Coinvolgere il lettore

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Per coinvolgere il lettore ci vuole arte, spirito e non solo. “Non solo”, ovvero: si può avere tutta la tecnica del mondo, ma se l’argomento non interessa, ben difficilmente il lettore proseguirà. Potrebbe restare sul vostro testo se siete stati proprio bravi tecnicamente e lui è un cultore dello stile, ma anche in quel caso vorrà dire che, in fondo, aveva trovato qualcosa di interessante.

 

Quanto allo spirito, si tratta di una caratteristica vaga e impalpabile, però nei migliori balza all’occhio e inchioda alla pagina, crea quella strana condizione di impossibilità a riporre il testo di cui la Rowling ironizzava, parlando di libri magici («Una vecchia strega che viveva a Bath aveva un libro che non si riusciva mai a smettere di leggere! Eri costretto ad andartene in giro con il naso incollato alla pagina, cercando di fare tutto con una mano sola», J.K. Rowling, Harry Potter e la camera dei segreti, trad. it. di M. Astrologo, Salani, Milano 1999, p.209).
Lo spirito si impone quando è espresso da geni come Oscar Wilde, ma anche quando non è così guizzante o pungente, esso sa trovare altri modi per catturare.

Fin qui, ciò che ben difficilmente si impara a scuola e che dipende molto da come si è e da ciò che si vuol dire. Vi sono però alcuni accorgimenti tecnici che si possono imparare, e così arriviamo all’arte che ha certo a che fare col genio, ma che – come da proverbio – si può imparare e mettere da parte.
Vediamo un’utile osservazione di Franco Gaudiano (Manuale di scrittura creativa, Editrice Nord, Milano 1993). Egli cita una serie di testi di Pavese, di incipit intriganti. Ne riporto solo tre:

L’estate
Di tutta l’estate che trascorsi nella città semivuota non so proprio cosa dire.
Notte di festa
Sull’aia liscia e soda come un tavolo di marmo, saliva il fresco della sera.
Anni
Di quel ch’ero allora non resta più niente: appena uomo, ero ancora ragazzo.

L’autore, fornita la lista, chiede: «Avete già notato, vero la struttura sintattica che caratterizza tutti questi inizi [e per il lettore di quel testo è più semplice, perché di esempi ce ne sono ben sette]? Qual è quel particolare tocco che li contraddistingue? Esordiscono tutti con una preposizione, semplice o articolata, che dà loro una svolta peculiare: poiché si reggono su una “particella” secondaria del discorso, questi inizi costringono sintatticamente il lettore ad avanzare di qualche parola per scoprire la parte principale. Il ritmo della frase è tale da provocare una lettura attiva. Vediamo come» (p. 16). Segue un’analisi di alcune dei sette esempi fatti e una chiusura magistrale di paragrafo di cui dirò alla fine.

In particolare, circa L’estate, Gaudiano nota che se Pavese avesse cominciato con “Non so proprio che dire di tutta l’estate che trascorsi nella città semivuota” avrebbe rischiato di scoraggiare il lettore. Il controesempio aiuta a fissare come la sintassi possa fare la differenza e non sia un semplice “dettaglio” di forma. Mi viene poi da osservare che altra cosa di nota è l’elemento “sorpresa”. Il solo fatto che un romanziere, proprio mentre si appresta a raccontare una storia, dica di non saper cosa dire è coinvolgente. Evidentemente sta bluffando e quindi vien voglia di vedere cosa ha in mano: si tratta, in fondo, di gettare sul piatto solo un po’ del proprio tempo.
Altri elementi tecnici che catturano li troviamo nello stesso testo di Gaudiano su citato. Esso non si limita a dire, ma anche mostra come si fa: le domande incalzanti (“Avete già notato […]? Qual è quel particolare tocco […]?”), il tono colloquiale che mette a proprio agio, il fatto di segnalare che si sta conducendo il lettore tenendolo “per mano” (“Vediamo come”).

Ho però un debito da saldare: Gaudiano chiude il suo bel paragrafo citando quello che è probabilmente il più celebre degli incipit della letteratura italiana, il dantesco: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”. A questo punto non sfugge la proposizione articolata in posizione iniziale che riesce subito a immergere il lettore nella storia e il “nostra” che, osserva acutamente Gaudiano, «riguarda tutti noi umani a fianco dell’io narratore, coinvolge il lettore attivo nel “cammino” del Poeta sin dall’inizio della narrazione» (p. 18).
Si vede dunque che, se da un lato la forma letteraria e creativa non è adatta per il genere saggistico di una tesina, dall’altro vi sono alcuni momenti – anche nella tesina – in cui ci si può prendere qualche libertà. In particolare ciò vale per l’introduzione, ove il lettore viene accolto per portarlo verso ciò che volete mostrargli.
Se la sobrietà, in questi testi, è sempre da ricercarsi, resta però vero che qualche accortezza nella formulazione può gettare un po’ di colore e di brio e, di certo, il lettore ve ne sarà riconoscente.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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