Le isole del mito e della storia antica
Se infatti menzioniamo Delo, Naxos, Paros, Santorini, Milos, Serifos, Syros, Creta, Rodi, Kos, Samo, Lesbo, Lemno, di cosa staremo mai parlando? Di miti ancestrali? Ovviamente sì, perché a Delo nacquero Apollo e Artemide, a Naxos Teseo abbandonò Arianna, a Serifos Perseo uccise Medusa, a Creta Minosse fece costruire il Labirinto ecc. Di storia antica? Senz’altro. Chi infatti non ricorda l’esplosione del vulcano di Santorini, le gesta del tiranno Policrate di Samo, le pregiate cave di marmo di Paros, le tormentate lotte politiche che videro coinvolti a Lesbo i poeti Alceo e Saffo, la spietata rappresaglia degli Ateniesi contro gli alleati infedeli di Milos ecc.? Di arte e archeologia? Ça va sans dire, dal momento che ognuna di queste isole vantava (e vanta) un patrimonio monumentale senza pari, a cominciare dal distrutto Colosso di Rodi, per giungere ai ben visibili santuari di Apollo a Delo, Asclepio a Kos, Hera a Samo o ai palazzi minoici di Creta più o meno ricostruiti. E potremmo andare avanti a lungo con simili elenchi…
La “confusione”, però – se si parla di Grecia –, ha illustri precedenti, perché Henry Miller, nel suo Colosso di Marussi, affermava che le lettere da Corfù del suo amico Lawrence Durrell «producevano una certa confusione, per via che sogno e realtà, storia e mitologia, vi si mescolavano sapientemente». Lasciamoci allora “confondere” dal volume che sto recensendo, anche perché questo naufragar tra le acque dell’Egeo diventa leopardianamente dolce: infatti Ieranò, raffinato grecista, ci guida per mano in uno straordinario viaggio nel mondo classico con l’aiuto di Omero, Erodoto, Tucidide, Archiloco… e di altri, numerosi, autori antichi.
- Paros, il villaggio di Naoussa.
- Veduta di Serifos.
- Veduta di Santorini.
- Il giovane Patrick Fermor.
Una Grecia vissuta davvero
Ma non si deve pensare al solito libro di mitologia o storia antica, perché l’autore aggiunge molto altro a quanto già detto, in primis un’attenzione minuta alla descrizione di luoghi e cose. Giorgio Ieranò non è solo uno studioso, ma è anche uno che queste isole le conosce benissimo: e chi scrive può testimoniarlo, per averlo più volte – e per puro caso – incontrato personalmente in qualche remoto villaggio, e avere avuto il privilegio di chiacchierare con lui di “varia umanità” davanti a un caffè greco o a un bicchiere di retsina gelato.
D’altronde, chi è solito bazzicare la Grecia insulare sa che è davvero così, e che, mescolate a quelle dei turisti occasionali, si rivedono ogni tanto le stesse facce coi capelli (ahimè…) sempre più grigi o le stesse famiglie con figli sempre più grandi, con le quali nel tempo si instaura un tacito e rassicurante rapporto di complicità. Immodestamente ci piace credere, insomma, di essere un po’ i “custodi” dell’Arcipelago e delle sue memorie, alcune delle quali – in passato – ho già affidato alla benevolenza dei lettori della Ricerca (ove ho scritto di Astypalea, Naxos, Folegandros e Sikinos, Sifnos, Creta, Karpathos).
Memorie post-classiche
A proposito di Arcipelago: Ieranò ricorda come questo termine derivi da una storpiatura del greco, e cita a proposito la voce Archipel dell’Encyclopédie di Diderot-D’Alembert, che la fa risalire o a «Aegeo-pelagus, Mar Egeo. […] Ma altri la fanno derivare da arche (principe) e pelagos (mare)». Dunque è ancora una volta il mondo greco ad avere regalato alla posterità – pur se in forma mediata – una parola usata universalmente anche per indicare qualcosa che greco non è. La nascita di questa espressione è certamente d’epoca medievale, se è vero che l’erudito fiorentino Cristoforo Buondelmonti nel 1420 intitolava Liber insularum Archipelagi un suo manoscritto, che Ieranò più e più volte cita, insieme ad altre fonti medievali, moderne e contemporanee: si arriva infatti – solo per ricordarne qualcuno – a poeti come Shelley, Byron, Keats, Kavafis e Seferis, a romanzieri come Katzantakis, a narratori-viaggiatori come Durrell o Fermor.
- La Portara di Naxos.
