È di pochi mesi fa la notizia dell’UAV equipaggiato con una termocamera e un GPS (Global Positioning System) utilizzato da un archeologo francese per esplorare la zona di Sancergues. L’UAV ha permesso di individuare siti ancora da scavare e ricchi di reperti. Per mezzo di una termocamera è infatti possibile rilevare strutture non ancora portate alla luce, opere idrauliche, gallerie sotterranee.
Gli UAV hanno il vantaggio di poter raggiungere zone particolarmente impervie. In Perù, dove vengono utilizzati anche per controllare le coltivazioni, hanno fornito foto e video di siti archeologici che hanno condotto all’elaborazione di mappe digitali e modelli in 3D. D’altra parte l’utilizzo di questi mezzi serve anche a monitorare il territorio e proteggere i siti da scavi clandestini e predatori.
Altre scoperte archeologiche sono state rese possibili dall’apertura al pubblico, nel 1995, dell’archivio fotografico del progetto CORONA, che raccoglie immagini satellitari dei servizi segreti americani risalenti agli anni Sessanta e Settanta. Il progetto CORONA, ideato in piena guerra fredda, coinvolgeva la CIA, l’Air Force e l’industria privata americana. Si tratta di immagini particolarmente utili per lo studio del territorio, in quanto risalenti a un periodo in cui lo sviluppo economico non aveva ancora trasformato drasticamente il paesaggio. Grazie alle fotografie declassificate del progetto CORONA, un gruppo di archeologi delle Università di Glasgow e di Exeter ha potuto identificare un muro di 60 km che corre dal Danubio al Mar Nero, nell’area dell’attuale Romania, risalente al secondo secolo d.C. e considerato come il sistema di frontiera più orientale costruito nell’Impero romano.
Anche una disciplina del passato come l’archeologia può avvalersi delle più avanzate tecnologie, dagli UAV alle foto satellitari, all’impiego dei raggi cosmici, per progredire nella ricerca e nello studio della nostra storia.