Alice Cascherina

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L’anno dell’anniversario è passato: un ottimo motivo per celebrare il personaggio di Alice. Pubblichiamo un testo di Vanessa Roghi e Pino Boero tratto da “Rodari A-Z” (Electa, 2021), su gentile concessione dell’editore. 

 

Alice Cascherina è un altro degli straordinari personaggi di Gianni Rodari: fa la sua comparsa su «Il Corriere dei Piccoli» all’inizio degli anni Sessanta, trova spazio in due storie di Favole al telefono ma resta in gran parte nascosto fra le carte inedite dello scrittore: le sue avventure complete compaiono per la prima volta in volume nel 1995 illustrate da Altan e subito riscuotono grande successo. Nell’Alice di Rodari confluiscono tante diverse suggestioni: il famoso personaggio di Carroll che precipita in «un pozzo molto profondo» diventa la bimba che grazie alla piccolissima statura, finisce nei posti più strani ma sempre domestici e conosciuti, un cassetto, il taschino della giacca del papà. Si esercita allora in quel gioco dello straniamento che tanto piace a Rodari: gli oggetti consueti diventano nuovi, e il viaggio intorno a casa una ipotesi fantastica da indagare. Tanto più fantastica è la premessa tanto più realistica deve essere l’esecuzione della fiaba. E infatti la piccolissima statura appartiene a personaggi delle fiabe popolari che magari riuscivano a cullarsi in gusci di noce.

Il cognome Cascherina, infine, nasce dalla simpatica figura del romanesco “cascherino” (il ragazzo del fornaio che a Roma portava in bicicletta nella cesta il pane nelle case) presente in diversi testi dello scrittore fra cui pochi, ma esemplari versi:

Cadon le stelle dal firmamento
cadon le foglie portate dal vento
cade l’asta del tranvai
ma il cascherino non casca mai.

Per Rodari l’Alice di Carroll è un «capolavoro» della letteratura inglese e un importante punto di riferimento stilistico: è un romanzo che «si nutre di «nursery rhymes» almeno quanto Pinocchio si nutre di fiabe popolari toscane». E per lo scrittore questa raccolta che si «è fatta da sola nel tempo e che è parte integrante dell’unità linguistica dell’Inghilterra», alimentata dal nonsense letterario, il «limerick», è interessante perché «è praticabile da tutti, grazie a una formula fissata con grande precisione e facilissima da adottare, entra nel patrimonio di ogni bambino inglese: è un genere in cui il popolare e l’infantile si fondono felicemente». Del resto di Carroll, Rodari scrive: «Non si tratta più di un poeta che occasionalmente, per una certa disposizione d’animo, presta la sua voce a una tradizione diversa da quella letteraria e finisce per incontrarsi con i bambini sul loro terreno, spesso senza averlo pensato; ma di uno scrittore che volta decisamente le spalle a tutto per mettersi a giocare con i bambini. Ha scelto lui il loro terreno, e vi si è collocato intero, col suo gusto per la matematica e per la logica, con i suoi umori dissacranti nei confronti dell’accademia e dell’arcadia». E pare un po’ che parli di sé.

Alice, come Pinocchio, infine, compie quel viaggio all’incontrario che la letteratura fa di solito: «gli oggetti e i personaggi che, decadendo da ruoli più nobili, accettano di diventare giocattoli per bambini, pur di sopravvivere, o forse per ricominciare a vivere: la trottola e la bambola, già accessori di antichi rituali religiosi; l’arco e la freccia, un tempo armi per uccidere, poi armi per giocare; e burattini e marionette, spassi popolari o cortigiani progressivamente abbandonati all’infanzia; e maschere di carnevale, un tempo illustri festaiole e attrici di teatro; e libri naturalmente, di vario genere, perché ci sono quelli che scendono tra i bambini, come il Don Chisciotte, magari nella riduzione della “Scala d’oro”, per farli ridere, ed altri che scendono tra loro per farli piangere, come l’Iliade: non quella di Omero, ma quella di Vincenzo Monti, di cui tocca fare la versione in prosa». Come Pinocchio infatti Alice «nata per i bambini è destinata a fornire ai parlanti di lingua inglese il più ricco repertorio di citazioni dopo la Bibbia e Shakespeare; e gli eroi di Jules Verne, nati per i ragazzi e ormai abitatori permanenti del Parnaso Francese; e i pirati di Robert L. Stevènson, comparsi per la prima volta in una rivista per i giovani (e il caso vuole che Pinocchio e L’isola del tesoro siano comparsi in volume nello stesso anno 1883); e le pagine nate a Jasnaja Poliana nel quotidiano scambio tra Leone Tolstoi e i suoi scolari-contadini – tra esse, racconti della grandezza del Prigioniero del Caucaso».

Ma Alice rappresenta anche altro, e questo Gianni Rodari lo impara a Reggio Emilia dalle insegnanti che giocano al gioco del Chi sono io con i bambini delle scuole dell’infanzia. Il gioco si ispira alle domande di Alice. Lo racconta Loris Malaguzzi in un’intervista: «A un certo punto Alice, questa straordinaria bambina con una filosofia non solo adulta ma di estrema ricchezza giovanile di estrema provocazione si chiede chi sono io e si chiede anche se “sono una persona che mi piace di essere”. Se così è mi tirerò su altrimenti starò giù finché non venga qualcuno ad alzarmi… direi che riecheggiano immagini di grande significanza e che ancora oggi i bambini ci chiedano chi sono io. La domanda rimane la stessa. Alice rimane dunque un documento che avrà sempre validità oggi e domani. La grossa questione di non impedire assolutamente all’infanzia di testimoniare sé stessa».

Una questione centrale per Gianni Rodari.

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