In viaggio con un film

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In questo periodo di lockdown trascorriamo le giornate chiusi nelle nostre case, consapevoli che è l’unica arma a disposizione per cercare di diminuire la contagiosa pandemia Covid-19. Nell’immobilismo forzato, ci troviamo spesso a pensare ai nostri viaggi del passato o a sognare quelli che potremo realizzare in futuro. Ci sentiamo prigionieri tra le mura domestiche, un po’ come è accaduto a Jafar Panahi.
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Jafar Panahi, “This is not a Film”

Il regista iraniano che nel 2010 è stato condannato per propaganda contro la Repubblica Islamica a 6 anni di reclusione, con il divieto per 20 anni di dirigere film, scrivere sceneggiature, rilasciare interviste e recarsi all’estero.
Costretto agli arresti domiciliari e in attesa della sentenza d’appello, Panahi ha vissuto una sorta d’isolamento totale, molto simile a quello che stiamo vivendo noi. La sua reazione è stata girare tra le mura di casa un documentario dal titolo emblematico: This is not a film (2011).
È nato così un film-non film sul desiderio di fare cinema e sull’impossibilità di realizzarlo. Un’opera di riflessione sul suo lavoro, sulla condizione esistenziale d’isolamento, sul tentativo di trascendere la reclusione con l’arma della creatività artistica.

Anche se non tutti possiedono il talento di Panahi, il cinema può aiutare anche noi a vivere questo difficile periodo, a rompere la monotonia di giornate sempre uguali, a farci viaggiare con l’immaginazione.

L’idea del viaggio è strettamente connaturata con le origini della settima arte. Nel 1896 i fratelli Lumière proiettavano il film L’arrivée d’un train en gare de La Ciotat e nel 1906 Georges Méliès firmava il suo famoso Le voyage dans la Lune.
Non deve stupire se il cinema, arte in movimento per definizione, si sia interessato al viaggio. Il tema del dinamismo, del movimento, del punto di vista mutevole e cangiante, che già aveva interessato l’opera delle Avanguardie artistiche, trova nel cinema la sua naturale consacrazione. La settima arte è movimento. È dinamica sintesi spazio-temporale, rappresentazione di un divenire che scorre davanti ai nostri occhi. Il mistero di un viaggio onirico in un mondo altro, rapisce il nostro sguardo, trasportandolo verso territori sconfinati e sconosciuti.
In questo strano periodo, in cui non abbiamo la possibilità di viaggiare, possiamo almeno riassaporare l’esperienza di un “falso movimento” grazie a un buon film. Abbiamo scelto alcuni lungometraggi che raccontano di viaggi, per rinverdire qualche ricordo del passato, per esplorare un nuovo orizzonte o forse per riflettere sull’insopprimibile esigenza di nomadismo, che custodiamo nel profondo nostro animo.

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Dino Risi, “Il sorpasso”

Cominciamo la nostra rassegna con un film particolarmente adatto a questo periodo di orizzonti cupi. Il sorpasso (1962) di Dino Risi non è solo uno splendido road-movie, ma anche il manifesto dell’Italia del boom economico, che ripartiva con energia ed entusiasmo dopo il periodo post-bellico.
Capolavoro assoluto della commedia all’italiana, il film è interpretato dalla coppia Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant. Il primo è un estroverso, cinico e guascone, abituato a vivere d’espedienti, l’altro è un timido e fin troppo educato studente universitario. L’incontro a ferragosto in una Roma deserta e la corsa verso la Versilia sulla Lancia Aurelia Sport segnano le tappe di una strana ma sincera amicizia, di uno sconclusionato rito d’iniziazione alla vita, sullo sfondo di un Paese in profondo cambiamento.

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Dennis Hopper, “Easy Rider”

Nel 1969, un altro film e un’altra generazione irrompono sul grande schermo. Easy Rider di Denis Hopper è il manifesto di una gioventù che non vuole percorrere la strada dei padri e cerca un nuovo modello di vita. La rivoluzione giovanile sta scardinando le convenzioni e le certezze della società borghese e due ragazzi in cerca di libertà e di avventura attraversano gli Stati Uniti, dalla California a New Orleans, con le loro fiammanti motociclette.
Paesaggi indimenticabili e una serie di canzoni che sono diventate la colonna sonora di un’intera generazione, fanno di Easy Rider uno dei più importanti film della controcultura della Nuova Hollywood.

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Wim Wenders, “Alice nelle città”

Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, il movimento del Nuovo Cinema Tedesco riunisce alcuni tra i registi più importanti del panorama europeo, come Wim Wenders, Werner Herzog, Rainer Werner Fassbinder, Alexander Kluge, Edgar Reiz e Margarethe Von Trotta. Dopo la rivoluzione della Nouvelle Vague, toccherà ai giovani autori tedeschi il compito di rinnovare il cinema, con una serie di lungometraggi che restano ancora oggi tra i capolavori della settima arte.
Proprio Wim Wenders, tra il 1973 e il 1975, firmerà tre film conosciuti come la “trilogia della strada”. Alice nelle città, Falso movimento e Nel corso del tempo rappresentano tre capitoli sul tema del viaggio. Un’ossessione che attraverserà tutta l’opera di Wim Wenders, come una cifra distintiva della sua poetica cinematografica.

