Lo Yemen è in guerra da anni, una guerra che poco appare sui giornali e che sta provocando una profonda crisi umanitaria e la distruzione del patrimonio culturale del Paese. Ma questo non è l’unico motivo per cui stanno crollando le case torri della città vecchia della capitale San’a, patrimonio mondiale Unesco dal 1986. Era stato Pier Paolo Pasolini ad attirare l’attenzione sui pericoli che correva il patrimonio dello Yemen con il documentario Le mura di Sana’a, realizzato in forma di appello all’Unesco nel 1971 (Arabia non più Felix #2 − Sana’a una Venezia sulla polvere). Le famose case torri realizzate in fango essiccato state infatti distrutte o danneggiate anche dalle piogge torrenziali e dalle alluvioni che hanno colpito il Paese a partire dall’anno scorso.
Come sottolineato dall’Unesco, i cambiamenti climatici sono diventati negli ultimi anni una delle minacce più significative per l’umanità e per i siti del Patrimonio Mondiale. Nel 2006 un gruppo di esperti aveva presentato una relazione (Predicting and managing the impacts of climate change on World Heritage) ed elaborato una strategia (Strategy to assist States Parties to implement appropriate management responses) per aiutare gli Stati ad affrontare il problema, pubblicate nel n. 22 di “World Heritage Reports” (2007), dal titolo Climate Change and World Heritage.
Risale al 2006 anche il Development of Policy Document on Impacts of Climate Change and World Heritage (consultabile qui), elaborato dall’Assemblea Generale degli Stati Parte della Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale (1972) che ne raccomandava caldamente l’applicazione, la diffusione e la promozione. Il documento, successivamente aggiornato in collaborazione con Iucn (Unione mondiale per la conservazione della natura) e Iccrom (Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali) nella sua versione più recente stabilisce gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 per contrastare i danni provocati dai cambiamenti climatici al patrimonio culturale, attraverso una serie di azioni mirate: un’accorta utilizzazione delle risorse; la promozione della resilienza climatica e la gestione delle emissioni di gas a effetto serra.
Un recente articolo di Will_Ita, pagina Instagram di informazione digitale, riporta la classifica stilata dalle Università di Yale e Columbia sulle politiche ambientali adottate dai vari Paesi, basate sull’Environmental Performance Index (EPI), un indice che misura la sostenibilità ambientale di un Paese in base al taglio delle emissioni di CO2, biodiversità e lotta all’inquinamento.
Come ci fa notare Will_Ita, il primo paese non europeo (Giappone) appare al dodicesimo posto, mentre le prime posizioni sono occupate da Danimarca, Lussemburgo e Svizzera, che hanno adottato programmi a lungo termine per la tutela dell’ambiente. L’Italia occupa il ventesimo posto, a pari merito con Canada e Repubblica Ceca, a causa soprattutto del consumo del suolo e della perdita di biodiversità.
A monitorare la situazione dell’Italia ci aiuta l’Osservatorio di Legambiente Città Clima con la mappa del rischio climatico nelle città italiane e nel territorio, che evidenzia l’impatto degli eventi climatici anche su infrastrutture e beni culturali a partire dal 2010. Scopo della mappa è quello di analizzare gli eventi e confrontarli con il passato, per capire dove i fenomeni si ripetono con maggiore frequenza ed evidenziare l’eventuale rapporto fra accelerazione dei processi climatici, insediamenti umani e infrastrutture.
Il sito si presenta con i numeri della mappa: ad oggi 580 comuni colpiti, 1071 eventi estremi, 387 stop infrastrutture, 469 allagamenti e 130 esondazioni fluviali. La sezione “Ultime notizie” presenta inoltre il Rapporto 2020 dell’Osservatorio Città Clima, con gli effetti di 10 anni di cambiamenti climatici sul nostro territorio. Come sottolinea Legambiente, infatti, il clima è già cambiato, tanto che sarebbe fuorviante, adesso, parlare di emergenza climatica: si dovrebbe parlare invece di crisi climatica o di rischio climatico, in quanto non si tratta più di fronteggiare fenomeni inaspettati, ma di acquisire la consapevolezza che ormai si tratta di un cambiamento in atto da anni, peraltro strettamente intrecciato al problema dell’inquinamento atmosferico, due facce della stessa medaglia con le città al centro del fenomeno.
In 10 anni di osservazione, la mappa riporta danni per allagamenti da piogge intense, con conseguenti interruzioni e danni alle infrastrutture; danni provocati da siccità e temperature estreme, o dovuti a trombe d’aria; frane causate da piogge intense ed esondazioni fluviali. Fra le città più colpite Roma, Bari, Agrigento e Milano.
La mappa di Città Clima, molto utile, potrebbe essere ulteriormente migliorata rendendo la ricerca più precisa ed efficace: ad esempio se si cerca “Venezia” sulla mappa, e si clicca sul risultato, appaiono solo i danni alle infrastrutture causati nel 2014 dalle piogge intense, mentre scorrendo la lista degli eventi appaiono anche i fenomeni del novembre 2019 che hanno provocato l’allagamento della Basilica di San Marco.
Per quanto riguarda i danni al patrimonio culturale nel 2021, la mappa segnala quelli verificatisi a Napoli il 2 gennaio a causa delle intense piogge, con il crollo dell’arco borbonico sul lungomare, e i numerosi danni subiti da Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova, per i forti temporali di luglio, con grandine e raffiche di vento che hanno provocato la rottura delle finestre e danneggiato il parco.
Torneremo ancora sul problema dell’ambiente con un argomento che, in genere, ci suscita solo immagini piacevoli: la sabbia.