Masters e la storia americana
Il personaggio più citato nell’Antologia di Spoon River (il suo nome ricorre in ben 17 poesie, oltre a quella di cui è protagonista, la n. 104) è l’avido banchiere e imprenditore Thomas Rhodes. Il suo potere non si limita all’economia (è presidente della banca locale, padrone della fabbrica di lattine e di un negozio piuttosto grande, dove lavorano varie persone): Rhodes controlla infatti quasi tutti i giornali locali, è un esponente di spicco della chiesa presbiteriana ed è il leader del partito conservatore – insomma è il classico “pezzo grosso” che, in una realtà come Spoon River, fa letteralmente il bello e il cattivo tempo.
Alla sua figura sono legati numerosi destini, in particolare quello del debole figlio Ralph, protagonista dell’epitaffio n. 131, che dopo essersi lasciato usare dal padre per alcune operazioni illegali, aver provocato il fallimento della banca e fatto andare in carcere un innocente al posto suo conduce una vita da debosciato e finisce suicida; e quelli di numerosi dipendenti, come “Butch” Weldy, che resta cieco per un incidente sul lavoro nella fabbrica di lattine, Clarence Fawcett, che compie un furtarello nel negozio di Rhodes, confessa ingenuamente fidando nella benevolenza del padrone e viene distrutto dai giornali, George Reece, l’innocente impiegato che viene condannato al posto del già ricordato Ralph, Hildrup Tubbs, il politicante che dal fallimento della banca tenta di ricavare un meschino tornaconto personale…
Thomas Rhodes è ispirato a un personaggio reale, Henry Phelps (1837-1924), socio della banca Turner, Phelps and Company, fallita nel 1894. Ma la sua vicenda, nel libro di Masters, assurge a emblema dei mutamenti sociali e culturali che, dopo la Guerra Civile, hanno provocato secondo l’autore una progressiva degenerazione della società americana.
Masters infatti propone ai lettori una lettura della storia statunitense che possiamo schematizzare così: la Dichiarazione di Indipendenza del 1776 costituisce un punto di partenza promettente, ponendo a fondamenta del nuovo Stato quelli che Masters considera valori positivi indiscutibili – libertà, uguaglianza, diritto alla vita e alla ricerca della felicità… Tali valori, com’è ovvio, sono ideali a tendere, ben lontani dall’essere pienamente realizzati – e fino alla metà dell’Ottocento si combattono due concezioni politiche opposte, incarnate rispettivamente dalla coppia Jefferson-Jackson e da quella Hamilton-Adams – difensori dei diritti del popolo e interpreti dei grandi valori americani i primi, sostenitori delle classi abbienti e dei loro interessi, e quindi lontani dallo spirito della Rivoluzione e della Costituzione i secondi. La Guerra Civile, con l’abolizione della schiavitù, costituisce secondo Masters il punto culminante della parabola ideale della storia americana: Lincoln (come già per Whitman) è nell’Antologia l’eroe che attua gli ideali dei Padri Fondatori – ma subito dopo la guerra qualcosa si incrina, e il mondo eroico dei pionieri, di coloro che lavorando con le proprie braccia hanno contribuito all’edificazione del paese e all’attuazione dei suoi principi fondativi, lascia il posto a ipocrisia e affarismo. Le guerre giuste contro gli oppressori inglesi e contro gli schiavisti del Sud diventano guerre di conquista e di imperialismo, come quella delle Filippine (1899-1902) a cui sono dedicati alcuni degli epitaffi più amari della raccolta; i sani valori del Sud diventano cieco tradizionalismo, lo spirito imprenditoriale progressista del New England si corrompe in cinismo e materialismo – e Spoon River, che si trova geograficamente alla confluenza fra questi due mondi, diventa il regno del perfido Thomas Rhodes, un JP Morgan in sedicesimo, un Vanderbilt o un Rockefeller di provincia.
