ha individuato nella scuola delle competenze il modello di riferimento per le istituzioni formative. Le otto competenze di cittadinanza indicate sono finalizzate a tre aspetti fondamentali della vita di ciascuna persona: 1) la realizzazione e la crescita personale; 2) la cittadinanza attiva e l’integrazione; 3) la capacità d’inserimento professionale; mirano pertanto a sviluppare l’autonomia delle persone, rendendole capaci di scegliere i loro obiettivi e disporre di strumenti per raggiungerli. Le competenze sono dunque misurabili in relazione all’esperienza concreta della persona e la formazione viene incentrata sui discenti e non più sui risultati che essi dovrebbero conseguire all’interno di ogni singola disciplina. Questo modello costringe a rivedere l’impostazione della didattica e anche, in parte, dei contenuti disciplinari.
2. Le competenze linguistico-letterarie
In Italia l’ultima riforma del 2008 (D.L. 1° settembre 2008, n. 137) ha dato una risposta alle sollecitazioni dell’Unione europea, introducendo come filo conduttore del percorso scolastico – dalla scuola primaria sino alla secondaria di secondo grado – il concetto di competenza. Il modello dei profili d’italiano cerca di far coesistere la scuola delle competenze con la scuola tradizionale. Se i profili in uscita dello studente insistono sul concetto di competenza letteraria, anche in funzione della formazione di cittadini consapevoli, le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali non facilitano il raggiungimento di questo obiettivo. Diverse voci si sono sollevate per sottolineare la natura tanto ambiziosa quanto impraticabile di questo modello didattico. Elenco di seguito alcuni punti deboli che – a mio avviso – potrebbero precludere e far naufragare il tentativo di «recuperare la dimensione cognitiva della letteratura nell’insegnamento».
1) Negli obiettivi specifici di apprendimento della lingua italiana delineati nei profili d’italiano sono definite le fondamentali abilità linguistiche ed è sottolineata l’importanza della riflessione sulla lingua e sulla sua storia, ma non si parla del ruolo che la letteratura può avere nell’insegnamento della lingua italiana. Le forme d’interazione tra lingua e letteratura sono molteplici e possono essere molto proficue sul piano didattico: si pensi, ad esempio, alle differenze (o analogie) che gli studenti possono rilevare tra lingua parlata e lingua letteraria, tra il loro lessico specifico e il lessico degli autori o tra le loro narrazioni e la narrazione letteraria.
2) Viene proposto un numero spropositato di autori da affrontare in classe, senza esplicitare i criteri di definizione del canone. Perché ad esempio Zanzotto e non Sanguineti, Meneghello e non Sciascia? Dalla lista emerge un’idea della letteratura come giustapposizione di contenuti e nozioni che non tengono conto delle relazioni tra autori, opere e correnti. La scelta sembra affidata al gusto personale dell’insegnante e non a dei criteri storico-critici che consentano allo studente di farsi un’idea chiara del rapporto tra la letteratura e la storia, l’uomo e il mondo, il passato e il presente.
3) Questa gigantesca mole di contenuti letterari si fonda su un modello tradizionale dell’insegnamento incentrato sulla disciplina e sull’insegnante, senza tener conto dello studente e dei complessi meccanismi dell’apprendimento; i ragazzi sono considerati come dei recipienti passivi da riempire di nozioni. Come ha scritto Sclarandis «le competenze complesse, culturali oltre che linguistiche e retoriche, necessarie a dare senso alla letteratura e a mobilitarla attivamente nei processi di apprendimento, sembrano coincidere con le mere conoscenze di storia, filosofia e arte, retorica e linguistica storica».
4) Il modello d’insegnamento che emerge dai profili d’italiano presuppone un’idea della cultura e della letteratura come tradizioni autorevoli di per sé. Come aveva intravisto Ceserani diversi anni or sono, nelle nostre classi la letteratura ha “perso l’aureola”. Un modello didattico che si fonda sulla trasmissione di una serie di contenuti e di nozioni in nome della propria autorevolezza non è pertanto più praticabile. È indispensabile – e qui sta la novità e la difficoltà rispetto al passato – far capire agli studenti il valore che gli studi letterari possono avere per il loro sviluppo intellettuale, personale e professionale. L’insegnamento implica dunque prima di tutto un’operazione meta-didattica: se l’insegnante non ha chiare le ragioni formative che stanno alla base della lettura dei classici, non potrà mai trasmetterle ai propri allievi. Si tratta, certo, di un senso da proiettare nel lungo periodo ma gli studenti, per essere coinvolti, devono anche percepirne il valore nel breve periodo. Per questo motivo il modello dell’arricchimento culturale (su cui si è formata la maggioranza degli insegnanti di lettere), di matrice idealista, finalizzato alla crescita culturale e intellettuale e all’acquisizione di strumenti cognitivi per affrontare la vita adulta, non sembra sempre catalizzare l’interesse dei ragazzi; come ha sottolineato Giusti, porta infatti con sé i rischi legati all’«elitarismo culturale» e all’«essenzialismo di chi crede che i valori tramandati dai classici siano eterni, situati fuori dalla storia».
