La Scapigliatura (specialmente quella milanese) è uno di quei fenomeni artistici e letterari che sempre più si svelano -agli occhi di noi docenti – come ricchi di spunti interdisciplinari: letteratura, musica, pittura, infatti, si mescolano in quel caleidoscopico tourbillon artistico e umano costituito da Tarchetti, Dossi, Praga, Cremona, Conconi, i Boito etc…
Forse meno noto ai più è però il fatto che Carlo Dossi (1849-1910), oggi ritenuto il più “sperimentale” dei letterati scapigliati, abbia avuto una passione sfrenata per l’archeologia e l’antichità, anche se la “sua” Scapigliatura combatteva il classicismo, il passatismo…
Ma Dossi fu anticonformista in tutti i sensi, perché – come vedremo – seppe trovare il nuovo, l’originale, il bizzarro anche nell’antico; e anche perché da giovane nobile bohémien si trasformò col tempo in politico e diplomatico di valore (di area politica “crispina”), con incarichi di responsabilità anche ad Atene e Bogotà.
Ma torniamo all’antico. L’autore dell’Altrieri, della Desinenza in A, delle Note Azzurre, collezionò “anticaglie” per tutta la vita, soprattutto di due tipi. Anzitutto i cocci e i bolli laterizi romani (oltre 30.000 pezzi!), le cui spesso illeggibili stampigliature cercò instancabilmente di decifrare, rovinandosi – e non poco – la vista. E inoltre le iscrizioni (latine o greche di età romana), fatte comprare a Roma da amici fidati, con le quali ornò la sua villa di Corbetta, murandole là tra il 1893 e il 1898; dovevano però essere oggetti poco appariscenti, meglio se rotti, e comunque di modesta fattura.
Egli infatti si emozionava davanti ai rossi coccetti (i bolli laterizi) e le epigrafi frammentarie perché – lo apprendiamo proprio dalle Note Azzurre 4824 e passim – intendeva stendere (anche se non lo scrisse mai) un curiosissimo ed interessante libretto di archeologia minuta, il cui titolo sarebbe stato La ghiaja di Roma, in cui si riprometteva di dare dignità a bronzi, stucchi, marmi, avori, ferri, ecc. Detriti, frammenti di antica civiltà, la storica ghiaja, la ghiaja sagomata di Roma e quindi di studiare la storia di Roma attraverso la sua ghiaja. Il tutto con una dichiarata dimensione polemica verso direttori di musei e restauratori, accusati di avere un approccio del tutto “estetico” all’antichità, mentre per lui – erudito, collezionista, archeologo sui generis – il mondo antico si delineava soprattutto attraverso oggetti volutamente “brutti” e rovinati: siamo a metà tra lo scientismo positivista e il frammentismo decadente, e dunque in mezzo a quel guado (Realismo o Decadentismo?) nel quale sta da tempo la valutazione critica sulla nostra Scapigliatura.
Io ho avuto il privilegio, ormai molti anni fa, di studiare e pubblicare (in Epigraphica, 66, 1994, pp. 101-127) la collezione epigrafica della villa di Corbetta (MI), che è ancora in situ. Non è questa la sede per parlare di quei frammenti di antica civiltà, eppure l’unica iscrizione intera e leggibile di quella raccolta merita una particolare – e conclusiva – riflessione.
Si tratta di CIL VI, 33898, da Roma, una semplice lastra funeraria di una schiava, il cui testo è: Euphrosyne / pia / docta novem Musis / philosopha / v(ixit) ann(os) (viginti).
Lo studioso moderno vi riscontra soprattutto l’unica attestazione epigrafica del termine femminile philosopha (Oxford Latin Dictionary, p. 1148), forse appellativo scherzoso dato alla giovane serva morta ventenne: il resto è routine. Non fu così per la fervida fantasia dossiana, che, partendo da questo documento, costruì un’intensa “commedia umana”; una vicenda tale da ipotizzare la stesura ad hoc di un Poemetto archeologico (anche questo mai scritto). In Note Azzurre, 5750, scrive infatti con un stile fratto e schematico quello che potrebbe essere il “canovaccio” del poemetto: V. EUFROSYNE PIA – dotta nelle nove muse e filosofa – La istitutrice liberta morta a 25 anni. I suoi patimenti ignorati. I bambini romani dovevano essere stati crudeli come i nostri, come tutti i bambini.
Noi non sappiamo se Euphrosyne (nella realtà serva, non liberta, e morta a 20 anni, non a 25) sia o meno stata un’educatrice in qualche ricca casa romana; sappiamo però che ipotizzarne una morte prematura per i patimenti che derivavano dalla crudeltà dei suoi allievi significa farne – da parte del Dossi – un personaggio davvero “scapigliato”, non troppo diverso dal cadavere dell’infelice protagonista della Lezione di anatomia di Arrigo Boito, o di tante figure femminili dolenti espresse dagli scrittori del tempo. Insomma, l’interesse per l’antico del Nostro non fu antitetico alla sua ricerca letteraria: le sue furono pertanto – diciamolo con una specie di ossimoro… – “antichità scapigliate”!