L’alchimista degli anni Sessanta
Ma perché – ci si potrebbe chiedere – la definizione di alchimista per l’indiscusso padre della Pop art americana (e dunque mondiale)? Perché come un alchimista egli amava la trasformazione (e sovente la mescolanza) di materiali, colori, immagini per ottenere qualcosa d’altro, di più alto e profondo. Tale condizione è stata così sintetizzata dal curatore della mostra Maurizio Vanni:
«Warhol era un artista che non si accontentava di ciò che veniva definita realtà, cercava una costante trasmutazione della materia nei suoi passaggi dalla fotografia iniziale alla seta (attraverso il processo serigrafico) verso un’ulteriore immagine su tela o su carta così simile, ma al tempo stesso, così difforme dalla precedente. Nelle serie dell’artista americano, la realtà veniva trasformata, fatta rinascere e virare verso qualcosa in cui tutti potevano riconoscersi: l’oggetto quotidiano che alludeva a qualcosa di altro rispetto alla sua funzione consueta pur rimanendo integro e riconoscibile».
Le sezioni della mostra
Chi scrive ha la fortuna di avere visitato questa mostra (che propone 140 opere, alcune delle quali esposte per la prima volta) il giorno dell’inaugurazione sotto la guida dello stesso Vanni. È stato proprio il curatore, nonostante le numerose informazioni e interessanti spiegazioni che ci ha fornito, a ripetere costantemente che – prima di tutto – le opere di Warhol vanno viste, ammirate, gustate; e che tutti le possono (anzi le devono) capire anche senza troppe parole di commento: così avrebbe infatti gradito il grande artista, che voleva che l’arte diventasse qualcosa alla portata di tutti. Se no che razza di Pop art sarebbe mai stata la sua?
Non sarò certo io, allora, a ingabbiare la visita dei nostri lettori in percorsi troppo rigidi; anche perché i settori in cui la mostra è divisa sono essi stessi una sorta di chiave di lettura dell’eclettica personalità del Nostro: si passa infatti da Il consumismo con gli oggetti del quotidiano e della serialità a Miti oltre il tempo, ad Amore per la musica, a Personaggi celebri, senza farsi mancare neppure una sezione sulla Rivoluzione sessuale.
Marilyn, Mao e altri miti
Insomma, lo spazio espositivo monzese ci proietta nella New York degli anni Sessanta che videro Warhol e la sua Factory diventare un punto di riferimento per tutti gli amanti dell’arte, della musica, del cinema, della novità e – perché no? – anche della trasgressione. Ma anche nel clima dei successivi anni Settanta e Ottanta, quando l’artista divenne una vera e propria star, conteso per i suoi ritratti dai facoltosi membri del jet set.
Direi che a Monza non manca nulla, a cominciare dalle meravigliose serie di Marilyn, prodotte in varie fasi della sua vita artistica: attraverso queste egli ha consegnato la bellissima attrice morta prematuramente alla perennità del mito. Un mito non statico e immobile (così come noi pensiamo quando pronunciamo la parola “mito) bensì dinamico, dai colori e dalle sfumature diverse a seconda delle differenti rese serigrafiche: a mio avviso siamo davvero davanti – se ripensiamo alle parole del geniale Walter Benjamin sulla “riproducibilità” – alla quintessenza dell’arte contemporanea. Un’arte che diventa un fenomeno di massa, dunque, e che trasforma in pluri-colorate icone leader politici come Mao Zedong, artisti come Liza Minnelli, campioni come Muhammad Alì. Un’arte che si appropria anche di ambiti che solitamente non le sono propri: chi avrebbe immaginato, infatti, di far diventare soggetto artistico le immagini dell’assassinio del presidente Kennedy, al pari delle forme del barattolo della zuppa Campbell o del detersivo Brillo? Warhol, con grande coraggio, l’ha fatto, e a noi pare quasi ovvio: non così lo era allora.
Tra pittura, musica e rivoluzione sessuale
Si parlava prima di “alchimista”, e senza dubbio questo gusto per la mescolanza – come ho già accennato – lo portò a superare la pittura e la grafica e a nutrire una smisurata passione per la musica, fosse essa rock, jazz, pop, lirica. Egli fu, tra l’altro, produttore, come nel caso dei Velvet Underground di Lou Reed e Nico, o creatore di copertine, come quelle di artisti quali Diana Ross, i Rolling Stones, John Lennon, Aretha Franklin, Miguel Bosé, Loredana Bertè e altri. Di tutto questo vi è in mostra ampia documentazione.
Ma un vero alchimista rimescola anche le consuetudini sociali e morali; così Warhol nel 1975, attraverso la famosa serie Ladies and Gentleman, immortala vari personaggi in pose e pettinature eccentriche e singolari, icone di una rivoluzione sessuale che in quegli anni cominciava a manifestarsi.
Miti di ieri, miti di oggi
Non posso non concludere – come spesso faccio – con una brevissima nota personale, ricordando quanto siano belli e fantasiosi i fiori (Flowers) che Warhol ha riprodotto in diversissime colorazioni. Sì, i fiori mi piacciono molto (quasi quanto le Marilyn) e l’idea di collocare una sorta di edicola da questi decorata proprio nella “Rotonda” i cui soffitti sono affrescati da Andrea Appiani con scene mitologiche (le vicende di Amore e Psiche) mi è parsa davvero suggestiva, e in fin dei conti molto Pop; prendendo spunto dal celebre libro di Roland Barthes potremmo parlare di una contaminazione tra miti di ieri e miti di oggi. Tale contaminazione al nostro alchimista sarebbe piaciuta, e – se fosse ancora vivo – lo vedremmo ormai ultranovantenne aggirarsi compiaciuto (con tanto di parrucca silver) da queste parti. Chissà quali personaggi o oggetti del nostro millennio riterrebbe degni di essere consegnati alla posterità? La butto lì: Donald Trump proposto con capelli di vario colore, oppure Cristiano Ronaldo riprodotto con tutte le maglie calcistiche possibili… Ma, forse, vedendo che già figure come queste (e altre, ovviamente, compresi gli onnipresenti influencer di casa nostra, à la Ferragnez) campeggiano ovunque, e navigano pluri-riprodotte nel mare magnum del web, vere e proprie icone parlanti e twittanti, potrebbe ritenere inutile cimentarsi di nuovo: quel percorso che lui aveva iniziato è poi proseguito da sé.
Oltre che alchimista, dunque, Warhol era anche profeta.
Nota
1. La mostra è stata prodotta dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e dall’Associazione Culturale Spirale D’Idee in collaborazione con l’Associazione Culturale Metamorfosi, col patrocinio del Comune di Monza e della Regione Lombardia, con la partecipazione nel catalogo realizzato da Silvana Editoriale della The Andy Warhol Art Works Foundation for the Visual Arts.