Anche se nei panni di James Bond non capiva nulla di champagne, vorremo sempre bene a Sean Connery.
In Agente 007 – Missione Goldfinger diceva: «… ci sono cose che assolutamente non si fanno. Per esempio bere un Dom Perignon del ’53 a una temperatura superiore ai 4 gradi centigradi…». Una bestemmia per un appassionato di champagne, che non degusterebbe neanche un Franciacorta a 4 °C, figuriamoci un prestigioso Dom Perignon millesimato, da bere assolutamente a 10-12 °C. Ma da buon scozzese, forse, Sean Connery era più a suo agio tra i whisky e magari avrebbe saputo riconoscere al primo assaggio un distillato delle Highlands, dello Speyside o di Islay.
Nato a Edimburgo il 25 agosto del 1930 da una famiglia proletaria, dopo una breve esperienza nella Marina Militare Britannica e una serie di lavori occasionali, all’inizio degli anni Cinquanta comincia la sua carriera teatrale con piccole parti secondarie. La svolta arriva nel 1953 con la partecipazione al concorso di Mister Universo. Si classifica al terzo posto, ma la notorietà gli permetterà di cominciare a lavorare in produzioni televisive e nel mondo del cinema.
Il successo arriva nel 1962, quando verrà scelto per interpretare il ruolo di James Bond in Agente 007 – Licenza di uccidere (1962) di Terence Young, con la bellissima Ursula Andress. L’anno seguente sarà al fianco di Daniela Bianchi in Agente 007, dalla Russia con amore (1963), firmato sempre da Terence Young, a parere di chi scrive il film più bello in assoluto della saga tratta dai romanzi di Ian Fleming.
Sean Connery vestirà ancora i panni di James Bond nei film Agente 007 – Missione Goldfinger (1964), Agente 007 – Thunderball: operazione tuono (1965), Agente 007 – Si vive solo due volte (1967), Agente 007 – Una cascata di diamanti (1971) e Mai dire mai (1983). Resterà per sempre il miglior James Bond della storia, impersonando perfettamente la figura dell’agente segreto gentiluomo, amante della bella vita, ironico e rubacuori.
Molti attori avrebbero rischiato di restare intrappolati per il resto della carriera nel personaggio di James Bond, magari per pigrizia artistica o per poca voglia di rimettersi in gioco. Sean Connery, invece, è stato capace di ritagliarsi un’autonomia interpretativa e di costruirsi una luminosa carriera, senza mai rinnegare o dimenticare il personaggio che lo ha reso famoso. Questa sua capacità di giocare su due fronti gli ha permesso di essere James Bond e di restare Sean Connery. Anzi, di plasmare i tratti di James Bond sul suo carattere e non il contrario.
Sono stati molti i registi che hanno intuito questa dote e hanno proposto a Sean Connery ruoli importanti. Per ricordare la sua carriera ci piace citare proprio i film più interessanti interpretati fuori dalla saga 007.
Il primo grande regista a intuire il suo potenziale d’attore è stato Alfred Hitchcock, che nel 1964 lo ha voluto al fianco di Tippi Hedren nel thriller psicologico Marnie. Ma la grande sfida, Sean Connery la vince all’inizio degli anni Settanta, quando, sull’onda del movimento studentesco del Sessantotto e della contestazione per la guerra del Vietnam, anche il cinema americano cambia pelle. Sulla scena si affacciano gli autori della Nuova Hollywood: Martin Scorsese, Brian De Palma, Dennis Hopper, Francis Ford Coppola, Robert Altman, Sydney Pollack, Mike Nichols, Arthur Penn, solo per citarne alcuni. Il vecchio mondo dello star system viene travolto.
Sean Connery si trova a cavallo tra la generazione dei grandi attori Hollywoodiani del calibro di Cary Grant, Gregory Peck e una nuova generazione d’interpreti, che rivoluzionano i canoni tradizionali. Non è più il tempo degli attori alti, belli e dal fisico atletico, i protagonisti del grande schermo sono Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro, Jack Nicholson, attori che incarnano l’uomo comune, sia nell’aspetto estetico che nella psicologia, più complessa e problematica. Vita dura per chi è arrivato al cinema dal concorso di Mister Universo e non dalla scuola dell’Actors Studio di Lee Strasberg.
Sean Connery, invece, stupisce tutti. Nell’età della maturità il suo fascino cambia. Si lascia alle spalle il parrucchino di James Bond e la prestanza fisica giovanile, per fare del tempo che passa il suo più prezioso alleato. Gli anni addolciscono i suoi tratti e rendono più profondo ed espressivo il suo sguardo.
Alcuni importanti registi colgono il passaggio di Sean a una nuova stagione della sua vita, anche artistica, e lo vogliono nelle loro opere. Martin Ritt lo sceglie per I cospiratori (1970). Un film ambientato alla fine dell’Ottocento che racconta le lotte di un gruppo di minatori contro il potere delle società minerarie.
Con Sydney Lumet interpreta il poliziesco Riflessi in uno specchio scuro (1971) e Rapina Record a New York (1972). Sotto la regia di John Boorman, è il protagonista di uno dei film di fantascienza più innovativi e originali degli anni Settanta: Zardoz (1974). Seguiranno le collaborazioni con John Huston per L’uomo che volle farsi re (1975) e con Fred Zimmerman per Cinque giorni un’estate (1982).
La consacrazione arriva nella seconda parte degli anni Ottanta, prima con Il nome della rosa (1986) di Jean-Jacques Annaud, tratto dal romanzo di Umberto Eco, poi con la straordinaria interpretazione dell’anziano poliziotto Jimmy Malone in The Untouchables – Gli intoccabili (1987) di Brian De Palma, e infine con l’apparizione nei panni del padre di Indiana Jones nel film di Steven Spielberg Indiana Jones e l’ultima crociata (1989).
Nel 1990 interpreta La casa Russia (1990) di Fred Schepisi, tratto dall’omonimo romanzo di John le Carré, e Caccia a Ottobre Rosso (1990) di John McTiernan, prima di chiudere la carriera con La leggenda degli uomini Straordinari (2003) di Stephen Norrigton.
In seguito rifiuterà il ruolo di Gandalf ne Il Signore degli Anelli e di Albus Silente in Harry Potter.
Il suo film testamento lo aveva girato nel 2000 con Gus Van Sant. In Scoprendo Ferrester Sean Connery intrepreta un vecchio scrittore solitario e misantropo, che si è ritirato a vita privata nel suo appartamento del Bronx, dopo aver vinto il Premio Pulitzer. Alla fine del film, William Forrester torna nella sua natia Scozia. Chissà, forse non ha avuto il tempo di farlo, prima che la morte lo cogliesse nella sua villa alle Bahamas.