Le innovazioni, nel bene come nel male, ci costringono a riflettere, a rileggere abitudini consolidate, a risvegliare muscoli intorpiditi, a trovare nuovi equilibri e a scoprire nuove relazioni. Questo è tanto più vero quando le innovazioni avvengono nella quotidianità della scuola, dove tutto sembra sempre procedere secondo copioni prestabiliti e le novità sono assorbite senza lasciare tracce apparenti: a dispetto di sbandierati investimenti e riforme, tutto pare però inesorabilmente e pigramente uguale a prima. Almeno finché serie ricerche longitudinali non c’informeranno sulle effettive ricadute delle innovazioni sugli apprendimenti degli studenti.
Per fortuna, i cambiamenti a volte avvengono nonostante, e sono cambiamenti individuali e di gruppo di quei docenti che, a seguito di attività di formazione, iniziano a modificare i propri rapporti con il lavoro quotidiano: come sta avvenendo negli ultimi tempi nel caso del CLIL.
Tra gli interventi normativi recentemente introdotti nella scuola italiana dalla riforma ordinamentale nei licei e negli istituti tecnici, il CLIL (Content and Language Integrated Learning), ovvero l’apprendimento integrato di lingua e contenuti, rappresenta un’innovazione forte, perché stravolge gli equilibri interni ed esterni del processo educativo e costringe docenti, studenti e famiglie a confrontarsi con una modifica sostanziale della didattica disciplinare. Attraverso questo approccio il contenuto disciplinare non linguistico viene acquisito attraverso la lingua straniera (LS), la quale a sua volta si sviluppa attraverso il contenuto disciplinare non linguistico. E questo restituisce alla lingua un ruolo centrale nell’apprendimento, ruolo troppo spesso soffocato dall’eccessiva attenzione ai contenuti.
Secondo la nuova normativa, i docenti DNL, ovvero di discipline non linguistiche – così denominati con un’impropria etichetta ministeriale che sembrerebbe escludere a priori la funzione centrale della lingua nel processo educativo svolto da tutti i docenti – sono chiamati a insegnare la propria disciplina in una LS a loro scelta tra le quattro LS insegnate nella scuola italiana. Per svolgere questo compito il docente deve sapere utilizzare la LS con competenza e con sicurezza e deve, allo stesso tempo, confrontarsi con un nuovo approccio e nuovi metodi, che l’insegnamento in L2 della disciplina inevitabilmente comporta. A tale scopo il MIUR ha attivato un progetto formativo, che contempla sia corsi di lingua, per i docenti DNL non ancora in possesso di un livello di competenza linguistico-comunicativa pari al livello C1 del Quadro di Riferimento Europeo (2001), sia corsi metodologici, in cui tali docenti possano studiare ed esplorare le potenzialità del CLIL, ripensando e riconfigurando la progettazione dei propri percorsi disciplinari in una LS.
Se i corsi di lingua possono essere gestiti dai centri linguistici di Ateneo, da associazioni professionali, o anche da scuole di lingua, la formazione metodologica è stata invece affidata alle università, in particolare a quelle che al proprio interno hanno specifiche competenze nell’ambito della formazione docenti e dell’insegnamento di una disciplina in L2. Un gesto, questo, che sottolinea la rilevanza del ruolo che l’università dovrebbe avere nella formazione docenti, e della necessità di maggiore collaborazione tra scuola e università. Negli ultimi due anni sono stati attivati diversi corsi di formazione metodologica in alcune università italiane, e numerosi docenti DNL hanno già completato il proprio percorso formativo.
Le competenze del docente CLIL
Tali percorsi formativi proposti ai docenti DNL dalle università hanno tenuto conto, per la loro programmazione, del profilo delle competenze del docente CLIL (allegato A, D.D.6 del 12 aprile 2012), assumendo tali competenze a obiettivo dei propri corsi. Secondo questo profilo, in ambito linguistico, il docente CLIL ha:
– una competenza di livello C1 nella lingua straniera;
– competenze adeguate alla gestione di materiali disciplinari in L2;
– una padronanza della microlingua disciplinare.
In ambito disciplinare, il docente CLIL è in grado di:
– utilizzare i saperi disciplinari in coerenza con la dimensione formativa proposta dai curricula delle materie relative al proprio ordine di scuola;
– trasporre in chiave didattica i saperi disciplinari integrando lingua e contenuti.
In ambito metodologico-didattico, il docente CLIL è in grado di:
– progettare percorsi CLIL in sinergia con i docenti di lingua straniera e/o di altre discipline;
– reperire, scegliere, adattare, creare materiali e risorse didattiche per ottimizzare la lezione CLIL, utilizzando anche le risorse tecnologiche e informatiche;
– realizzare autonomamente un percorso CLIL, impiegando metodologie e strategie finalizzate a favorire l’apprendimento attraverso la lingua straniera;
– elaborare e utilizzare sistemi e strumenti di valutazione condivisi e integrati, coerenti con la metodologia CLIL.
