Non entro nel merito dei tecnicismi e delle difficoltà del passo, il quale è sicuramente impegnativo e di una lunghezza (17 righe) che – personalmente – ritengo inadeguata al lavoro lessicalmente e stilisticamente accurato che si dovrebbe richiedere all’Esame di Stato. Io sto lavorando in una Commissione di Liceo Artistico, e non ho visto gli studenti all’opera su questa prova; dai Licei Classici mi giungono però voci molto preoccupate su quegli elaborati che per ora giacciono sigillati nelle buste…
Comunque sia, la rete offre commenti grammaticali ben più dotti di quelli che potrei proporre io in questa sede.
Quello che vorrei invece provare a fare è una breve riflessione sull’amicizia nel mondo classico, argomento bellissimo, al quale ho personalmente dedicato larga parte della mia vita di studio.
Ricordo allora come i più attenti teorici di questo legame nel mondo greco (Aristotele) e romano (Cicerone) si sforzino di non disgiungere mai l’aspetto intimo, privato (gli antropologi dicono “caldo”) dell’amicizia – che pure esiste – da quello pubblico, massime politico. Sì, perché Aristotele (come i filosofi dello stoicismo di mezzo) e Cicerone sognano uno Stato fatto “di amici” e retto “da amici”, persone cioè che ritengono le relazioni interpersonali il modo più alto per realizzare le virtù e il senso di giustizia di cui sono permeate. L’uomo non è dunque solo quell’animale politico di cui lo stesso Aristotele parla, ma qualcosa di più: è uno che trova nel prossimo una specie di “altro sé”, e che sa che da solo – come invece credevano gli epicurei – non ce la può fare.
Certamente il mondo classico non arriva all’idea cristiana di caritas, e cioè di donazione gratuita della propria affezione e delle proprie cure anche a chi nostro amico non è. Infatti la reciprocità, la biunivocità del rapporto è fondamento irrinunciabile dell’amicizia antica. Questo legame implica dunque una costante e rigorosa responsabilità da parte di tutti i suoi contraenti, che devono agire fattivamente per il bene reciproco e non limitarsi a una generica benevolenza; ed esso può durare solo se gli uomini vincolati in amicizia ne riconoscono l’alto valore etico e le nobili finalità. Finalità, come si anticipava, private e pubbliche nello stesso tempo.
D’altronde non è forse vero che i sociologi moderni (ad es. B. Niedelmann, Enciclopedia delle Scienze Sociali, I, Roma 1991, s.v. Amicitia, pp.162-172) hanno, ossimoricamente, definito l’amicizia un “sentimento sociale”?
E allora, che dire ai nostri studenti? Di riflettere bene su questo testo, e – se possibile – collegarlo a qualcuna delle suggestioni contenute nelle tracce della Prima prova di ieri. Pensare a un mondo, o almeno uno Stato, una città o – perché no? – una classe di “amici” non significa ipotizzare uno scambio virtuale quanto anonimo di “amicizie” su Facebook, ma nemmeno il reclutamento di persone in carne e ossa solo per uscire a cena o andare in vacanza. Significa credere che non esiste vera relazione con gli altri senza assunzione di responsabilità, verso l’amico ma anche verso il resto della comunità, contesto nel quale – dice Aristotele – quelli che sono nel fiore degli anni [devono] compiere azioni (moralmente) belle; e parimenti persuadere l’altro (cioè l’amico) dell’importanza di questo, a costo di dovergli dire, sgradevolmente, “altrimenti non sono più tuo amico”.
Dunque l’amicizia non è solo il temporaneo superamento della solitudine (di cui parlava la traccia B1), ma implica pure l’idea che una legittima “selezione” nei rapporti umani non possa avvenire sulla base di discriminazioni (traccia A; traccia D), ma unicamente per ragioni di carattere etico. Solo così potremo mettere in pratica e forse ampliare la frase di derivazione omerica contenuta nella versione, nella speranza che non solo due che marciano insieme sono più forti nel pensare e nell’agire, ma che ai quei due si aggiungano altri due, altri due, e altri ancora…
Il filosofo di Stagira aveva inoltre scritto nella Politica che chi, confidando nella propria autosufficienza, si esclude dai rapporti comunitari (e dunque anche da quelli amicali) o è bestia, o è dio. Mi piacerebbe davvero che i nostri giovani crescessero liberi dalla grettezza della prima condizione, o dal delirio di onnipotenza della seconda. Cosa, infatti, più del solidale e fattivo affetto di un amico può ingentilire i nostri animi? E cosa, più di una sua sincera e disinteressata critica, può mettere in discussione le nostre vanitose certezze?
P.S. 1: volevo scrivere poco e in modo abbastanza leggero, e ne è venuto fuori un testo di un moralismo forse un po’ troppo serioso: starò davvero diventando vecchio?
P.S. 2: non voglio ripetermi, ma… ve lo immaginate questo passo di Aristotele, un pochino ridotto (magari con una parte in greco, da tradurre, e una parte in italiano), accompagnato da alcune domande che richiedano una riflessione mirata e non generica sul tema che contiene? Davvero non sarebbe stata una soluzione “buonista” (come qualcuno pensa) per accorciare la versione, ma uno splendido test di “metabolizzazione” di cinque anni di studi classici! Sperare non costa niente, per le prove dei prossimi anni…
P.S. 3: per chi (colleghi e studenti) volesse, in vista degli orali, saperne di più sull’amicizia antica, suggerisco qualche buona lettura relativa sia al mondo greco, sia a quello romano:
J. Cl. Fraisse, Philia. La notion d’amitié dans la philosophie antique, Paris 1974;
L. Pizzolato, L’idea di amicitia nel mondo antico classico e orientale, Torino 1993;
M. Reali, Il contributo dell’epigrafia latina allo studio dell ‘amicitia: il caso della Cisalpina, Firenze 1998; http://www.studiumanistici.unimi.it/files/_ITA_/Filarete/176.pdf
M. Peachin (ed.), Aspects of friendship in the graeco-roman world, Portsmouth, Rhode Island, 2001;
K. Mustakallio, C. Krötzl (edd.), De amicitia. Friendship and Social Networks in Antiquity and the Middle Ages, Acta Instituti Romani Finlandiae 36, Roma 2010;
C.W. Williams, Reading Roman Friendship, Cambridge 2012;
R. Raccanelli, L. Beltrami, Dono e amicizia, in M. Bettini, W. E. Short (curr.), Con i Romani. Un’antropologia della cultura antica, Bologna 2014 pp. 187-214.