Severino Boezio (480 ca. – 524 d.C.) è uno di quei personaggi che – presso la “tribù” dei classicisti (cui appartengo) – sono forse più famosi che realmente conosciuti, al pari del tempo in cui visse. Infatti egli fu uomo politico di prim’ordine e intellettuale raffinato in un’epoca di passaggio, di grande transizione.
Una complessa epoca di transizione
Ciò perché era da poco caduto l’impero romano d’Occidente (476 d.C.) e l’ecumene già romana era divisa tra l’impero bizantino (romano anche lui, pure se culturalmente greco, e dunque relitto del passato) e le nuove realtà territoriali barbariche che si stavano sviluppando. Si sentiva, insomma, ancora l’eco di quella cultura (artistico-letteraria, filosofica, politica…) greco-romana che aveva condizionato per secoli Occidente e Oriente, ma nondimeno il trionfo del cristianesimo e il rafforzamento del ruolo della Chiesa – oltre ai mutati assetti istituzionali di cui si è detto – stavano facendo virare l’Europa verso il Medio Evo.
Al tempo dei miei studi universitari – gli ormai lontani anni Ottanta – questo periodo (insieme con i suoi protagonisti) era ai margini degli insegnamenti storico-letterari allora vigenti: troppo “tardo” per essere di interesse per i classicisti, ancora ibrido, troppo acerbo, per appassionare i medievisti. Comunque – ci suggerivano – meglio non impegolarsi troppo in quei secoli lì, anche perché poi bisognava rivolgersi – in caso di bisogno – a pochi (e quasi mitici) studiosi di “tardo-antico”, depositari di saperi preclusi ai comuni mortali e quasi sempre docenti in atenei remoti.
La nuova edizione del capolavoro boeziano
Dunque, chi vi scrive – dal curriculum di studi classici ortodossi – sentiva nominare ogni tanto Boezio come autore in “coda” alla letteratura latina, e assai più spesso menzionare la principale delle sue opere (De consolatione Philosophiae) come modello formale della Vita Nuova dantesca, senza mai avere avuto però un approccio diretto alla sua produzione testuale. Colpa mia, poi, averlo trascurato nei successivi decenni di militanza negli studi latini; colpa aggravata dal fatto che col tempo studiare il “tardo-antico” non è più stato un fenomeno di nicchia, poiché la comunità scientifica ha finalmente colto l’eterogenea ricchezza di quella peculiare fase storico-culturale.
A porre rimedio alla mia pigrizia intellettuale ci ha pensato una cara amica che ha donato a mia moglie e a me una copia della recentissima e prestigiosa edizione del capolavoro boeziano: si tratta di Boezio, Consolazione della Filosofia, a cura di P. Dronke, traduzione di M. Pereira e P. Boitani, Mondadori, Milano 2023 (Collana Fondazione Lorenzo Valla).
L’opera è stata scritta dal Nostro in carcere, a Pavia, dove si trovava con l’accusa di alto tradimento che lo portò alla condanna a morte, avvenuta probabilmente nel 524 d.C.
Ascesa e caduta di un politico-filosofo
Boezio, educato tra Roma e Atene, aveva passato la vita a “costruire ponti”; un ponte tra la tradizione filosofica greca e la cultura latina, progettando la traduzione in latino delle opere di Platone e Aristotele, dei quali sottolineava le affinità di pensiero più che le differenze; un ponte tra i valori del mondo classico e quelli del cristianesimo, religione alla quale era devoto; un ponte – per così dire incrociato – che da un lato mirava a unire l’eredità politica di Roma con l’esperienza del re ostrogoto Teodorico (del quale era divenuto consigliere e magister officiorum, una sorta di “primo ministro”), dall’altro era teso a evitare tensioni tra il regno romano-barbarico di quest’ultimo e l’impero bizantino. Se Bisanzio aveva infatti – nella persona degli imperatori Zenone e Anastasio I – favorito la conquista dell’Italia da parte di Teodorico a discapito del rozzo e incontrollabile Odoacre, i rapporti tra l’impero d’Oriente e il regno italico con capitale Ravenna si guastarono progressivamente, complice (anche) la politica religiosa del nuovo imperatore Giustino, ostile all’arianesimo, eresia professata dallo stesso Teodorico. Quest’ultimo sospettò allora che parte dell’aristocrazia latina flirtasse con Giustino e cospirasse contro di lui: ne conseguì una vera e propria “purga” che colpì anche Boezio, incarcerato prima e quindi torturato e condannato a morte senza processo. Contro di lui furono probabilmente costruite false accuse, mentre la sua unica colpa, ancora una volta, era stata quella di aver provato a mediare, a ricostruire un ponte tra il Senato – la cui lealtà difese appassionatamente – e Teodorico.