L’organizzazione dei corsi CLIL ha riservato diverse sorprese, tra le quali quella, piacevole, che sono numerosissimi i docenti DNL con una competenza linguistico-comunicativa medio-alta in una LS, spesso e volentieri già certificata, e questi docenti non sono certo giovanissimi: piuttosto appartengono a quella generazione pre-SISS o TFA, cui ancora non si richiedeva un livello B2 in una LS o una formazione pedagogico-didattica. Ulteriore elemento di sorpresa sono state le motivazioni addotte dai docenti DNL sulle ragioni che li avevano spinti a partecipare a un corso con oltre 120 ore di didattica frontale, a fronte di nessun incentivo.
Numerosi docenti, quando intervistati, hanno dichiarato che per loro frequentare il corso CLIL rappresentava “una sfida” e che avevano bisogno di un “cambiamento” nel loro insegnamento. Alla domanda, poi, se non li preoccupasse il fatto che i loro giovani studenti avrebbero utilizzato una LS per esprimere concetti scientifici, storici o filosofici in un momento delicato della loro formazione, le risposte hanno sottolineato quanto, a loro avviso, l’utilizzo di un’altra lingua e di un altro codice linguistico avrebbe invece potuto permettere agli allievi di meglio esplorare certi concetti, poiché avrebbero dovuto riformulare il proprio pensiero riflettendo sulle parole usate sia in italiano sia in LS. Quest’ultima osservazione nasce forse proprio dalla peculiarità dello stato dei docenti CLIL che partono anche loro da una posizione di apprendenti di una LS, hanno ben chiara la percezione di cosa comporti apprendere una lingua, e sperimentano su di loro cosa comporti servirsi della funzione ideativa, interpersonale e testuale del linguaggio per comunicare in una lingua altra.
Apprendere la metodologia CLIL
Il corso metodologico, solitamente in LS a meno che non sia composto da docenti che hanno competenze in LS diverse, prevede, tra i crediti di base e quelli caratterizzanti, moduli d’insegnamento relativi a temi quali: teorie sull’acquisizione e l’apprendimento di una seconda lingua; approcci didattici più efficaci nell’insegnamento di una LS; sfruttamento di nuove tecnologie per sostenere l’apprendimento e la multimodalità degli stili di apprendimento; specificità del lessico disciplinare in LS; progettazione e valutazione di percorsi CLIL per aree disciplinari.
Il corso, almeno nel caso di alcuni di quelli svolti, adotta un metodo non tradizionale fondato sull’approccio riflessivo e sulla ricerca-azione. Nella parte dedicata al tirocinio, infatti, il corsista è coinvolto nell’osservazione delle classi proprie e altrui, ed è a sua volta osservato da colleghi o dai propri studenti. Guidati inizialmente all’osservazione tramite l’utilizzo di video e di griglie osservative, i corsisti sviluppano così un’attenzione particolare alle interazioni e al linguaggio di classe, focalizzandosi su aspetti quali, ad esempio, la funzione delle domande e del feedback o l’uso delle istruzioni o delle spiegazioni nelle lezioni, aspetti sui quali non si erano mai soffermati prima. I corsisti, soprattutto durante la sperimentazione nelle proprie classi di attività e di moduli, così come previsto dal tirocinio, scoprono persino il sostegno e la solidarietà dei propri studenti, che riconoscono nei propri docenti la loro condizione di apprendenti.
L’approccio non tradizionale adottato nei corsi prevede anche l’uso di gruppi cooperativi, in cui i corsisti simulano attività che riprodurranno in classe non solo in termini di contenuti, ma anche come organizzazione della suddivisione in gruppi, rispecchiando quello che in gergo tecnico si chiama loop input. I corsisti apprezzano queste situazioni in cui fanno esperienza come se essi stessi fossero allievi, e tendono a riproporre quasi subito la stessa attività nelle proprie classi.
Altro aspetto interessante emerso nei corsi metodologici è la condivisione di progettazioni tra colleghi di discipline diverse: raramente, infatti, i docenti a scuola hanno la possibilità di condividere la loro “visione” sullo studio di discipline come la matematica, le scienze, la storia o l’arte; al più inseriscono obiettivi e contenuti nelle programmazioni comuni alle classi e condividono criteri generici di valutazione. In questi corsi i docenti sono invece chiamati a parlare della loro disciplina esplicitandone obiettivi, attività e forme di valutazione, e a misurarsi con la progressione negli apprendimenti discutendone con colleghi di altre discipline, al fine di identificare obiettivi comuni e quegli aspetti linguistici a loro connessi. Ma quale può essere il ruolo delle DNL in una lezione CLIL? E poi, possono tutte le DNL essere considerate adatte alla progettazione CLIL?