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Werner Herzog, “Fitzcarraldo”

Per Wenders il viaggio assume i connotati di un itinerario esistenziale e generazionale, alla ricerca della propria identità e di quella di una nazione, uscita dalla seconda guerra mondiale con un pesante passato da dimenticare e un futuro da costruire. Il cinema di Wenders oscilla spesso tra le suggestioni della cultura americana, filtrata attraverso l’esperienza cinematografica, e un heimat da ritrovare, tra il cinema di Nicholas Ray e il “Wilhem Meister” di Goethe.
I viaggi di Wenders, più che spostamenti fisici, sono spesso tormentati itinerari alla ricerca di una dimensione esistenziale. Sono tappe fondanti della costruzione di un’identità, attraverso uno sguardo sul mondo, che viaggia, libero, oltre le frontiere fisiche e i confini e dell’anima. Il viaggio sarà ancora protagonista del suo cinema, in particolare nei film Paris Texas (1984), Fino alla fine del mondo (1991) e Lisbon Story (1995).

 

Anche nell’universo cinematografico di un altro grande autore del Nuovo Cinema Tedesco ritroviamo spesso il tema del viaggio, ma con una connotazione diversa rispetto a Wenders. Nell’opera di Werner Herzog il viaggio gioca un ruolo importante, e non potrebbe essere altrimenti per un uomo capace di partire da Monaco a piedi per andare a trovare un’amica malata a Parigi.
Nella sua ricca filmografia, sono soprattutto due le opere in cui in viaggio diventa l’asse portante della narrazione. Aguirre furore di Dio (1972) e Fitzcarraldo (1981), entrambi interpretati da uno straordinario Klaus Kinski, rappresentano perfettamente la visione estrema e parossistica del suo immaginario cinematografico, sempre spinto oltre ogni limite, in un territorio fisico e psicologico insidioso, minaccioso e disorientante.
Nel cinema di Herzog il viaggio assume il valore di una sfida eroica, di una “magnifica ossessione”, di una persecuzione vitale, di un’impresa che va oltre le possibilità umane, una sorta di lotta contro le forze primordiali della natura, che sfiora l’autodistruzione e la follia.

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Walter Salles, “On the Road”

L’autore brasiliano Walter Salles ha portato sullo schermo un paio di famosi romanzi che trattano l’argomento del viaggio come esperienza fondamentale dell’esistenza: I diari della motocicletta (2004) ispirato agli appunti di viaggio di Ernesto Che Guevara, e On the road (2012) trasposizione del capolavoro di Jack Kerouac. Le sue opere privilegiano una scrittura cinematografica classica, piuttosto tradizionale e convenzionale.
Proprio per il suo stile narrativo, Salles è riuscito ha interpretare molto bene le memorie di viaggio del giovane Ernesto Che Guevara, che in compagnia dell’amico Alberto Granado, attraversò in moto il Sudamerica prima dell’avventura rivoluzionaria.
Più difficile, ambizioso, e meno riuscito, il tentativo di tradurre in immagini le pagine del celebre romanzo di Kerouac, vero vangelo del nomadismo creativo della Beat Generation.

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Gabriele Salvatores, “Turnè”

Tra i registi italiani, Gabriele Salvatores ha spesso legato il suo successo al tema del viaggio. Marrakech Express (1989) e Turné (1990) sono due opere generazionali sul tema dell’amicizia, realizzate con una struttura itinerante. Se nel primo film prevalgono i toni classici della commedia e un certo gusto quasi picaresco dell’avventura, nel secondo sono soprattutto i sentimenti d’amore e amicizia tra i personaggi a scandire il percorso fisico e sentimentale dei protagonisti.

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Sean Penn, “Into the Wild”

Il viaggio può essere anche un’occasione per percorrere un itinerario individuale alla ricerca di sé stessi, lontani dalla società e dalla civiltà. Viaggi in solitudine, esperienze estreme: appartengono a questa categoria il bellissimo, vitale e struggente Into the wild (2007) di Sean Penn, Tracks (2014) John Curran e Wild (2014) di Jean-Marc Vallée.

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Alexander Payne, “Sideways”

Ci sono poi alcuni film, che pur molto diversi tra di loro, hanno in comune un andamento itinerante: dal nomadismo esistenziale de Il tè nel deserto (1990) di Bernardo Bertolucci, alla fuga ribelle di Thelma & Louise (1991) di Ridley Scott, al divertente Sideways – In viaggio con Jack (2005) di Alexander Payne.

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John Hillcoat, “The Road”

Chiudiamo la nostra rassegna con The Road (2009) di John Hillcoat, un bellissimo film tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy. In un futuro post-apocalittico di distruzione, terrore e miseria, un padre viaggia con il figlio cercando di sopravvivere a un mondo ostile e violento. È un angosciante percorso di solitudine e dolore, in una Terra trasformata in una landa desolata, oppressa da un cielo grigio e polveroso. Da vedere per esorcizzare il futuro.

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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