Giovane studentello, affrontai quella che per me allora era una grande avventura e, dal Friuli, partii per la Brianza. Rimasi colpito dal suo modo di porsi signorile, che lui era capace di esprimere con straordinaria semplicità nei modi. Tra le cose che quell’incontro mi lasciò ci fu da parte sua un’esemplare testimonianza di rigore intellettuale che mi ha sempre accompagnato come sprone.
In queste ore, in molti cercano di spiegare, dati biografici alla mano, chi fosse Eugenio Corti. Non credo che sia il modo migliore di affrontare la cosa: lo abbiamo ancora con noi, in qualche modo. Ci sono i suoi testi e ciò che ci ha lasciato: la sua pagina lascia trasparire una sofferenza vissuta in prima persona, una finezza d’animo, una sensibilità umana non comune, un intelligente impegno culturale, radicato in una sincera esperienza di fede. A titolo di esempio, riporto dunque frammenti di una pagina che mi è cara. Ce la rilesse durante una serata indimenticabile che organizzammo tra lui e il coro degli Alpini della Julia, a Udine, nel maggio del 1996:
“Come vi sentite, signor capitano?” – “Io? Ne ho per poco”. […] Dall’una e dall’altra parte della slitta i suoi alpini, fattisi avanti, guardavano con facce angustiate il capitano; anche il conducente che camminava con le redini dei due muli girate intorno alle spalle alla brava, si voltava ogni poco a guardarlo, aveva le lacrime agli occhi. “Cosa sono quei musi lunghi?” esclamò ad un tratto il capitano Grandi. “Sotto piuttosto, cantate con me”. E con la voce che si ritrovava, che sarebbe stata ridicola in un momento meno tragico, attaccò la tremenda canzone alpina del capitano che sta per morire e fa testamento:
‘Il capitano l’è ferito
l’è ferito e sta per morir’
Subito i circostanti gli si unirono nel canto, più d’uno fece segno a quelli che seguivano, corse la voce, tutta la compagnia serrò sotto e si mise con grandissimo dolore a cantare. […] Cantavano e piangevano gli alpini valorosi, e c’era nel loro canto paziente tutto lo struggimento della nostra umana impotenza; cantarono anche quando il capitano ormai non cantava più e li accompagnava solo con gli occhi; cessarono di cantare solo quando si resero conto che il capitano Grandi era morto.
(Il cavallo rosso, Ares, Milano 1987, pp. 445-46; qui l’imperdibile video con lo stesso Corti che legge).
Addio, mio Capitano!