Un personaggio senza biografia
Leggiamo ora il breve epitaffio in cui, dopo essere stato evocato più e più volte dagli altri personaggi, finalmente Thomas Rhodes prende la parola e si presenta ai lettori:
Molto bene, voi liberali,
Navigatori nei regni dell’intelletto,
Esploratori delle vette dell’immaginazione,
Trascinati da correnti imprevedibili a sprofondare in vuoti d’aria,
Voi Margaret Fuller Slack, voi Petit,
Voi Tennessee Claflin Shope –
Con tutta la vostra esibita saggezza
Avete scoperto com’è difficile alla fine
Evitare che l’anima si spezzi in particelle atomiche.
Mentre noi, cercatori di tesori terrestri,
Che accumuliamo e conserviamo l’oro,
Siamo padroni di noi stessi, compatti, in armonia,
Fino all’ultimo.
Si tratta evidentemente di una “risposta” di Rhodes alle accuse che i liberali, gli intellettuali e gli artisti (le tre categorie indicate nei primi tre versi della poesia) gli hanno mosso quand’era in vita. Rhodes cita infatti i nomi di due personaggi già noti a chi abbia letto il libro nell’ordine stabilito dall’autore: Margaret Fuller Slack, una scrittrice mancata, che si è rassegnata a fare la casalinga, e Petit, un poeta fallito, che riconosce la mediocrità dei propri “piccoli versi” incapaci di cogliere la ricchezza e la meravigliosa varietà del mondo reale; e quello di una donna che ancora non abbiamo conosciuto, Tennessee Claflin Shope, che si rivelerà essere una pensatrice religiosa “zimbello del paese”. Tutti costoro sono per Rhodes dei falliti, dei caratteri deboli pronti a lasciarsi trascinare dal minimo soffio di vento, delle persone destinate a “sprofondare in vuoti d’aria”, cioè ad impigliarsi nelle loro questioni astratte, prive di fondamento. Sono persone (i liberali, gli intellettuali, gli artisti) prive di vera identità, secondo Rhodes: le loro anime sono destinate a spaccarsi in una miriade di “particelle atomiche”, di frammenti privi di senso e di valore.
Al contrario, il banchiere-imprenditore rivendica con un misto di risentimento e di tracotanza la propria sicurezza interiore e la propria capacità di imporsi nel mondo, contro astrattezze e debolezze. Nella parte finale del testo, a partire dal v. 10, al “voi” dei versi precedenti si sostituisce il “noi” – noi “cercatori di tesori”, creature “terrestri”, minatori a caccia di oro, “padroni di noi stessi”, sempre “compatti, in armonia”. Quanto i primi sono oggetto del sarcastico disprezzo di Rhodes, tanto i secondi sono oggetto della sua ammirazione.
Naturalmente Rhodes si guarda bene dal parlare del fallimento della sua banca e delle responsabilità del figlio, che ubbidiva ai suoi ordini, tanto meno del suicidio di quest’ultimo – evita cioè di raccontare gli avvenimenti fondamentali della sua vita, di cui il lettore è stato informato, o lo sarà, dagli altri personaggi della raccolta. Anzi, a ben guardare Rhodes non racconta affatto: rispetto a quasi tutti i personaggi che l’hanno preceduto, non può mancare di colpirci la vaghezza del suo discorso, la sua tendenza a evitare la concretezza dell’autobiografia e a procedere invece per concetti e schemi teorici, meglio se affidati a espressioni metaforiche (le “correnti imprevedibili”, i “vuoti d’aria”, le “particelle atomiche”, e poi i “tesori terrestri” ecc.).
Questo silenzio, che potrebbe apparire come un difetto nella rappresentazione poetica, è invece un avviso al lettore, un invito a riconoscere che il personaggio si caratterizza proprio per questa assenza, questo vuoto – tanto più notevole in quanto accusa i suoi avversari di “ariosità” e parla di sé in termini “terragni”, di concretezza materiale. Ma proprio queste metafore lasciano trasparire ben altra opposizione che quella intesa da Rhodes: più che agli inquietanti folletti delle fiabe e agli avidi nani della mitologia nordica (a cui pure alludono i vv. 10-11) la contrapposizione fra terra e aria rimanda a quella fra il diabolico Calibano e l’angelico Ariel della Tempesta di Shakespeare.