La Filosofia, guida durante i rovesci di fortuna
La finzione letteraria della Consolazione della filosofia consiste nell’immaginare che, in attesa dell’esecuzione, Boezio riceva la visita della Filosofia, che assume le sembianze di una nobildonna «il cui volto ispirava un grande rispetto», caratterizzata da «occhi ardenti e acuti oltre la comune potenza umana»; si continua poi sottolineando il suo colorito e la sua vigoria «per quanto fosse così antica da non potersi credere che appartenesse al nostro tempo» (trad. M. Pereira, come le seguenti in prosa). L’epifania di questa energica signora senza tempo, che per prima cosa vuole spazzare via le «Muse della poesia» dalle vicinanze di Boezio, definendole «sgualdrinelle da palcoscenico», ha un che di teatrale, ma ha soprattutto una valenza profonda: è solo la filosofia che – al li là delle contingenze più o meno fortunate della vita, e perfino nella solitudine di un carcere – può offrire all’uomo una guida sicura e una prospettiva consolatoria. Così si dà inizio a un dialogo dai toni assai vari, tra le cui pieghe vediamo echi degli scritti di Parmenide, Platone, Aristotele, Plotino, Proclo e di molti altri, compresi i libri sapienziali della Bibbia. La dotta introduzione di Peter Dronke, a lungo docente a Cambridge, ci guida tra i temi-chiave del lungo confronto tra i due, il primo dei quali è, appunto il valore della philosophia (filosofia), il quale è superiore a quello della fortuna (sorte) perché la sapienza è sempre in grado di condurre i suoi discepoli alla beatitudo (vera felicità). Se a questi argomenti sono dedicati i primi tre libri dell’opera, il quarto tratta con abbondanza di riferimenti neoplatonici della providentia (provvidenza), ed è propedeutico al quinto nel quale Boezio cerca di conciliare proprio la provvidenzialità divina con l’umano libero arbitrio, «perché senza dubbio accadranno tutte le cose che dio pre-conosce come future, ma alcune di esse derivano dal libero arbitrio». Si tratta di un concetto non troppo diverso da quello che Beatrice cerca – con la metafora della nave che scende lungo il fiume verso il mare – di spiegare a Dante in Paradiso, XVII, vv. 37 ss.
Dal particolare all’universale
Si capisce pertanto come la fatica letteraria del Nostro vada ben oltre la riflessione sulla propria penosa condizione di filosofo ingiustamente condannato (che egli paragona, tra le altre, a quella di Socrate o Seneca) ma miri a una prospettiva universale di ben più ampio respiro. Non ci stupisce allora come l’opera sia stata oggetto di una fortuna enorme, nel Medio Evo in particolare, non solo perché inesauribile enciclopedia di saperi, ma anche (e soprattutto) perché le sue conclusioni legittimavano un uso consapevole, razionale, di quei saperi stessi da parte dell’uomo anche in presenza della prescienza divina e di una concezione teleologica della storia. Ancora una volta una poderosa, epocale, mediazione, che gli valse la santificazione da parte della Chiesa (che lo considera un martire per la Verità) e la lusinghiera collocazione in Paradiso (X, vv. 124-129) da parte di Dante, suo grande estimatore il quale – come ha scritto il filologo Luca Lombardo in un suo saggio – aveva di certo la Consolatio sempre sul suo scrittoio (L. Lombardo, Boezio in Dante. La Consolatio Philosophiae nello scrittoio del poeta, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia 2013); Boezio è infatti incluso fra i sapienti del cielo del Sole, in quanto «il mondo fallace / fa manifesto a chi di lei ben ode», mentre la sua anima «da martiro / e da essilio venne a questa pace».
Mi piace citare, tra i tanti possibili, un passo poetico tra i più famosi della Consolazione, il carme 9, in esametri, appartenente al III libro; qui la Filosofia si produce in un potente inno dai toni lucreziani ma dal contenuto platonico, poiché il Dio cristiano che invoca ha tutte le fattezze del Demiurgo descritto nel Timeo:
Tu che il mondo governi con perpetua ragione,
che hai piantato il cielo e la terra, che al tempo
comandi dal perenne di muovere, che fisso
restando a tutto dai moto […]
[…] tu, bellissimo, il mondo bello
nella mente portando a tua immagine formi
e ordini alle parti sue perfette di farlo perfetto. […]
Da’, Padre, alla mente mia di ascendere
alla sede augusta, di contemplare la fonte del bene,
di trovare la luce e in te ficcare lo sguardo dell’animo.
Dissipa le nebbie e i pesi della mole terrena,
e nel tuo splendore risplendi; tu infatti sereno, tu
riposo e pace dei pii: vedere te è il fine e il principio,
motore, guida, via e termine a un tempo. (trad. P. Boitani)
Prosimetro e allegoria
Una breve nota merita anche il genere letterario dell’opera, il prosimetro (cioè un’alternanza di prosa e poesia, come si è già visto dalla varietà delle citazioni proposte) sulla scia delle Fabulae Menippeae tradotte da Varrone, nonché dei più noti Satyricon di Petronio o De nuptiis Philologiae et Mercuri di Marziano Capella. Tale vivace eclettismo – come anticipavo – influenzò senza dubbio la Vita nuova di Dante, che mescola parti liriche ad altre prosastiche esplicative.
Ed è parimenti la poderosa allegoresi della consolatoria donna-Filosofia a influenzare Dante e tutta la letteratura medievale, che di figure femminili con funzione allegorica è davvero strapiena.
Insomma: lettura non semplice, quella della Consolazione, opera della quale temo – nonostante le annotazioni dell’edizione menzionata – di non avere saputo cogliere tutta la complessità. Malgrado ciò, come già scrisse Edward Gibbon (la citazione è nella Introduzione di Dronke) siamo davanti a un libro «non indegno del tempo speso per leggerlo, come Platone e Cicerone», cioè due tra i più illustri esponenti di quel mondo classico del quale Boezio possiamo considerare l’ultimo grande pensatore.