Ben Pastor, nata a Roma e laureata in Lettere con indirizzo archeologico, ha abitato e insegnato a lungo negli USA: oggi vive tra l’Italia (in un paese dell’Appennino tra Emilia e Lombardia) e il Vermont. È autrice nota e pluripremiata di romanzi storici di genere giallo, ambientati sia nell’Antica Roma (il cui protagonista è lo scrittore-detective Elio Sparziano), sia nella Praga della Prima Guerra Mondiale (nei quali indagano Karel Heida e Solomon Meisl), sia nell’Europa lacerata dalla Seconda Guerra Mondiale. Ed è in questi ultimi, editi in Italia da Sellerio, che compare quello che l’autrice definisce il suo “figlio prediletto”, e cioè l’ufficiale tedesco Martin Bora, uomo colto, retto, e tanto fedele alla Patria da pensare di poterla servire con onore anche se governata dal regime nazista: a me ha sempre ricordato – si parva licet…– il generale Giulio Agricola, suocero dello storico latino Tacito, che agì con onore anche sotto il tiranno Domiziano perché, come scrisse il genero, si può essere uomini buoni anche sotto principi malvagi (Tacito, Agricola, 42).
Uno di questi bei romanzi storico-polizieschi è appena uscito, e si intitola La strada per Itaca, Sellerio Editore, Palermo 2104. Il libro vede Martin Bora immerso nello scenario bellico della Creta del 1941, in un’indagine che si trasforma in una vera e propria Odissea (da qui il titolo): scoprire chi ha ucciso il professor Alois Villiger, cittadino svizzero, un singolare personaggio diviso tra la passione per l’archeologia e il collaborazionismo con i nazisti. Non credo di sbagliare, però, affermando che la vera protagonista del romanzo è proprio l’isola di Creta, con i suoi paesaggi aspri, i suoi sentieri polverosi, i suoi suggestivi resti archeologici; non solo, infatti, tutto ciò è ricostruito con grande rigore documentario (come al solito), ma denota anche una particolare conoscenza dello spirito e del carattere dei suoi abitanti, incarnati – tra gli altri – dal locale commissario Kostaridis.
Tra noi e un grande dolore qualche volta può esserci un buon libro, dice Ben Pastor. Ma non voglio, in questa sede, recensire il libro (cosa che spero di poter comunque fare al più presto), bensì raccontare uno straordinario incontro che Ben Pastor ha avuto con gli studenti e i colleghi del Liceo “Antonio Banfi” di Vimercate, dove ho l’onore di insegnare da molti anni. Il 28 novembre, infatti, siamo riusciti ad averla come nostra ospite: e di ciò, anche in sede pubblica, ringrazio ancora la scrittrice, che a tal fine ha affrontato – in un giorno di pioggia torrenziale – il lungo tragitto dalla Val Tidone alla Brianza e viceversa. Non certo l’Odissea di Martin Bora tra i monti di Creta, ma comunque qualcosa di lungo e scomodo, per un’intellettuale di successo molto richiesta, e per di più reduce da un tour di presentazioni in Italia centrale.
L’incontro è stato fortemente voluto dal Dirigente Scolastico, prof. Giancarlo Sala, e dai Dipartimenti disciplinari di Lettere e Storia e Filosofia; è stato inoltre adeguatamente preparato dai docenti e dagli studenti, i quali si sono presentati avendo letto tutti almeno l’incipit della Strada per Itaca. Abbiamo voluto intitolarlo – noi del “Banfi” – Tra storia e letteratura, poiché in quell’occasione abbiamo soprattutto provato a interrogare la scrittrice in merito alla genesi dei suoi personaggi di Elio Sparziano e Martin Bora, e in particolare al rapporto di questi con la verità storica dei loro tempi. Ne riporto dunque, per i lettori della Ricerca, un breve resoconto, scusandomi se talora parlerò come recensore, talora come docente di questa scuola, talora come lettore: ancora fresco di tale emozionante esperienza, temo infatti di non riuscire ad essere del tutto imparziale.
