Possono essere dei gioielli da vedere, e interpretare ben oltre le informazioni sul cast artistico e tecnico, così intensi e originali da restare nella memoria quanto e più del film stesso. Basti pensare ad alcuni titoli per rendersi conto di quanto l’incipit e l’epilogo di un film siamo essi stessi un’opera d’arte. Anatomia di un omicidio di Otto Preminger, Phsyco e Vertigo di Alfred Hitchcock, Shining di Stanley Kubrick, Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, Taxi Driver di Martin Scorsese, Se7en di David Fincher, Fai la cosa giusta di Spike Lee, Prova a prendermi di Steven Spielberg e Kill Bill Vol. 1 di Quentin Tarantino sono alcuni tra i tanti esempi.
In tutti questi casi, tra la cornice iniziale e finale esiste anche l’opera, ovviamente tanto più affascinante e ancor più espressivamente significativa dei titoli. Ma se si assiste a un film di ben 125 minuti e si deve arrivare ai titoli di coda per vedere i pochi attimi decenti e cinematograficamente interessanti di tutto il film, allora c’è qualcosa che non va. Se poi il film è ad alto budget, ed è una grande produzione in 3D di una delle principali major americane, allora c’è più di qualcosa che non va.
Siamo di fronte a un enorme spreco di denaro, a uno sforzo produttivo importante per un’opera di una banalità e superficialità sconcertante, nella peggiore tradizione Hollywoodiana. Sì, perché qui siamo completamente immersi nell’estetica, la poetica e i valori dell’industria dello spettacolo made in USA, in quel totalizzante e globale mainsteam subculturale capace di generare nella vita reale inquietanti candidati presidenti come Donald Trump e Hillary Clinton, e al cinema film inguardabili come Ben-Hur.
Dietro la superficie visiva in 3D, che tenta di supplire all’inconsistenza narrativa ed estetica con una cangiante e artificiale profondità visiva, il film diventa ben presto sterile esibizione di fredda e inutile tecnologia e nulla più. Personaggi banali che vivono di stereotipi manichei e infantili, sceneggiatura prevedibile, dialoghi senza un minimo di verve e originalità, inquadrature che si perdono nella tecnologia senza affermare una cifra stilistica o una visione narrativa capace di dare una vera impronta all’opera. Un film veramente brutto, inutile anche nella sua lunghezza esasperante, Fosse finito subito dopo la famosa corsa con le bighe, avremmo anche potuto perdonare. Ma il finale no, come dicono a Roma, “non s’affronta!”.
Se l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri ha definito la recente partita della sua squadra con l’Inter come la peggiore degli ultimi trent’anni della storia del calcio, possiamo tranquillamente dire che il finale di Ben-Hur è il peggiore degli ultimi trent’anni della storia del cinema: banale, scontato, buonista, accomodante, sdolcinato, familydaysta: insomma, una summa e sintesi del peggio del peggio.
Non si sentiva proprio la mancanza di un remake dei due famosi e non certo memorabili film del 1925 e 1959. Assolutamente da evitare.
Ben-Hur
Regia: Timur Bekmambetov
Con: Jack Huston, Toby Kebbell, Morgan Freeman, Rodrigo Santoro, Nazanin Boniadi, Ayelet Zurer, Sofia Black-D’Elia, Haluk Bilginer, Pilou Asbæk, Marwan Kenzari, Moises Arias, Yasen Atour, David Walmsley, James Cosmo
Durata: 125 min
Produzione: USA, 2016