La curatrice Anna Bartolena, con il coordinamento di Angelo Marchesi e Massimo Pesenti, ha selezionato 85 incisioni da un’importante collezione privata (quella di Enrico Sesana) cercando di offrire un quadro completo dell’arte novecentesca attraverso quella tecnica – la grafica – che rappresenta una splendida sintesi di unicità e serialità.
E se Walter Benjamin ha parlato proprio di “riproducibilità” come cifra distintiva dell’arte contemporanea, non vedo perché qualcuno si ostini a considerare l’opera incisa qualcosa di “minore” rispetto al disegno o alla pittura: se così fosse non si sarebbero cimentati in essa giganti del panorama artistico come, tra gli altri, Cézanne o Picasso, che divennero così (l’espressione è di Ambroise Vollard) peintres-graveures.
Il percorso inizia simbolicamente alla fine dell’Ottocento, con l’opera di personaggi chiave per gli sviluppi dell’arte nei decenni successivi – su tutti Paul Cézanne e gli artisti della stagione Simbolista – per proseguire poi tra i vari movimenti d’avanguardia e i loro principali interpreti: da Picasso e Matisse, da Pechstein a Dix, da Kandinskij a Klee, da Miró a Giacometti, da Hartung a Dubuffet, da Vedova a Fontana.
Come al solito, nessun intento troppo filologico nelle mie recensioni. Mi sento dunque libero di citare qualcuna delle opere che più mi hanno impressionato ed emozionato.
- Paul Cezanne, “Les Baigneurs”, particolare
- Henri de Toulouse-Lautrec, “Jeanne Granier”
- Georges Braques, “Job”
- Pablo Picasso, “Le taureau”
- Giorgio De Chirico, “Scuola di gladiatori”
- Giorgio Morandi, “Natura morta con il cestino del pane”
- Joan Mirò, “Aidez l’Espagne”
- Massimo Campigli, “Le due sorelle”
Parto anzitutto da Picasso, uno dei miei artisti favoriti: qui abbiamo una puntasecca cubista del 1911 (Nature morte à la bouteille de Marc), una litografia tra le più note (Le taureau, del 1945), e una linoleografia del 1962 (Le déjuner sur l’herbe). Ed è guardando l’idea di toro che caratterizza la seconda di queste tre che mi è sovvenuta quella celebre frase di Picasso che recita: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Sì, come un bambino geniale.
Non posso poi non menzionare tre artisti italiani che – a detta di chi scrive – nell’incisione hanno ottenuto esiti spesso superiori a quelli raggiunti con in altre tecniche. Parlo di Giorgio Morandi, di cui qui c’è una sublime acquaforte del 1921 (Natura morta con il cestino del pane), di Giorgio De Chirico, rappresentato da due piccole ma suggestive incisioni senza colore (Scuola di gladiatori, del 1928; La fuga inspiegabile, del 1934), e di Massimo Campigli, la cui acquatinta leggermente colorata (Le due sorelle, del 1931) è poesia allo stato puro.
Mi scuseranno le “anime buone” di Cézanne, Matisse, Toulouse-Lautrec, Braques, Leger, Chagall, Severini, Klee, Giacometti, Mirò, Fontana eccetera, se non riesco a citare nel dettaglio tutte le loro opere. Posso solo dire che le incisioni esposte, con le loro dimensioni contenute, il moderato (o assente) cromatismo e i soggetti “sobri” sottendono il gusto di un solo collezionista, o comunque di una “filosofia” familiare. Un collezionista nei confronti del quale può solo andare da un lato l’invidia dei visitatori, dall’altro il ringraziamento per la generosa esibizione dei suoi “gioielli”. E un ringraziamento – davvero sentito – va ancora, da ultimo, al Museo vimercatese che offre al territorio la possibilità di fruire di veri capolavori, in una sorta di crescendo che negli anni lo ha visto superare l’interesse per gli artisti nazionali, e proiettarsi invece in un panorama di respiro internazionale.