Ben Pastor ha anzitutto spiegato che Elio Sparziano, storico latino della tarda romanità, è talmente poco noto che non è stato difficile “plasmarlo ex novo”; e non ha negato che dietro Martin Bora si celi una rilettura della figura di Claus von Stauffenberg: sì proprio quello del fallito attentato ad Hitler del luglio 1944, noto come “Operazione Walkiria”. Dunque la storia e la letteratura hanno a suo avviso un rapporto strettissimo, anche se bisogna evitare di confondere la dimensione della ricerca e della ricostruzione e quella della fiction. Insomma, quando le ho chiesto se condivideva l’idea manzoniana secondo la quale bisogna profittare della storia senza farle concorrenza (Lettera al Fauriel), Ben Pastor ha risposto con un sì convinto. Anzi, ha proseguito in toni decisamente “manzoniani”, parlando della potenzialità della letteratura di dare vita anche alle emozioni e ai valori di personaggi apparentemente minori: proprio quello che il Don Lisander fa con il suo romanzo, e che – in qualche misura – teorizza nella Lettera a Monsieur Chauvet.
Abbiamo dunque scoperto che una donna appassionata di armi e di vicende militari, di solida cultura classica, che scrive in inglese – divenuto la sua “lingua letteraria” – e che si fa volentieri tradurre in italiano, può avere un legame quasi ombelicale con la nostra cultura letteraria dell’Ottocento romantico. Ben Pastor ci ha fatto così capire come la nostra identità europea sia fatta di tutti questi “pezzi”, nessuno escluso; e ci ha pure ricordato come, soprattutto nei momenti più drammatici dell’umanità (come quello prossimo al crollo dell’Impero Romano, quando vive Sparziano; come quello della seconda Guerra Mondiale, nel quale opera Bora; ma anche come quello attuale, con il mondo lacerato da una crisi economica, morale e identitaria…), un costruttivo legame con il passato, con la storia ma ancor più con la grande letteratura possa avere un valore quasi terapeutico: in Europa come in quegli Stati Uniti che ben conosce.
Quanto più ci si avvicina all’origine [della letteratura], tanto più si trovano parole che hanno una nitidezza, una forza, una validità assoluta: che parlano a tutti, insomma. Stimolata dalle domande di docenti e studenti, ha affascinato – lo dico senza timore di smentite – tutta la folta platea con le sue risposte amabili, raffinate e mai banali; e il giorno successivo, al prof. (cioè chi scrive) che voleva tradurre in classe l’Eneide, non è stato possibile farlo, perché gli allievi volevano ancora parlare dell’incontro del giorno prima: la morte di Laooconte (per sua fortuna) è stata così posticipata di qualche giorno! A nessuno dei giovani erano infatti sfuggiti due punti importanti del discorso dell’autrice, che ella aveva posto a corollario della sua riflessione sul tema-chiave della giornata: e di questo, proprio di questo, i ragazzi volevano ancora discutere; non certo di Laocoonte e dei suoi dannati serpenti…
Il primo punto è una considerazione sul valore universale della letteratura antica, greco-romana in primis, perché Ben Pastor ha detto che quanto più ci si avvicina all’origine, tanto più si trovano parole che hanno una nitidezza, una forza, una validità assoluta: che parlano a tutti, insomma. Il secondo è costituito da una frase che cito alla lettera, perché suona quasi da precetto morale: tra noi e un grande dolore, qualche volta può esserci un buon libro. Inutile commentarla: chi – come me – ha i capelli grigi sa che è vero, ma ai nostri ragazzi ha fatto bene sentirselo dire da una voce autorevole. E credo che molti di loro, tornando a casa in pullman o in bici sotto la pioggia, ci abbiano pensato a lungo. Io ci pensavo, mentre guidavo tornando a Monza, dicendomi: “Questa cosa la sapevo già, eppure nessuno me l’aveva detta così bene”. A questo servono dunque gli scrittori, a riempire di parole gli spazi (talora le fessure…) dei nostri pensieri. E anche a riempire gli spazi di un grande Liceo di provincia; a riempirli di studenti ansiosi di vedere – forse per la prima volta – “in carne ed ossa” l’autrice del libro che stavano leggendo, e di farsene firmare una copia, augurandosi che il grande dolore che quel libro (o un altro…) potrà lenire avvenga il più tardi possibile.