Oggi Vravrona è nota per lo più per le sue spiagge sabbiose e adatte al turismo familiare, mentre la sua pur interessante area archeologica – a poco più di un chilometro dall’insediamento balneare – è poco conosciuta e mal segnalata. Tant’è che il tassista che ho convinto a portarmi qui dall’aeroporto di Atene (il quale ha faticato a trovare il sito pure con il navigatore) mi ha confessato che in venticinque anni di lavoro mia moglie ed io siamo stati i primi clienti a fargli questa richiesta.
Visita rapida, dunque, la nostra, tra un volo interno e la coincidenza con Milano Malpensa; eppure visita per me in qualche modo necessaria, dopo che in epoca di lockdown (nel 2020) avevo tenuto per Loescher un webinar intitolato Il sacrificio di Ifigenia: Lucrezio, ma non solo che mi aveva solleticato l’idea di andare a vedere il mitico luogo del ritorno dell’eroina dalla Tauride.
Le ragioni di un legame: dalla Tauride all’Attica
Prima di una pur sommaria descrizione di quel che resta del santuario, è bene ricordare la ragione del legame tra Ifigenia e Artemide: è infatti questa dea, regina degli animali, che secondo la variante “ottimistica” del mito (quella sposata da Euripide, tanto per intenderci, ma non accolta da un Lucrezio intento a dimostrarci che tantum religio potuit suadere malorum) avrebbe sostituito con una cerva o un’orsa la fanciulla destinata dal padre Agamennone al sacrificio.
Non manca pertanto in quasi tutte le raffigurazioni iconografiche del sacrificio la presenza sullo sfondo della dea con la cerva sostitutiva: tra le più note quella della “Casa del poeta tragico” di Pompei, che forse non brilla per proporzioni e struttura compositiva ma è probabilmente ispirata a un capolavoro del celebre pittore Timante di Kythnos (V sec. a.C.), per arrivare alla pittura vascolare antica, fino alle rese moderne e spettacolari come quella del Tiepolo a Villa Valmarana (Vicenza).
Ifigenia – salvata – divenne dunque sacerdotessa di Artemide nella regione dei Tauri (odierna, tormentata, Crimea…) finché il fratello Oreste con l’inseparabile amico Pilade non la riportarono in Attica insieme con una preziosa statua lignea (xoanon) della dea, secondo la trama dell’Ifigenia in Tauride euripidea.
E qui entra in gioco la nostra località che proprio in questa tragedia viene indicata come la sede dove fondare un tempio – compito che spetterà a Oreste – nel quale conservare la statua e perpetuare il culto di Artemide, se è vero che Atena nell’esodo dell’opera dice alla fanciulla: «Quanto a te, Ifigenia, dovrai, sulle terrazze Brauronie, avere le chiavi del tempio. Ivi sarai sepolta e t’offriranno splendide vesti in omaggio coloro cui sarà morta la moglie di parto» (trad. F. M. Pontani).
Un santuario dalla struttura composita
Appare dunque evidente la complessità cultuale e rituale del santuario di Brauron, da un lato – come si diceva – caratterizzato dalla presenza di un tempio di Artemide la cui fondazione risale al IX o VIII secolo a.C., dall’altro lato sede del sepolcro della sua proto-sacerdotessa Ifigenia, trasformato nel tempo in heroon. Né si deve sottovalutare il ruolo che ha avuto il tiranno Pisistrato (VI sec. a.C.), che forse di Brauron era originario, nella diffusione in tutta l’Attica del culto di Artemide Brauronia, alla quale venne dedicato un tempio pure sull’acropoli di Atene: anche qui vi si conservava una statua lignea della dea, sostituita nel IV sec. a.C. da una marmorea opera di Prassitele, ora conservata al Museo dell’Acropoli.
Attualmente il tempio dell’Artemision di Brauron – già devastato da Serse e poi ricostruito dopo le guerre persiane – è del tutto distrutto, e della tomba di Ifigenia non resta granché. La maggiore impressione è data oggi dalla imponente stoà a colonne doriche, alcune delle quali ancora si ergono a occupare il paesaggio, proprio di fronte alla roccia sulla quale è stata costruita la graziosa cappella bizantina dedicata a San Giorgio.
