Arte in mostra, a Milano e Novara

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Due mostre mostrano come l’arte abbia avuto dal mecenatismo e dal collezionismo privato impulso, vitalità e a volte la (quasi) unica possibilità di esistere.

C’è un quadro (anzi, due…) che sembra fatto apposta per darci lo spunto per parlare “in parallelo” di due bellissime mostre che si possono visitare in questi giorni a Milano e Novara; anzi, credo che le prossime Festività natalizie possano essere davvero il momento giusto per farlo. La prima è Dai Medici ai Rothschild. Mecenati, collezionisti, filantropi, ed è curata di Fernando Mazzocca e Sebastian Schütze con il coordinamento generale di Gianfranco Brunelli, nelle milanesissime “Gallerie d’Italia”; la seconda, invece, è intitolata Milano da romantica a scapigliata e ne è curatrice Elisabetta Chiodini, coadiuvata da un Comitato scientifico di cui fanno parte Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca e Sergio Rebora.

A partire da un quadro di Angelo Inganni…

Angelo Inganni, Veduta sulla Piazza del Duomo con il coperto dei Figini, 1838, olio su tela, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine. Copyright Comune di Milano, tutti i diritti riservati. Milano, Palazzo Morando/Costume Moda Immagine

Ma torniamo al quadro cui ho prima accennato, che è – tra l’altro – uno di più noti scorci pittorici milanesi, e cioè la Veduta sulla Piazza del Duomo con il coperto dei Figini, dipinto nel 1838 da Angelo Inganni e ora conservato nelle Raccolte di Palazzo Morando (“Costume, moda immagine”): è in mostra alle Gallerie d’Italia, ma… non solo! Infatti il visitatore che si rechi ad ammirare l’esposizione novarese ne potrà vedere un’altra versione – quasi identica – dipinta forse l’anno successivo e ora proprietà di un fortunato collezionista privato. Chi scrive, avendo da pochi giorni fotografato col cellulare la prima versione, ha potuto esercitarsi (con grande fatica…) nel gioco delle differenze che ben conoscono i lettori della Settimana enigmistica.

Quanto appena detto sul dipinto di Inganni può spingerci a ulteriori elementi di raffronto tra le due mostre, che hanno molto in comune: anzitutto Milano (come sede della prima e “argomento” della seconda), poi la presenza – anche se con ruoli diversi – in entrambe le iniziative della competenza di uno studioso raffinato come Fernando Mazzocca, e soprattutto l’idea che l’arte abbia avuto dal mecenatismo e dal collezionismo privato impulso, vitalità e – in alcuni frangenti – la (quasi) unica possibilità di esistere.

I grandi mecenati alle Gallerie d’Italia

Michelangelo Buonarroti, Madonna della scala, 1490 ca, marmo, Firenze, Casa Buonarroti.

Infatti alle Gallerie d’Italia si ripercorre il fenomeno del mecenatismo attraverso l’analisi di personaggi che, nei secoli, hanno segnato in modo incisivo la storia del collezionismo e del gusto, come Cosimo e Lorenzo de’ Medici, le famiglie Giustiniani e Torlonia (abbiamo, da poco, rivisto i “marmi Torlonia”!), Enrico Mylius e, nell’area mitteleuropea, Moritz von Fries, Johann Heinrich Wilhelm Wagener, Nathaniel Mayer Rothschild, e in America John Pierpont Morgan. Né manca – nella sezione finale – un tributo alla figura del banchiere “umanista” Raffaele Mattioli, protagonista della rinascita economica e culturale nell’Italia del difficile dopoguerra.
Tale percorso è realizzato attraverso circa 120 opere di provenienza diversa, nate in origine grazie a committenze “mecenatesche” e/o finite nelle raccolte di importanti collezionisti, e tra esse ci sono capolavori come il Putto con delfino del Verrocchio, la Crocifissione di Annibale Carracci, la Madonna della scala di Michelangelo, il San Gerolamo Penitente di Caravaggio (davanti al quale si resta davvero senza parole), il Ritratto del conte Josef Johann von Fries di Angelika Kauffmann, il Ritratto di Everhard Jabach di Antoon van Dyck, La fuga di Bianca Cappello da Venezia di Francesco Hayez e un’inedita Natura morta di Giorgio Morandi.

L’Ottocento milanese in mostra a Novara

Angelo Inganni, Nevicata ai Navigli, 1852, olio su tela. Collezione privata.

Anche molti – direi la maggior parte – dei dipinti esposti a Novara appartengono a collezioni private, e questo spiega il coinvolgimento nell’organizzazione della mostra di importanti gallerie antiquarie. E questo è, a mio avviso, un ulteriore invito a godere di queste opere prima che tornino ai loro legittimi proprietari. Qui si indaga, attraverso oltre settanta capolavori eseguiti dai maggiori protagonisti della cultura figurativa ottocentesca milanese, l’evoluzione della città, seguendo passo a passo i mutamenti susseguitesi nel capoluogo lombardo tra gli anni Dieci e i primi anni Ottanta dell’Ottocento.

Francesco Hayez, Imelda de Lambertazzi, 1853, olio su tela, Collezione privata.

Sono stati decenni turbolenti, caratterizzati dalla fine del dominio napoleonico, dal ritorno degli Austriaci, dalle prime rivolte popolari e dalle guerre d’indipendenza che nel 1859 avrebbero portato alla liberazione e alla consegna della città a quella “modernità” della quale è da sempre emblema italiano. Sono gli anni nei quali Milano da “cuore” del Romanticismo italiano (con la nascita del Conciliatore e sotto l’auspicio del pur riservato don Lisander) diventa sede di un’avanguardia per certi versi straordinaria (e ancora da scoprire del tutto, a mio avviso) come la Scapigliatura, che affascinò anche il siciliano Giovanni Verga, per un po’ milanese d’adozione.

Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874-1878 ca., olio su tela. Collezione privata.

Sono gli anni nei quali si passa dalla pittura vedutistica di Giovanni Migliara, Angelo Inganni (bellissima una sua Nevicata) e Carlo Canella, a quella sublime di Francesco Hayez, a quella patriottica e “garibaldina” dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno (come non commuoversi davanti alla La fidanzata del garibaldino, che ha appesa al muro una copia del Bacio di Hayez e il busto di Garibaldi in una nicchia?) al verismo impressionistico di Mose Bianchi o Federico Faruffini, alle meravigliose (e talora inquietanti) tele degli scapigliati Tranquillo Cremona (tra queste la poetica In ascolto), Daniele Ranzoni, Luigi Conconi.

Gerolamo Induno, La fidanzata del garibaldino, 1871, olio su tela. Collezione privata.

Come al solito esprimo le mie preferenze, e stavolta una sola. Se il Genio della lampada mi consentisse di fare materializzare in casa mia uno dei quadri in mostra sceglierei il dipinto di Mosè Bianchi Uscita di chiesa (1870), dal taglio e modernissimo e della luminosità sorprendente; farebbe da contrasto con il più scuro San Gerolamo di Caravaggio del Museo di Monserrat, che – ovviamente – il Genio mi aveva già procacciato dalla Gallerie milanesi…

Mosè Bianchi, Uscita di chiesa, 1870, olio su tela. Collezione privata.

Ma ora è meglio finirla qui, prima che – a causa di queste mie fantasie – mi venga inibita la visita alle mostre prossime future, che invece voglio continuare a raccontare ai lettori de «La ricerca».

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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