- Kos, rovine romane e moschea turca.
- Il santuario di Asclepio a Kos.
È questo il bello di questo libro: la dotta chiacchierata non si ferma al mondo classico, ma si parla dei Bizantini, dei Veneziani (padroni dell’Egeo dopo la IV crociata del 1204), dei Cavalieri di Rodi, dei Turchi e delle sanguinose lotte che portarono all’indipendenza greca, che però nelle isole ebbe tempi diversi da quella continentale, ottenuta con la guerra del 1821-1832. E si parla anche – diffusamente – della dominazione italiana del Dodecaneso, e di quel governatore di nome Cesare Maria De Vecchi tanto ottusamente fascista che perfino Galeazzo Ciano lo definì un «intrepido buffone»: sotto di lui Rodi avrebbe dovuto diventare una moderna città littoria, abbandonando il precedente status di «misero borgo levantino».
- Abergo delle Rose, Rodi.
- Architettura fascista a Rodi, l’ex Albergo delle Rose.
- La Venere di Milo, al Louvre.
- L’isola di Creta in una stampa seicentesca.
Difficile, dunque, trovare pagine più interessanti di altre, anche se sono gustosissime quelle sulle risse (vere e proprie battaglie) tra Turchi e Francesi per il possesso della Venere di Milo, trovata nel 1820 (p. 120 ss.), o sulle smanie dei Veneziani di trasferire a Creta le usanze del Carnevale lagunare (p. 171 ss.). Più drammatiche quelle sulla sanguinosa battaglia di Creta nella Seconda guerra mondiale (p. 190 ss.), che vide protagonista lo stesso Patrick Fermor, così come quelle sulle pulizie etniche di primo Novecento che portarono agli “scambi” di popolazione tra Greci dell’Anatolia e Turchi delle isole egee.
Lesbo, 1922: una lezione di solidarietà
A questo proposito, non posso non citare una bellissima testimonianza, tratta dal «National Geographic Magazine» del 1925 e relativa al trasferimento forzato dei musulmani da Mitilene di Lesbo nel 1922, in cui si parla del doloroso distacco di questi dai loro amici Greci «che distribuivano pasti d’addio tra i loro vicini di casa costretti all’esilio, e poi li accompagnavano fino alla banchina. Cristiani e maomettani, che per una vita avevano seminato i campi gli uni accanto agli altri e avevano condiviso il gioco del backgammon nei caffè dei villaggi, si abbracciavano e si dicevano addio tra le lacrime» (p. 242).
- Il mare che circonda l’arcipelago.
La cito con commozione perché il Mediterraneo, e anche quello che circonda l’Arcipelago, sarà sì un mare che nei secoli si è macchiato – e non poco – di sangue umano, ma è anche stato un potente mezzo di coesione tra popoli e culture diverse. L’auspicio è che in questi tempi (grami) l’immagine del porto di Mitilene, dove l’umanità e la solidarietà superano ogni divisione politica e religiosa, possa insegnarci qualcosa. Perché oggi Lesbo è sovente meta di disperati migranti, al pari della nostra Lampedusa, e perché la Grecia (ma anche l’Italia o ogni altro Paese marittimo) non è quella ideale e snobistica che immaginava il filosofo Martin Heidegger, il quale, durante una crociera nell’Egeo, non volle mai scendere dalla nave: è quella dai cui porti – aperti e ospitali – si parte e si arriva incontrando gente sempre diversa, come scriveva Costantino Kavafis augurando al suo interlocutore: «E siano tanti i mattini d’estate / che ti vedano entrare (e con che gioia / allegra!) in porti sconosciuti prima». (Itaca, trad. F. M. Pontani).
Molto più modestamente, chi scrive augura ai propri lettori di lasciarsi trasportare dalla profonda cultura e dalla piacevole umanità di questo bellissimo libro: un must in valigia – credo – per chi voglia (come il sottoscritto) trascorrere l’ennesima estate in terra ellenica, dove anche il turismo è diventato, nel bene e nel male, una sorta di mito. Uno dei «miti d’oggi», avrebbe detto il grande Roland Barthes.
P.s.1: del medesimo autore, Giorgio Ieranò, ho recensito su «La ricerca» altri libri, l’ultimo dei quali è: Demoni, mostri, prodigi. L’irrazionale e il fantastico nel mondo antico, Sonzogno, Venezia 2017.
P.s.2: delle 13 isole protagoniste del libro, chi scrive ne ha visitate 11: Lesbo e Lemno mi mancano, e mi riprometto di porre rimedio a questa “mancanza”.