Il porticato è detto – anche alla luce di alcune iscrizioni – «stoà delle orse» (poi vedremo perché) e probabilmente fungeva da dormitorio o refettorio per ragazze, poiché il culto di Artemide Brauronia era prettamente femminile, ed era finalizzato a tutelare numerose tappe della vita delle donne.
Un culto femminile: orse e partorienti
Se infatti il santuario accoglieva abitualmente bambine tra i cinque e i dieci anni con funzioni educative era anche sede delle quadriennali feste Brauronie, che si svolgevano qui al termine di una solenne processione che muoveva dall’acropoli ateniese. Durante queste celebrazioni le ragazze più grandi danzavano mimando le movenze dell’orso, animale sacro ad Artemide: le feste erano pertanto dette Arkteia e le fanciulle che ne erano protagoniste arktoi («orse)».
Queste «giovani orse», con i loro balli rituali, manifestavano il passaggio dallo stato di ferinità (e verginità, ovviamente), tutelato dalla vergine Artemide, a quello dell’amore e del matrimonio, presieduto dalla sensuale Afrodite. Ma Artemide non le avrebbe abbandonate: infatti proprio lei – ancorché vergine, come ho già detto – proteggeva le madri durante il parto e i piccoli appena nati o in fase di crescita. Ed è così che si spiegano le numerose statue votive (fittili o marmoree) di bambini trovate nel santuario, ora esposte nel locale Museo insieme con altri importantissimi – e in qualche caso splendidi – reperti archeologici, databili per lo più tra il V e il IV sec. a.C. Segnalo per la qualità davvero elevata un rilievo in marmo (il cosiddetto Rilievo degli dèi, più o meno coevo ai fregi del Partenone) che raffigura Zeus, Latona, Apollo e Artemide, che forse attendono l’arrivo di Oreste e Ifigenia su un carro, raffigurati nella parte ora scomparsa: ancora una volta le due “signore di Brauron” erano ritratte a poca distanza l’una dall’altra, a dimostrare come davvero i loro culti si intrecciassero.
Non dimentichiamoci infatti della profezia – già menzionata – di Atena, che nell’Ifigenia in Tauride assegnava alla protagonista la funzione di nume tutelare delle donne morte di parto, o perlomeno della loro memoria. Insomma: a Brauron ci si prendeva cura delle bambine, delle ragazze alla soglia del matrimonio, delle donne felicemente divenute madri e di altre purtroppo non sopravvissute al parto.
Dualismo tra vita e morte
Vita e morte, dunque, trovavano qui la loro quotidiana celebrazione, in quel dualismo – che non è solo quello tra apollineo e dionisiaco… – spesso caratteristico delle divinità o degli eroi dell’antica Grecia. Non è forse Ifigenia l’icona più vistosa di come sia sottile il discrimine tra vita e morte, se è vero che alcuni miti la vogliono sacrificata in Aulide e altri salva in Tauride? E che dire di Artemide? Dea della caccia, protettrice degli animali, assistente delle giovani partorienti e pure talora identificata con Ecate, dea dei fantasmi e dei morti.
La solarità e l’isolamento del sito, gli echi letterari che evocano i suoi resti, l’ottimo allestimento del moderno Museo hanno reso la visita davvero suggestiva. Ho così promesso ai gentili guardiani (sopresi dalla mia fretta) che sarei tornato ancora, magari l’anno prossimo, con più calma, senza l’ansia del taxi che mi aspetta e dell’aereo da non perdere. Forse (anzi sicuramente) avrei potuto starci ancora un po’, ma non potevo sapere che il tassista (con cui avevo concordato tempi e costi…) si era addormentato nel parcheggio, e che l’aereo per Milano aveva un cospicuo ritardo. Mi chiedo però come mai Artemide, per ringraziare mia moglie e me della nostra visita un po’ avventurosa, non abbia chiesto lumi al fratello Apollo, dalle arcinote doti profetiche, per informarci di tutto questo.