Secondo Danile Coste, le DNL per le conoscenze che apportano, ma anche per i documenti su cui lavorano, i concetti che mobilitano, gli strumenti di osservazione e d’analisi ai quali ricorrono, contribuiscono certamente all’organizzazione dei saperi, delle convinzioni, degli atteggiamenti che esercitano un ruolo fondamentale nella rappresentazione delle culture altre, nell’importanza attribuita a una lingua.
Insegnare in un’altra lingua
Come sottolinea Coste, i rapporti fra le lingue naturali e i contenuti disciplinari non sono uguali per tutte le lingue e per tutte le discipline, e questa diversità può incidere sull’organizzazione di un insegnamento bilingue, ma tutte le discipline si servono della lingua per insegnare e i docenti chiedono agli allievi di utilizzarla per apprendere e dimostrare di avere appreso. Farlo anche in una LS può ulteriormente sollecitare l’apprendimento e renderlo più efficace. Molto stimolante, a tale proposito, è stata, per i corsisti DNL, la riflessione sugli aspetti cognitivi e linguistici degli apprendimenti disciplinari in LS sollecitata dalla lettura dei saggi di Jim Cummins.
Lo studioso canadese ha analizzato i risultati contrastanti di ricerche sugli esiti scolastici di studenti bilingui inseriti in scuole (canadesi) che utilizzano una LS per la trasmissione delle conoscenze disciplinari, e li spiega teorizzando l’esistenza di due livelli di competenza in L2 necessari ad uno studente straniero: il livello dei BICS (Basic Interpersonal Communication Skills) e quello del CALP (Cognitive Academic Language Proficiency). Secondo Cummins, il livello che riguarda la lingua della comunicazione e delle interazioni personali (BICS) non basta a garantire il successo scolastico: per raggiungere tale successo è necessaria una competenza specifica sulla lingua dello studio (CALP), che permette di comprendere e utilizzare la LS delle discipline, dei concetti e dei compiti su di essi richiesti dalla scuola.
Le idee di Cummins, recentemente riprese dal Consiglio d’Europa con la ricerca sulla dispersione scolastica e sulla lingua dell’istruzione (Council of Europe, 2009), hanno stimolato i docenti DNL a una riflessione sull’impostazione degli insegnamenti disciplinari rivisitati in LS e sulla necessità di individuare le attività più idonee per l’insegnamento e le relative abilità linguistiche da sviluppare. L’attenzione sollecitata sulle abilità linguistiche – in particolare l’ascolto e la lettura, centrali per le attività di studio e per lo sviluppo della comprensione – hanno consentito ai corsisti di strutturare le lezioni in LS, imparando, ad esempio, a identificare testi audio o video, a valutarne l’appropriatezza e la difficoltà, e a strutturare le relative attività di comprensione.
Durante il corso i docenti DNL sono stati coinvolti in una progettazione didattica che di fatto richiede una continua riflessione linguistica, ponendo in primo piano il ruolo della lingua nel e per l’apprendimento, e nel “dare significato” a ciò che si apprende. Nel CLIL confluiscono di fatto le teorie vygotskiane sulla zona di sviluppo prossimale, recentemente riprese dalla prospettiva socioculturale sull’apprendimento di Lantolf e Thorne e dagli scritti di Coyle, Hood e Harsch sul ruolo della lingua nella strutturazione di percorsi didattici fondati sulle cosiddette 4 C, ovvero: Contenuti, Comunicazione, Cognizione, Cultura.
Il fatto di dovere usare un’altra lingua per insegnare ha costretto i docenti di diverse aree disciplinari a ripensare il ruolo della lingua da loro utilizzata in classe, in particolare dell’italiano, nell’insegnamento e nell’apprendimento. Il CLIL sembra quasi avere messo a disposizione dei docenti un potente strumento di riflessione comune, trasversale alle discipline, che ha le potenzialità di una lingua franca: valorizza l’efficacia comunicativa della comunicazione didattica e ne mette in luce la ricaduta sugli apprendimenti. Questo strumento è ancor più utile nelle classi prevalentemente plurilingui e pluriculturali, in cui la o le LS di solito insegnata/e nel curricolo sono per gli allievi non italofoni le terze, quarte, se non quinte lingue. In tal senso la LS, utilizzata in classe e nella scuola per l’insegnamento di una disciplina, potrebbe rappresentare per molti allievi una lingua franca per la comunicazione e l’apprendimento, così come l’italiano.