10.3. Le competenze interpretative e la centralità dello studente-lettore
Su queste riflessioni di carattere teorico e pragmatico ha preso forma il progetto di accompagnamento alla Riforma sulle Competenze di Italiano nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola superiore di secondo grado (Compìta). Un progetto triennale che vede coinvolti il Miur, quarantatré scuole-pilota di diverse regioni d’Italia appartenenti a tutti gli indirizzi e dieci università. L’obiettivo che si pone è quello di coniugare la narrazione storica e lineare della letteratura, focalizzata sulla didattica trasmissiva, con il modello didattico delle competenze incentrato sull’apprendimento attivo. Si vorrebbero individuare alcune costanti dell’analisi e dell’interpretazione dei testi – dei descrittori specifici delle competenze linguistico-letterarie – che possano avere un “valore d’uso”, in coerenza con le competenze di cittadinanza enunciate dalla Dichiarazione del Parlamento europeo e richieste oggi più che mai dalla nostra società.
L’attività di ricerca-azione nelle classi per definire le competenze letterarie è incardinata – come nella didattica tradizionale – sui fondamenti linguistici, filologici e storici della disciplina, ma con alcune varianti di carattere epistemologico e metodologico. Nel solco della lezione desanctisiana-gramsciana, la didattica per competenze si fonda sul presupposto che l’insegnamento della letteratura debba fornire strumenti espressivi, estetici e critico-interpretativi spendibili nella società e nell’esistenza. In quest’ottica, le competenze disciplinari fissate nei profili d’italiano e indicate nei nuovi manuali scolastici non sono considerate il fine dell’insegnamento della letteratura, ma vanno selezionate e ridefinite al fine di fornire ai discenti degli strumenti espressivi, estetici e critico-interpretativi da applicare alla loro esistenza e al mondo che li circonda. L’obiettivo della letteratura per competenze è quello di «insegnare con la letteratura» (cfr. Giusti) per costruire un “ponte” che possa collegare la nostra tradizione letteraria alle esperienze di vita degli studenti, il sapere scolastico, basato su un ordine logico-sistematico, analitico e astratto, e il sapere reale funzionale a uno scopo, aderente a un contesto. Questo «ponte tra testo e mondo» va pensato e – perché no? – anche mostrato agli studenti già a partire dalla progettazione dei moduli disciplinari. Rispetto al momento dell’attualizzazione (presente in diversi manuali scolastici) che implica una dialettica fra passato e presente, la progettazione per competenze presuppone un’operazione ulteriore: il dialogo con il presente e con le esperienze di vita degli studenti non è un punto di arrivo del percorso didattico, ma la lente attraverso cui selezionare le opere e impostare il lavoro sui testi.
La necessità di far interagire la letteratura con il mondo sposta il discente al centro dell’organizzazione dei contenuti disciplinari da un lato e dei percorsi di apprendimento dall’altro. Lo studente diviene lettore-protagonista di un processo didattico che coniuga i saperi disciplinari con l’idea che il significato del testo si genera nel corso del processo della lettura. Il modello di apprendimento centrato sul discente non è scoperta di oggi, ma affonda le sue radici in tempi remoti – come ha recentemente ricordato Lucia Olini ne parlava già Seneca nell’epistola 84 a Lucilio – ed è divenuto familiare nelle nostre classi con l’introduzione dell’ermeneutica nella pratica didattica, in particolare grazie al magistero di Luperini16. La centralità dello studente nel quadro di un insegnamento per competenze trascina con sé la problematica delle competenze interpretative: un concetto poco collaudato dal punto di vista teorico e difficile da tradurre in prassi didattica, perché si fonda sull’ambizione di coniugare l’astratto con il concreto, la riflessione con il “saper fare”, l’indeterminatezza della letteratura con la concretezza della vita. Per far luce su queste apparenti antinomie possono essere utili alcuni spunti di riflessione mutuati dalla teoria della ricezione, che mette al centro il lettore e il processo della lettura dei testi.
