Un’impresa ambiziosa e impegnativa: un testo complesso, che racconta il dramma personale e familiare di un uomo sullo sfondo della contraddittoria società americana degli anni ‘60. Oltre al grande affresco sociale, Roth offre lo spunto per una riflessione più intimista sul rapporto generazionale tra padri e figli, che va oltre il periodo storico dell’America del boom economico alle prese con i movimenti giovanili di contestazione.
Il film comincia con una riunione di vecchi compagni di liceo. Per Nathan, giornalista di successo, è l’occasione per venire a sapere della morte di Seymour Levov, detto lo svedese. Seymour era il vero idolo della scuola: bello, simpatico e atleta imbattibile in ogni disciplina. Nathan è incredulo, e ripercorre attraverso i ricordi l’esistenza di un uomo che sembrava destinato solo a una splendida vita di successi: buono e ricco, aveva sposato la bellissima Dawn, ex Miss New Jersey. La perfetta l’incarnazione del sogno americano, coronato dalla nascita di Mary, figlia tanto attesa quanto amata. Ma Mary mostra fin da bambina la sua istintiva incongruenza con l’armoniosa perfezione che la circonda. Il suo anticonformismo e il suo carattere ribelle mettono in crisi Seymour e Dawn, così immersi dentro il sistema di valori dominante da non riuscire a vedere il volto mostruoso del conformismo perbenista dell’America del dopoguerra.
Prendendo spunto dal racconto dei conflitti familiari, il film attraversa alcuni decenni della vita sociale americana, cercando di coniugare, con esiti alterni, le vicende private con la Storia. La regia di Ewan McGregor si perde però nelle pieghe del racconto e cade spesso in semplificazioni e banali schematizzazioni. Il film non trova una cifra stilistica capace di fornire un’impronta originale, sciogliendosi in modo anonimo tra le pagine di Roth, senza riuscire a restituirne la profondità e la complessità. La scansione temporale tra racconto e ricordi non convince, e la costruzione narrativa ondeggia tra il punto di vista di Nathan e una trattazione più asettica e impersonale, senza trovare una strada espressiva precisa e coerente. L’impressione generale è quella di un grande affresco troppo ricco di elementi e senza una visione d’insieme che ne suggerisca una lettura visiva e semantica.
Confrontarsi con un romanzo non è mai facile, soprattutto se è impegnativo come quello di Roth. Bisogna avere il coraggio di fare del film un’opera “altra”, portatrice di un senso autonomo, di plasmare con la propria poetica il testo. Se tradurre è inevitabilmente un po’ tradire, allora vale la pena farlo fino in fondo, ma questo presuppone una statura autoriale che evidentemente Ewan McGregor non ha ancora raggiunto come regista. Per questo il film non convince, lasciando alla fine la sensazione deludente di un tentativo irrisolto e velleitario.
American Pastoral
Regia: Ewan McGregor
Con: Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning, David Strathairn, Uzo Aduba, Valorie Curry, Rupert Evans, Molly Parker, Peter Riegert, Mark Hildreth, Emily Peachey, Hannah Nordberg, Ocean James, David Whalen
Durata: 126 min.
Produzone: USA 2016