Compattezza e armonia si confermano allora come vane illusioni: quello che per Rhodes è motivo di orgogliosa autoincensazione, e cioè l’inamovibile certezza “fino all’ultimo” della propria solidità interiore, diventa il sintomo della sua cecità, della sua completa mancanza di autocoscienza: senza rendersene conto, nel momento stesso in cui si presenta come vincente sul piano economico-sociale, il personaggio stesso si condanna sul piano etico.
Un poeta antiamericano?
L’epitaffio di Thomas Rhodes non è certo uno dei più celebri dell’Antologia, e a una lettura isolata rischia di deludere le nostre aspettative: dopo tante premesse, diciamolo pure, ci si aspetterebbe forse qualcosa di più forte. Ma l’Antologia, pur ammettendo come qualunque libro di poesie una lettura soggettivamente disordinata, è stato concepito dal suo autore come una sorta di romanzo, in cui i vari elementi acquistano il loro giusto valore solo all’interno di un discorso complessivo – e l’epitaffio di Rhodes “deve” essere letto dopo i molti che lo accusano e prima degli altri (uno fra tutti: quello del figlio Ralph) che mostreranno le ulteriori conseguenze negative della sua inscalfibile compattezza umana e della sua sbandierata armonia interiore.
L’Antologia di Spoon River è certo un’opera militante, di denuncia della ipocrisia, del perbenismo e della meschinità che sembrano governare le vite degli abitanti dell’immaginaria cittadina del Midwest. Ma la missione di poeta civile che Masters si attribuisce, e che emerge a poco a poco, come se all’autore stesso si chiarisse nel corso di una quête che raggiunge il suo obiettivo solo nella parte finale dell’opera, è qualcosa di più complesso e radicale: attraverso la sua galleria di villains, tra cui giganteggia l’onnipresente Thomas Rhodes, Master non si limita a descrivere una serie di personaggi negativi, ma tenta di minare il mito americano che era venuto delineandosi alla fine dell’Ottocento, quello del self-made-man, dell’imprenditore, del finanziere, in una parola del successo materiale, e che a suo avviso contraddiceva il mito originario, quello del pioniere, del semplice lavoratore, che con la forza delle sue braccia dissoda il terreno vergine/selvaggio e con sua vitalità e il suo impegno quotidiano fa avanzare una civiltà fatta di rapporti umani positivi, di affetti rispettosi. Sono queste le caratteristiche dei personaggi positivi dell’Antologia, che Masters propone al lettore come modelli esemplari: Rebecca Wasson, prima di tutti, e poi Lucinda Matlock, Hannah Armstrong, Lydia Humphrey – quasi sempre si tratta di donne, tema che meriterebbe un approfondimento a parte – persone animate da una visione religiosa dell’esistenza, l’esatto contrario del cieco materialismo di Rhodes.
Prima di concludere questo esercizio di lettura vale dunque la pena di osservare che non è a causa di un malinteso che Masters, nelle storie della poesia americana del Novecento scritte negli Stati Uniti, sia quasi completamente trascurato; o che in molte scuole superiori USA la commissione che decide come utilizzare i fondi disponibili abbia posto l’Antologia di Spoon River tra i libri da non acquistare, in modo che non capiti nemmeno per caso fra le mani di qualche studente curioso: non perché si narrino storie di sesso (anche mercenario) e di violenza (spesso familiare), o perché la maggior parte dei religiosi siano caratterizzati da una disgustosa ipocrisia, e neanche perché si alluda spesso all’abuso di alcol – ma perché l’Antologia è un libro sottilmente (e forse per questo molto pericolosamente) antiamericano, se con ciò si intende appunto un libro che sfronda gli allori dei miti che ancor oggi vengono inculcati alle giovani generazioni, e svela di che lagrime grondino e di che sangue.
(continua)
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