Yves Citton in un articolo intitolato La competence littéraire: apprendre à (dé)jouer la maîtrise ha definito la competenza letteraria il saper «far giocare la parola di un testo per ricavarne interpretazioni di un certo interesse». Egli sostiene che la competenza è un “gioco di transduzione” che consiste nella capacità di selezionare degli elementi testuali spostandoli dal contesto di origine per farli entrare in risonanza con un contesto nuovo. La competenza è dunque una “sperimentazione interpretativa” che trae la propria ricchezza dalla differenza tra il contesto di arrivo e quello di partenza. In quest’ottica la lettura e la ricostruzione del passato sarebbero finalizzate alla «ricostruzione di nuove relazioni per il futuro». Sulla base di questa idea della letteratura non tanto come “sapere” ma come “transduzione” e “sperimentazione” si potrebbe ad esempio affrontare in classe lo studio di testi considerati dai ragazzi arcaici, desueti e, appunto, “diversi” dai loro linguaggi.
L’idea che il significato di un testo venga generato nel corso del processo della lettura è anche alla base del pensiero di Wolfgang Iser e in generale dell’estetica della ricezione. Nel saggio La struttura di appello del testo. L’indeterminatezza come condizione d’efficacia della prosa letteraria (1970) Iser sostiene che i testi letterari interagiscono con i lettori in due modi: da un lato fornendo delle visioni schematizzate che orientano il lettore verso certe direzioni, dall’altro lasciando dei “vuoti” che il lettore deve riempire o eliminare. A differenza degli oggetti reali che sono universalmente determinati, gli oggetti rappresentati in un’opera letteraria esibiscono dei “punti” di indeterminatezza che dipendono da diversi fattori, come il genere letterario, l’epoca in cui l’opera è stata scritta, lo stile dell’autore ecc. Questi “punti di indeterminatezza” costituiscono degli spazi preziosi d’interpretazione per il lettore, perché affrancano l’opera da una ricezione didattica e favoriscono una maggiore partecipazione e libertà interpretativa. Come ha scritto Todorov la letteratura «propone e non impone, lasciando così libero e al tempo stesso invitando il lettore a essere maggiormente partecipe». L’insegnante, puntando sulle sfumature, sugli scarti, sulle ambiguità, sui significati meno visibili del testo letterario, può mettere a disposizione degli studenti uno spazio di partecipazione al compimento e alla costituzione del senso del testo, dando loro la percezione di essere liberi di formulare una “verità”.
D’altra parte per definire il concetto di competenza letteraria Citton ha chiamato in causa la natura indeterminata e sfumata della nostra disciplina. Egli sostiene che la competenza letteraria «è la capacità di saper contare oltre il due, imparando a rendersi conto delle sfumature potenzialmente infinite che screziano la nostra realtà», è la capacità di «eludere i paradigmi», inventando una terza via che vada oltre la legge dell’ambivalenza, oltre le categorie di “per” e “contro” con cui troppo facilmente si leggono i fatti e le situazioni.
Sempre partendo dall’assunto che «nella pratica didattica i diversi modi di collegare in serie i testi letterari hanno bisogno gli uni degli altri e che dunque nessun approccio teorico o metodologico va adottato in maniera totalizzante, la sperimentazione di una didattica della letteratura per competenze può essere una delle strade percorribili per coniugare l’insegnamento della letteratura con gli stili cognitivi dei ragazzi e i loro bisogni formativi. L’insegnante di lettere può riuscire a fare breccia nei nuovi linguaggi, nei valori standardizzati e nell’“orgia” d’informazioni da cui sono travolti i nostri ra gazzi, sconvolgendo il loro grigio orizzonte di attesa nei confronti della scuola e dell’apprendimento. Ha infatti un vantaggio sugli altri insegnanti perché può giocare con due aspetti insiti nella disciplina: mascherandosi dietro la voce di qualcun altro e puntando sul valore conoscitivo della narrazione (intesa come racconto di storie) può, come ha scritto Citton, «parlare nascosto» e, utilizzando l’ampio ventaglio di possibilità interpretative dei testi, può trasmettere dei saperi e delle competenze senza dare la percezione di formulare delle verità. L’insegnamento della letteratura – è questa la sfida che ci poniamo – senza rinunciare al rigore disciplinare, deve concedere spazio all’esigenza di partecipazione, creatività e autonomia di giudizio dei ragazzi che è un veicolo fondamentale dell’apprendimento e della convivenza civile.