Le storie degli altri

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Qualche settimana fa… In fila alle poste, mattina presto, una fastidiosa congiuntivite molto acuta mi costringe a una benda sull’occhio destro. Fatico in questi giorni: la mancanza della visione binoculare sembra nulla finché non si sperimenta per giornate intere. Fare esperienza della mancanza del senso di profondità, di un equilibrio vacillante, di una padronanza non perfetta del proprio corpo è un fastidio e una difficoltà. Sono nervoso.

Non comprendo come, all’apertura, sia possibile che si sia già prodotta così tanta coda. Mi muovo male, non sono abituato: ruoto tutto il busto per seguire, sul tabellone elettronico, il procedere dei numeri e dei codici. Ho due spedizioni da affrancare, nessuna ricevuta da compilare, attendo da trenta minuti. Solo tre sportelli sono aperti e funzionanti, gli altri impiegati si attardano a parlare, sembrano non notare l’assembramento di persone che si è prodotto. Mentre sono in fila noto una signora che si avvicina allo sportello, e non resisto: ad alta voce:“La signora non fa la fila come tutti?”.
Ho attirato l’attenzione dei molti in attesa. La signora è costretta a rispondermi:“Stavo solo chiedendo un’informazione, due minuti”. Sono nel giusto, sono un onesto cittadino che sta facendo una fila impossibile e irragionevole, non parlo per me, parlo per tutti…“Signora, anche io devo solo spedire due lettere, ma faccio la fila come tutti…”. La signora non ci sta, mi risponde male, violentemente, urla anche…, mi offende e lascia lo sportello libero. Visti i toni chiedo, provocatoriamente, “Signora, ha qualche problema?”.
La signora si ferma di fronte a me, regge lo sguardo e risponde: “Sì, io ne ho tanti, per esempio sono vedova da venti giorni… e lei?”. Esce e se ne va.
Chi legge potrà immaginare quali emozioni e sentimenti abbia provato. La mia tracotante certezza di essere un buon cittadino che pungola gli altri al rispetto delle regole minime di pacifica e serena convivenza, spazzata via da una sola frase, la tentazione di rincorrere la signora e scusarmi vinta dalla vergogna, il brutto rimorso di aver reso più difficile la giornata a chi non aveva certo bisogno del mio contributo… Ancora una volta un incidente critico personale mi ha aiutato a riflettere sulle storie degli altri. Giudicare gli altri, giudicare una singola azione, uno sguardo, una parola senza conoscere il prima e il dopo, il contesto nel quale queste azioni sono inserite diventa, davvero, l’esercizio di un arbitrio. Le storie degli altri, proprio come quelle dei buoni libri, non sono mai del tutto prevedibili: è necessario il tempo per comprenderle, il tempo per ascoltarle, il tempo per accoglierle.Nei giorni successivi all’evento citato ho imparato, grazie all’occhio rimasto bendato per alcuni giorni, a muovermi con un passo più accorto, a misurare sulle mie abilità residue le mie possibilità. Ho scoperto cose e persone che alla velocità quotidiana non erano nemmeno entrate nel mio campo visivo.
Poche settimane dopo il corpo ha voluto, di nuovo, sollecitarmi ad apprendere. Un brutto strappo muscolare ai flessori della coscia destra (galeotto fu il calcetto) mi ha costretto a muovermi nuovamente con lentezza, a non poter superare alcuni ostacoli, a chiedere a mio figlio di otto anni di rallentare il suo passo, troppo veloce per me, e di farmi appoggiare la mano sulla sua spalla, per non perdere l’equilibrio. Ho scoperto a un livello meno intellettuale e molto più quotidiano le barriere architettoniche, ho intuito (capire sarebbe troppo io so, comunque, che la mia condizione è transitoria) cosa significa vedersi preclusi accessi e percorsi, ho riflettuto ancora su ciò che il fortuito incontro/scontro alle poste mi aveva sollecitato.
Le storie degli altri sono preziose, sono imprevedibili, sono sconosciute.
In questi ultimi giorni, più volte, episodi di intolleranza estrema, come i noti fatti del Giulio Cesare o il ritiro degli opuscoli dell’UNAR dopo l’intervento del sotto-segretario Toccafondi (a cui ben si addice una nota espressione latina) mostrano la difficoltà di comprensione che abbiamo intorno e le strumentalizzazioni che siamo in grado di tollerare quando, per paura, per meschinità, per ignoranza, per arginare la crisi… abbiamo bisogno di un nemico. Il nemico è sempre il diverso. Il nemico è sempre colpevole, brutto, cattivo. La diversità, tuttavia, la differenza, ci riguarda tutti. Il nemico, il diverso siamo noi.

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